Verbum Analecta Neolatina XXI, 2020/1–2

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Scopo di questo lavoro è in primo luogo quello di discutere alcune delle obiezioni che sono state fatte negli ultimi vent’anni all’ipotesi che nelle lingue romanze medievali l’ordine delle parole fosse regolato da un sistema V2 (a Verbo secondo) simile a quello che troviamo nelle lingue germaniche diverse dall’inglese; in secondo luogo quello di individuare alcuni problemi empirici che, all’interno di questa ipotesi, devono ancora essere risolti.

Il lavoro si divide in tre parti: nella prima descