Verbum – Analecta Neolatina XXV, 2024/2
ISSN 1588-4309; https://doi.org/10.59533/Verb.2024.25.2.11
Abstract: Since the beginning of his career, Ammaniti has tended to choose special places for his novels: almost always imaginary places that symbolise the personal and social isolation of the characters. But in addition to these places, the Roman writer’s narrative features an increasingly massive presence of non-places, which in his most recent novels become fundamental elements of the plot and character development. Thus, on the one hand non-places play an innovative role; on the other hand they signify continuity, they represent a global level of isolation. According to my hypothesis, non-places become more and more present in Ammaniti’s novels, there is a clear shift towards their importance, to the point of constituting the backbone of the narrative. In my talk, I would like to analyse how this change, obviously driven by a significant social change, affects the plot and the characters’ behaviour; how non-places are amalgamated into the fabric of the narrative.
Keywords: Ammaniti, places, non-places, space, environment
Abstract: Sin dall’inizio della sua carriera, Ammaniti tende a scegliere luoghi speciali per i suoi romanzi: luoghi quasi sempre immaginari che simboleggiano l’isolamento personale e sociale dei personaggi. Ma oltre questi luoghi, nella narrativa dello scrittore romano si nota una presenza sempre più massiccia dei nonluoghi che nei romanzi più recenti diventano elementi fondamentali della trama e della formazione dei personaggi. Così da un lato i nonluoghi hanno un ruolo innovativo; dall’altro lato invece significano la continuità, rappresentano un livello globale dell’isolamento. Secondo la mia ipotesi i nonluoghi diventano sempre più presenti nei romanzi di Ammaniti, si osserva un evidente spostamento verso la loro importanza, fino a costituire la colonna portante della narrazione. Nel mio lavoro vorrei analizzare come questo cambiamento, spinto ovviamente da un notevole cambiamento sociale, influisce la trama ed i comportamenti dei personaggi; come si amalgamano i nonluoghi nel tessuto della narrazione.
Parole chiave: Ammaniti, luoghi, nonluoghi, spazio, ambiente
Negli ultimi decenni, le migrazioni continue, gli effetti della globalizzazione ed il turismo di massa hanno trasformato radicalmente la geografia delle società occidentali. Sono stati creati nuovi spazi, nuove concezioni del luogo. Sociologi, filosofi, studiosi di letteratura hanno tentato di definire i nuovi spazi già dalla fine degli anni Sessanta. Così nasce l’Eterotopia1 di Foucault, la Modernità liquida2 di Bauman e Lo spazio critico3 di Virilio. Per me, esaminando in seguito il ruolo dei luoghi e nonluoghi nella narrativa di Niccolò Ammaniti,4 la teoria di Foucault risulta assai vicina al concetto. Con il termine eterotopia, Foucault si riferisce, infatti, agli spazi che hanno”la caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi ma in tal modo di sospendere, neutralizzare o invertire l’insieme dei rapporti che essi stessi disegnano, riflettono o rispecchiano”.5 Nella sua concezione Foucalt distingue l’eterotopia delle società “primitive” e quelle delle società dei nostri giorni. Le prime, che Foucault definisce come eterotopie della crisi, dalla fine del secolo scorso cedono il loro posto alle seconde, definite dallo stesso autore come eterotopie della deviazione, dove si collocano gli individui il cui comportamento non è coerente alle norme. Tali sono per esempio le cliniche psichiatriche, le carceri. Ogni epoca ed ogni società possiede dunque le proprie eterotopie che così in un senso sono eterne, nell’altro senso invece sempre diverse, seguendo i cambiamenti sociali ed ambientali. Si osserva quindi parallelamente una continuità ed una variabilità, che sarà caratteristica base anche della teoria di nonluoghi di Augé. Bauman con la Modernità liquida descrive perfettamente le condizioni in cui ci troviamo: una sorta di zona liminale, incompiuta, una vulnerabilità angosciante. Siamo testimoni di un perenne movimento, afflitti da una febbre di arrivare sempre in altrove. Anche Virilio dimostra ne Lo spazio critico, come il velocissimo sviluppo urbanistico e tecnologico influisce e determina la concezione dello spazio. Critica, appunto, la velocità. Perché l’umanità viene da epoche nelle quali la tecnologia poteva influire in un modo molto limitato sulle velocità degli spostamenti. La relazione tra spazio-tempo e velocità è una relazione matematica, ed il mutamento di una delle varianti comporta l’inevitabile cambiamento delle altre due. Il tempo nella nostra epoca viene praticamente annullato e così anche lo spazio rischia di subire la stessa sorte.
In un’altra teoria della rappresentazione postmoderna dello spazio David Harvey insiste sulla svolta evidente nel campo architettonico e urbanistico avvenuto nell’era postmoderna, che radicalizza l’autonomizzazione dello spazio, ipostatizzato come indipendente dalle sue tradizionali funzioni sociali,6 perché i postmodernisti vedono lo spazio come qualcosa di indipendente e di autonomo.7 Lo spazio postmoderno è, dunque, uno spazio autosufficiente e decontestualizzato. Sono ormai celebri le tesi di Fredric Jameson sulla «mutazione antropologica del sensorio»8 che, insieme alla multimedialità digitale e virtuale, finisce con il produrre i propri effetti sui soggetti umani, con conseguenze importanti anche sui sistemi percettivi e cognitivi delle generazioni nate dopo l’avvento del mondo digitale e dell’informazione sempre più accelerata.
Dalla metà degli anni novanta, il postmodernismo nella letteratura si esaurisce, cede spazio ad una nuova fase, definita ipermodernità da Raffaele Donnarumma. Si osserva una marcata svolta nella narrativa, che influisce, indubbiamente, anche sulla rappresentazione dello spazio. La letteratura dell’ipermodernità si presenta da subito come una critica del presente, perde i segni delle illusioni del postmoderno.9 L’ipermodernità arriva attraverso nuove forme di realismo, combattendo contro la derealizzazione, che avverte come una minaccia costante..
Nel 1992, l’etnologo ed antropologo francese Marc Augé costruisce il concetto e il paradigma del nonluogo attraverso il suo Nonluoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità.10 I nonluoghi sono frutti dell’urbanizzazione, dei cambiamenti sociali e tecnologici. Cresce l’importanza dei grandi centri urbani, le megalopoli si sviluppano con estrema velocità. Contemporaneamente, i centri storici si riducono a un oggetto d’attrazione per i turisti. Nelle abitazioni il televisore e sopratutto il computer occupano il posto del vecchio focolare. L’individuo, con i mezzi tecnologici, come computer, tablet, cellulare, vive in un ambiente del tutto indipendente rispetto al suo immediato ambiente fisico.Tale multiplo decentramento corrisponde a un’estensione senza precedenti di quelli che definisco i «nonluoghi empirici», ovvero gli spazi di circolazione, di consumo, di comunicazione.11 Il nonluogo, dunque, è il contrario di una residenza, di un luogo nel senso comune del termine. In tal senso, perché un ambiente possa essere considerato un luogo, deve avere tre caratteristiche fondamentali: deve essere identitario, relazionale e storico, mentre “uno spazio che non può definirsi né identitario, né relazionale, né storico si definirà un non luogo”.12 Il paradigma, dunque, si costruisce su una negazione, su una mancanza, partorita da una necessità socio-geografica per descrivere una nuova realtà globalizzata, consumistica. L’apparizione sempre più massiccia dei nonluoghi nella letteratura è dovuta alla moltiplicazione dei punti di transito nelle e intorno alle città (autostrade, stazioni, aeroporti, ma anche i grandi centri commerciali) e di quelle delle sistemazioni provvisorie (catene alberghiere, campi profughi, dormitori pubblici, bidonville), risultando, in tal modo, un mondo promesso all’individualità solitaria, al passaggio, al provvisorio e all’effimero.13 Con il termine nonluogo si indicano, dunque, due realtà complementari, ma distinte: quegli spazi costituiti in rapporto a certi fini (trasporto, transito, tempo libero) e il rapporto che gli individui intrattengono con questi spazi. Tuttavia, secondo Augé i luoghi e i nonluoghi non esistono mai in una forma pura: il primo non è mai completamente cancellato, mentre il secondo non si compie mai totalmente. I nonluoghi rappresentano, dunque, la nostra epoca, ne danno una misura chiara.
In Italia, i nonluoghi compaiono nella narrativa, in modo più evidente che in passato, dagli anni Ottanta, anche se il paesaggio trasformato dall’industrializzazione degli anni del ‘boom’ (con i flussi migratori di lavoratori nelle grandi città del Nord) appare già nella letteratura degli anni sessanta e settanta. Ma è soprattutto a causa di un modo di vita differente, delle nuove usanze come il turismo e lo shopping, il paesaggio urbanizzato e strappato alla campagna perde definitivamente i suoi confini tra ruralità e città e subisce un irreversibile smarrimento d’identità.14
Si vede, dunque, che negli ultimi decenni la rappresentazione dello spazio nella letteratura, e conseguentemente anche la critica, si adeguano alle necessità createsi dai nuovi assetti delle società contemporanee. Si formano nuovi spazi che prima non esistevano (centri commerciali, grandi magazzini) o avevano molta meno importanza nella vita quotidiana (p.e. gli aeroporti, dato che nel passato neanche troppo lontano solo una quota limitatissima delle persone poteva permettersi di viaggiare in aereo).
Anche se la critica letteraria italiana concede relativamente poco spazio all’esame dell’apparenza e della funzione dei nonluoghi nella narrativa contemporanea,15 ritengo interessante esaminare la questione, attraverso quattro opere di Niccolò Ammaniti.16
Nei romanzi di Ammaniti l’ambiente in cui si svolge la trama influenza sempre profondamente i personaggi, appare come una limitazione, una costrizione, quasi una prigione dalla quale non riescono ad evadere. La scelta dei luoghi e, più recentemente, dei nonluoghi comporta sempre un valore formativo-deformativo. In Io non ho paura la storia si svolge, negli anni Settanta, in un dimenticato paesino di quattro case del Sud, tra i campi di grano dove, in un buco, viene nascosto un bambino sequestrato; Ti prendo e ti porto via è ambientato negli anni Novanta, prevalentemente in una squallida cittadina tra Lazio e Toscana; Come Dio comanda ha sempre come ambientazione una cittadina con i suoi dintorni anonimi, globalizzati, nell’Italia del Nord. Risulta interessante osservare che in questi tre romanzi la trama è sempre ambientata in una località immaginaria: con la decisione di scegliere luoghi immaginari per la storia Ammaniti suggerisce che l’ambientazione approssimativa (Sud, Centro, Nord) è sufficiente per descrivere una realtà sociale che poi in Io e te sarà strettamente legata ad un’altra realtà, molto concreta: l’alta borghesia di Roma. In questo romanzo ritorna, inoltre, il motivo del buco, ovvero la cantina di un elegante condominio romano, in cui il protagonista adolescente si rintana, sebbene stavolta di sua volontà. In Anna,17 invece, lo scrittore sceglie, come ambiente, una Sicilia devastata e distrutta da un virus. In questo caso succede l’opposto che nei primi tre romanzi sopra citati: l’ambiente surreale della visione distopica è un ambiente del tutto reale, riconoscibile, ricostruibile nella memoria del lettore. Le noti geografiche, le città davvero esisteni servono, questa volta, a dare l’ indispensabile base realistica alla storia.
I personaggi di Ammaniti in ogni caso vengono delimitati da ciò che hanno intorno a loro, a volte si ha addirittura la sensazione che l’ambiente si impossessi di loro, che determini la loro esistenza. Le poche famiglie ad Acqua Traverse, in Io non ho paura, vivono una vita monotona, nel morso del caldo e della quotidianità senza grandi speranze. Manca, ovviamente, in quell’epoca, lo spazio virtuale che con l’uso dei telefoni cellulari e dei videogiochi concederà, in un futuro neanche così lontano, al protagonista adolescente di Io e te a vivere la sua solitidune in maniera del tutto differente. I luoghi si trasformano, anche per un’esigenza imminente, da parte dello scrittore, per raffigurare gli spazi dell’isolamento di un mondo in cui i luoghi tradizionali, quelli dei ricordi, contano sempre di meno. Avviene così, in molti casi, una perdita dell’identità dell’ ambiente.
Tale perdita d’identità dello stesso paesaggio viene messa a fuoco, nella narrativa di Ammaniti, all’inizio del romanzo Come Dio comanda, quando lo scrittore dedica ampio spazio alla presentazione dell’ambiente squallido: migliaia di cittadine grigie, case uguali, fabbriche, “i loro capannoni prefabbricati, gli istituti di credito, i cavalcavia, i concessionari e i loro parchi macchine con tutto il loro fango”. In Io e te, l’unico luogo dettagliatamente descritto, oltre agli spazi personali del protagonista (la sua camera, la cantina-nascondiglio) è un nonluogo senza identità: un ospedale anonimo. In Anna, poi, lo scrittore, con una visione distopica, torna ad ambientare la trama in un paesaggio senza identità, che però possiede ancora i relitti del nostro mondo attuale: autostrade, ipermercati, centri commerciali che hanno perso il loro valore, la loro funzione. Sulle autostrade non corrono macchine, gli ipermercati ed i centri commerciali sono vuoti, privi di merce e clienti, da spazi commerciali e sociali si trasformano o in spazi abbandonati o luoghi di funzioni di un’altra epoca, quasi tribali. Così funziona l’ex Grand Hotel Terme Elise, dove molti ragazzi si dirigono da una misteriosa adulta, chiamata Picciriddunna, nella speranza che lei possa guarirli dal virus letale.
La conflittualità e la responsabilità sociale risulta sempre più marcata nei romanzi di Ammaniti, a partire dalla seconda metà degli anni Zero: in Come Dio comanda, la critica del presente, attraverso la (de)formazione dei personaggi e la rappresentazione plastica dei luoghi trasformati in nonluoghi, risulta indispensabile; in Io e te, dalla profondità emerge un problema sociale struggente della nostra epoca, quello della tossicodipendenza, vissuto a combattuto dai protagonisti, sicuramente non per caso in una cantina buia; in Anna, invece, l’ambientazione post-apocalittica presta credibilità alla trama.
Cronologicamente, il primo tra i tre romanzi de me esaminati è Ti prendo e ti porto via, pubblicato nel 1999, la cui storia è ambientata principalmente a Ischiano Scalo, una cittadina fittizia, tra Lazio e Toscana, vicino a un mare che non è certo un paradiso dei turisti: infatti, di turisti ad Ischiano Scalo neanche si parla. Insomma, un luogo dimenticato con poche emozioni, in evidente contrasto con l’ambiente mondano (ristoranti eleganti, discoteche chic, studi televisivi) frequentato da uno dei protagonisti, Graziano Biglia, e descritto nella sua narrazione. Il libro, infatti, racconta le avventure di Pietro Moroni e Graziano Biglia, in uno straordinario intreccio di avvenimenti. Le loro due storie scorrono parallele per quasi tutto il romanzo, ed i fili della narrazione si intrecciano solo nel finale. Pietro è un timido studente di scuola media, mentre Graziano è “uno zingaro di professione, un vagabondo del dharma, un’anima migrante alla ricerca del proprio karma”.18 Insomma, un eterno adolescente, che torna ad Ischiano Scalo dopo anni di assenza. Nel romanzo, dunque, non mancano i luoghi adibiti alla circolazione, al consumo e alla comunicazione, gli spazi della provvisorietà e del passaggio. Il playboy Graziano Biglia frequenta le discoteche anonime del litorale ed anche se, ogni volta, entrando, diventa un qualsiasi avventore, un corpo anonimo nella folla, il suo legame con il posto risulta evidente. In una delle scene iniziali del romanzo, Graziano si trova in una discoteca strapiena, in cui “la pista sembra un formicolaio”, e, tra le persone senza volto, il playboy scorge una ragazza. Il luogo impersonale, così, diventa ad un tratto personale. Graziano ha una visione: “La discoteca non c’è più. Le voci, la musica, il bordello sono stati inghiottiti dalla nebbia. E poi lentamente il grigio si dirada e appare una jeanseria… E questa jeanseria è a Ischiano Scalo, al posto della merceria di sua madre. E tutti quelli che passano si fermano, entrano e vedono sua moglie e lo invidiano…”.19
La visione, dunque, si proietta nel futuro, l’anonimato del luogo sparisce, la discoteca diventa familiare e simboleggia un ritorno dal globalizzato al personale. L’impatto viene rafforzato ulteriormente da Ammaniti tramite l’immagine della ragazza incinta. In questa funzione, la discoteca perde il suo anonimato, diventa un punto di partenza e riferimento nella narrazione, di conseguenza non va più considerato nonluogo.
In Come Dio comanda (2006), romanzo che racconta le avventure cupe di un adolescente, in una scena simile si nota invece un percorso invertito. La discoteca viene trasformata dallo scrittore in un centro sociale squallido, creato nei locali di una ex fabbrica di pellame: “sei capannoni affiancati uno all’altro ricoperti di graffiti e circondati da un piazzale di ghiaia”. La descrizione dello spazio (fumo nero, nebbione, musica assordante) suggerisce subito l’impossibilità di stabilire relazioni interpersonali più profonde. Rino Zena, il padre rozzo e violento del protagonista, entra nella sala con uno scopo ben preciso: trovare una donna con cui soddisfare le sue esigenze primordiali. Nello spazio interno, trova migliaia di corpi, tutti anonimi, che fluttuano come una marea. Ad un tratto, nella folla omogenea, scorge una ragazza che assomiglia alla sua ex compagna, alla madre di suo figlio Cristiano, alla donna che tempo fa era sparita lasciandoli soli. La scena, dunque, è identica a quella di Ti prendo e ti porto via: Rino, guardando la ragazza, ha una visione. Ma, in questo caso, la visione è incentrata sul passato, su una familiarità perduta. Ed infatti, alla fine, Rino capisce di aver sbagliato: la donna non è Irina, la sua ex compagna. Così, Ammaniti, perdendo le speranze di un eventuale ritorno alla vecchia normalità sociale e familiare, conferma il profondo senso di solitudine del suo personaggio, in un luogo trasformato in nonluogo, e che, paradossalmente, viene chiamato centro sociale. Ė un ambiente, quello creato da Ammaniti, in cui i personaggi perdono le proprie identità, uno spazio che funziona contrariamente al suo scopo originale, ovvero non crea relazioni vere, ma rafforza la solitudine.
Altrettanto interessante è osservare la presenza e la funzione dei centri commerciali in Ammaniti. In Ti prendo e ti porto via, pubblicato prima del grande boom della costruzione dei centri commerciali, non se ne trovano tracce: la trama è ambientata in un mondo ibrido, dove la globalizzazione non ha cancellato ancora le vecchie usanze, ma i media hanno già il loro nuovo ruolo formativo. I bar sono ancora punti di ritrovo degli amici (per esempio lo Station Bar, cioè il bar della stazione che, anziché funzionare come un nonluogo per una breve sosta di viaggiatori anonimi, è da sempre un punto di incontro di alcuni abitanti locali, che ci passano lunghe ore della loro giornata, giocando e chiacchierando. Anche i piccoli negozi che appaiono nel romanzo, con i loro proprietari, sempre presenti, trasmettono un senso di familiarità. In Come Dio comanda, l’ambientazione risulta del tutto differente e rispecchia gli accelerati cambiamenti sociali. La trama si svolge a Varrano, una cittadina immaginaria dell’Italia del Nord, tra anonimi stabilimenti industriali, concessionari di auto e centri commerciali. Gli ultimi hanno già preso il posto dei tradizionali centri sociali, sono diventati il forum degli incontri della gente. Il bar, stavolta collocato nel centro della cittadina, ha perso il proprio ruolo tradizionale, non c’è traccia dell’allegria, della voglia di communicare dei clienti, e sebbene dovesse funzionare come un punto di ritrovo, emana solitudine. Anche le relazioni interpersonali e la conseguente comunicazione subiscono un’importante alterazione. Basti osservare il ruolo dei telefoni cellulari: in Ti prendo e ti porto via, appaiono esclusivamente come mezzi di comunicazione, mentre in Come Dio comanda diventano status symbol. Non è casuale, dunque, che, nel romanzo, l’unico posto dettagliatamente descritto è il centro commerciale, il tempio del consumismo: “Era il più grande centro commerciale nel raggio di un centinaio di chilometri. Centomila metri quadrati, divisi intre piani e due mezzanini. Con un parcheggio sotterraneo che ospitava fino a tremila vetture”.20 Il mondo globalizzato dà appuntamento agli individui, la gente si incontra negli spazi comuni e nei negozi dei grandi brand mondiali, si crea così una nuova piattaforma della vita sociale, contaminata dall’impersonalità e provvisorietà degli stessi spazi. I grandi centri commerciali, con i loro ristoranti fast food, si appropriano della funzione dei bar e delle trattorie tradizionali, che fornivano un punto di ritrovo per gli individui. In Come Dio comanda, il centro commerciale è un esempio evidente del nonluogo, inteso secondo la definizione di Augé: uno spazio non identitario, né relazionale, né storico, non integra nulla, autorizza solo, per il tempo limitato, la coesistenza di individui distinti, simili, o indifferenti gli uni agli altri.21
In Anna, invece, quasi dieci anni dopo, lo scenario cambia di nuovo. La trama della storia distopica si svolge in una Sicilia devastata dal virus, dove tutti gli adulti sono morti, sopravvivono solo i bambini. Stranamente, però, con le nuove condizioni arriva un’ulteriore svolta nella funzione dei luoghi e dei nonluoghi. I nonluoghi ridiventano luoghi. L’autostrada è uno dei simboli più importanti dei nonluoghi, della circolazione di massa, della non-identità nel mondo globalizzato mentre, nel romanzo post-apocalittico di Ammaniti, essa si trasforma, al contrario, in un luogo antropologico molto concreto. Anna, la protagonista ed il suo fratellino camminano insieme, verso l’agognata salvezza, sulle autostrade deserte, abbandonate, ma sempre meticolosamente collocate nell’ambiente. L’autostrada non è più una pista di transito, uno spazio impersonale: i due protagonisti se ne impossessano e, in tal modo, la stessa autostrada acquisisce una funzione protettiva, in quanto diventa, durante l’intero svolgimento della trama, un punto di riferimento. La marcia sull’autostrada, in tal modo riqualificata, suggerisce, inoltre, un nesso con la migrazione che ha caratterizzato gli ultimi decenni del nostro continente: una fuga nella speranza di trovare la Terra Promessa e con l’incertezza di quello che, di fatto, vi si troverà all’arrivo.22 Le migrazioni, inoltre, sono molto accentuate in Italia: esiste, da diversi decenni una migrazione interna, quella dello stesso popolo italiano, dal Sud verso il Nord, per evidenti ragioni economiche, e più recentemente, la forte migrazione esterna, di altri popoli, sopratutto dall’Africa, verso l’ Italia. Nelle opere di Ammaniti, sin dal suo esordio, appaiono diversi riferimenti a questo secondo tipo di migrazione-fuga. Lo scrittore con alcuni suoi personaggi mette in evidenza la situazione difficile dei migranti e la loro mancata integrazione nella società italiana. Già nel 1996, nella raccolta dei racconti Fango, in diverse novelle appaiono peronaggi africani con le loro vite sventurate: in Lo zoologo il barbone che viene malmenato da un gruppo di giovani bulli; in Carta e Ferro le prostitute africane brutte, malvestite, nei loro cencetti scadenti.23 Poi in Come Dio comanda, dieci anni dopo, l’africano investito dalla macchina di uno dei personaggi principali, dell’assistente sociale Beppe Trecca. L’extracomunitario non vuole essere soccorso dopo l’incidente, perché evidentemente vive fuori dalla società, senza documenti, senza assicurazione. In Anna, invece, ovviamente si tratta di una migrazione-fuga, quella dei due fratelli, del tutto differente, il cui scopo non è il miraggio di una vita più vivibile, nel contesto della società consumistica. I valori della quotidianità ricordano quelli di un’età lontanissima: è in gioco la sopravvivenza, lo scopo della marcia migratoria diventa la stessa vita.
Il paesaggio dello sradicamento viene dunque osservato con occhi nuovi e gli viene restituito un significato diverso, anzi, diversi significati distinti.24 Lo stesso percorso invertito, dal globalizzato al personale, si osserva nel romanzo in relazione ad altri luoghi che perdono la loro funzione di nonluogo e si presentano fortemente personalizzati. Tali sono il supermercato, l’albergo ed il centro commerciale. Il supermercato Despar, gestito dai due fratelli adolescenti e trasformato in abitazione-negozio-fortezza, viene custodito dai gemelli con dei fucili. Non c’è più la lunga fila di clienti, la carta di credito e i soldi non servono a niente, e il supermercato, classico nonluogo, cambia metodo, funziona come l’antico negozietto del quartiere, dove il proprietario serve i propri clienti abituali. Anzi, si vede, di nuovo, un ritorno alle radici dell’umanità, al commercio di scambio. I gemelli spiegano ad Anna: “Ogni cosa che vedi qui dentro può essere scambiata. Ė un minimarket”.25
Ammaniti, dunque, suggerisce che, dopo il crollo della società del progresso, dei sistemi tecnologici della globalizzazione, in questa visione apocalittica, l’unica soluzione di ripartenza sarebbe un necessario ritorno alle origini, ad un’era primitiva. In questo contesto, si nota ulteriormente una funzione rovesciata dell’urbanizzazione. In Anna, lo spopolamento causato dal virus si sente profondamente soprattutto nell’ambiente urbano, le città vuote pongono fine alla rivoluzione urbana, accelerata vertiginosamente negli ultimi secoli.26 Dentro i centri abitati abbandonati, la natura si riprende lo spazio e viene completato, in tal modo, il ritorno alle origini, anche se la rappresentazione della natura, nei suoi piccoli dettagli, non era mai stata assente nella quotidianità e nella letteratura.27
La stessa dinamica invertita viene evidenziata anche nel caso del Grand Hotel delle Terme: l’albergo che prima era spazio anonimo per gente anonima in villeggiatura, un simbolo della società dei consumi, mentre adesso diventa fissa dimora, assediato dai bambini blu. L’edificio si trova in cima ad una collina, l’ambientazione suggerisce un ulteriore ritorno ai tempi lontani, al medioevo, all’epoca delle fortezze e dei castelli.
Infine, anche il centro commerciale che, in Come Dio comanda, sembrava essere la fortezza indistruttibile del consumismo, in Anna, anche se formalmente conserva le caratteristiche di una fortezza (una grande costruzione rosa simile a un castello, con tanto di merli e quattro torri cilindriche agli angoli),28 viene ridimensionato e trasformato in uno spazio primordiale, tribale: i bambini selvaggi che, per la mancanza di insegnamento, sanno appena parlare, lo conquistano e lo usano in maniera funzionale: dentro uccidono le vacche, fuori, nel parcheggio, fanno la grigliata. I negozi delle grandi marche della communicazione digitale (Sky, Fastweb), una volta nonluoghi d’eccellenza, vengono distrutti dalla mandria inferocita e spaventata delle bestie.
A questo punto, dunque, l’intenzione dello scrittore risulta evidente: riportare i suoi personaggi dentro una realtà remota per consentire loro la sopravvivenza sulle rovine di un mondo che si è autodistrutto. I luoghi artificiali, diventati nonluoghi nella surmodernità e rappresentati come tali dallo stesso Ammaniti in Come Dio comanda, adesso perdono la loro importanza e si trasformano, in parte riacquistando le funzioni originali del luogo antropologico.
Ed in questo percorso, nella narrativa di Ammaniti, viene evidenziato un notevole spostamento verso l’uso dei nonluoghi, che in molte situazioni diventano la colonna portante della narrazione. Tale spostamento si basa su un uso modificato di certi luoghi che si trasformano in nonluoghi che poi, viceversa, ridiventano luoghi. Tuttavia, Ammaniti adegua sempre i nonluoghi alle caratteristiche dei propri testi, i personaggi li riempiono delle diverse funzioni, sopra esaminate. Nelle opere di Ammaniti, dunque, i nonluoghi vengono usati per collocare certi avvenimenti, ma nel centro del messaggio si trovano sempre gli stessi avvenimenti.
Con i suoi romanzi lo scrittore traccia una parabola prima fedele, poi distopica per dimostrare l’impatto dei velocissimi cambiamenti socio-culturali nell’arco di una ventina d’anni. Lo spazio viene sempre ridimensionato per le esigenze, appunto, di tali cambiamenti, ma il messaggio più importante rimane invariato: l’uomo, raffigurato da Ammaniti attraverso i suoi protagonisti adolescenti, si adegua e sopravvive. Lo spostamento verso un distopia, in Anna, risulta dunque come un passo obbligato da compiere dallo scrittore, un adeguamento, una sfida per rappresentare lo spazio nuovo, di un futuro ora immaginario, ma forse non troppo lontano.29
Ammaniti, N. (1996): Fango. Milano: Mondadori.
Ammaniti, N. (1999): Ti prendo e ti porto via. Milano: Mondadori.
Ammaniti, N. (2001): Io non ho paura. Torino: Einaudi.
Ammaniti, N. (2006): Come Dio comanda. Milano: Mondadori.
Ammaniti, N. (2009): Che la festa cominci. Torino: Einaudi.
Ammaniti, N. (2010): Io e te. Torino: Einaudi.
Ammaniti, N. (2015): Anna. Torino: Einaudi.
Augé, M. (2009): Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità. Milano: Elèuthera.
Augé, M. (2009): Disneyland e altri nonluoghi. Torino: Bollati Boringhieri.
Augé, M. (2009): Che fine ha fatto il futuro: dai nonluoghi al nontempo. Milano: Eléuthera.
Augé, M. (2004): Rovine e macerie. Il senso del tempo.Torino: Bollati Boringhieri.
Bauman, Z. (2011): La modernità liquda. Roma: Laterza.
Conti, E. (2008): Nonluoghi della pianura padana. L’occhio risemantizzante in Gianni Celati e Pier Vittorio Tondelli. Italianistica: Rivista di letteratura italiana 37: 149–162.
Donnarumma, R. (2022): Ipermodernità: ipotesi per un congedo del postmoderno, Allegoria XXXIV 86: 15–50.
Foucault, M. (2010): Eterotopia. Milano: Mimesis.
Franzini, E. (2011): La rappresentazione dello spazio. Milano: Mimesis.
Ganeri, M. (2017): Dai nonluoghi alle iperperiferie. In: S. Sgavicchia & M. Tortora (eds.) Il romanzo postmoderno e oltre. Geografie della modernità letteraria, Atti del convegno internazionale della MOD, Università per stranieri di Perugia, 10–13 giugno 2015. Pisa: ETS. 53–65.
Harvey, D. (1993): La crisi della modernità. Riflessioni sulle origini del presente. Milano: Il Saggiatore.
Iannucci, G. (2017): Sedimentazione geografica dei nonluoghi: transito/arrivo/ritorno. In S. De Lucia (ed) Scrittrici nomadi. Passare i confini tra lingue e culture. Roma: Sapienza Università Editrice. 103–110.
Jameson, F. (2007): Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo. Roma: Fazi.
Lefebvre, H. (1973): La rivoluzione urbana. Roma: Armando.
Virilio, P. (1988): Lo spazio critico. Bari: Dedalo.
Michel Foucault: Eterotopia, Milano: Mimesis, 2010.↩︎
Zygmunt Bauman: La modernità liquida, Roma: Laterza, 2011. La “liquidità” di Bauman descrive una realtà intermedia, transitoria, incompiuta, una visione inevitabilmente globale della società.↩︎
Paul Virilio: Lo spazio critico, Bari: Dedalo, 1988.↩︎
Esaminerò in particolare i seguenti romanzi dell’autore: Ti prendo e ti porto via, Milano: Mondadori, 1999, Io non ho paura, Torino: Einaudi, 2001, Come Dio comanda, Milano: Mondadori 2006, Io e te, Torino: Einaudi, 2010, Anna, Torino: Einaudi, 2015.↩︎
Si veda: Michel Foucault: Eterotopia, Milano: Mimesis, 2010 e in particolare: Michel Foucault, Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste, vol. 3, a cura di Alessandro Pandolfi, Milano: Feltrinelli, 1998: 310.↩︎
Cfr Margherita Ganeri: Dai nonluoghi alle iperperiferie: Il romanzo postmoderno e oltre, in AA.VV., Geografie della modernità letteraria: atti del XVII Convegno internazionale della MOD, 10–13 giugno 2015: 56.↩︎
Cfr. “I postmodernisti si staccano nettamente dai concetti modernisti per quanto riguarda il modo di considerare lo spazio. Mentre i modernisti vedono lo spazio come qualcosa che dev’essere modellato per scopi sociali e perciò è sempre subordinato alla costruzione di un progetto sociale, i postmodernisti vedono lo spazio come qualcosa di indipendente e di autonomo” (David Harvey: La crisi della modernità. Riflessioni sulle origini del presente, Milano: Il Saggiatore, 1993: 89).↩︎
Cfr. “[l’]ultima mutazione dello spazio – dell’iperspazio postmoderno – è riuscita […] a trascendere le capacità di orientarsi del singolo corpo umano, di organizzare percettivamente l’ambiente circostante e, cognitivamente, di tracciare una mappa della propria posizione in un mondo esterno cartografabile. Si può dire ormai che questo allarmante punto di separazione tra il corpo e l’ambiente edificato – che sta all’iniziale disorientamento del modernismo come la velocità dell’astronave a quella dell’automobile – possa a sua volta configurarsi quale simbolo e analogo di quel dilemma ancor più spinoso che è l’incapacità delle nostre menti, almeno al presente, di tracciare una mappa della grande rete comunicazionale, globale, multinazionale e decentrata, nella quale ci troviamo impigliati in quanto soggetti individuali” (Frederic Jameson: Postmodernismo. Ovvero la logica culturale del tardo capitalismo, Roma: Fazi, 2007: 60).↩︎
Cfr. ” La letteratura postmoderna è stata accusata, da parte dei suoi avversari, di essere ideologica e organica rispetto alla postmodernità: quella dell’età ipermoderna, al contrario, si mostra da subito come critica del presente” (Raffaele Donnarumma: Ipermodernità: ipotesi per un congedo del postmoderno, in Allegoria XXXIV 86, 2022: 21).↩︎
La surmodernità è un altro termine introdotto da Augé, che la definisce così: “La surmodernità sarebbe l’effetto combinato di un’accelerazione della storia, di un restringimento dello spazio e di una individualizzazione dei destini”, Marc Augé: Rovine e macerie, Il senso del tempo, Torino: Bollati Boringhieri, 2004.↩︎
Marc Augè: Nonluoghi: Introduzione a una antropologia della surmodernità, Milano: Eléuthera, 2009: 5.↩︎
Ibid.: 61.↩︎
Cfr. M. Augé: Nonluoghi: Introduzione…, op.cit.: 61.↩︎
Cfr. Eleonora Conti: Nonluoghi della pianura padana. L’occhio risemantizzante in Gianni Celati e Pier Vittorio Tondelli, in Italianistica: Rivista di letteratura italiana 37(2), 2008: 149–162, pp. 152–153.↩︎
Oltre Eleonora Conti che si occupa del tema in diversi saggi, dobbiamo assolutamente notare il libro I nonluoghi in letteratura: Globalizzazione ed immaginario territoriale, a cura di S. Calabrese e M. A, D’Aronco, Roma, Carocci, 2005.↩︎
Ti prendo e ti porto via, Milano: Mondadori, 1999; Io non ho paura, Torino: Einaudi, 2001; Come Dio comanda, Milano: Mondadori 2006; Io e te, Torino: Einaudi, 2010; Anna, Torino: Einaudi, 2015.↩︎
Anna a differenza degli altri, sopra elencati romanzi di formazione è un distopia ma in quanto la rappresentazione dello spazio ritengo importante esaminarlo↩︎
Come Dio comanda, p. 25.↩︎
Ti prendo e ti porto via, pp. 28–29.↩︎
Come Dio comanda, p. 137.↩︎
Cfr. M. Augé: Nonluoghi: Introduzione…, op.cit.: 61–62.↩︎
Cfr. Giulia Iannucci: ‘Sedimentazione geografica dei nonluoghi: transito/arrivo/ritorno’, in: Stefania De Lucia (a cura di): Scrittrici nomadi. Passare i confini tra lingue e culture, Roma: Sapienza Università Editrice, 2017: 107: “Ma il movimento migratorio non è solo transito. La fase successiva è quella dell’arrivo in terra straniera dove non si viene accolti o semplicemente aspettati, dove ci si ritrova in spazi perduti, forse neppure segnati sulle mappe, che accolgono voci diverse che rimangono inascoltate.”↩︎
Fango, p. 305.↩︎
Cfr. David Harvey: La crisi della modernità. Riflessioni sulle origini del presente, Milano: Il Saggiatore, 1993: 89.↩︎
Anna, p. 58.↩︎
Sulla rivoluzione urbana si veda Henri Lefebvre: La rivoluzione urbana, Roma: Armando, 1973.↩︎
Cfr. “Teoricamente, la natura si allontana, ma i segni della natura e del naturale si moltiplicano, rimpiazzando e soppiantando la”natura” reale. Si produce in massa e si vendono questi segni. Un albero, un fiore, un ramo, un profumo, una parola diventano segni dell’assente: presenza illusoria e fittizia. Nello stesso tempo, la naturalizzazione ideologica diventa ossessiva. In tutta la pubblicità, da quella dei prodotti alimentari o tessili, a quella degli alloggi delle vacanze, il riferimento alla natura è perpetuo” (Henri Lefebvre: La rivoluzione urbana, Roma: Armando, 1973: 35).↩︎
Anna, p. 252.↩︎
Il romanzo post-apocalittico torna con vigore nella letteratura mondiale dal 2009, attraverso il Metro 2033 Universe, ideato dal russo Dmitry Glukhovsky. In Italia fu Tullio Avoledo ad aderire al progetto con due romanzi, Le radici del cielo, Terni, Multiplayer Edizioni, 2011 e La crociata dei bambini, Terni, Multiplayer Edizioni, 2014.↩︎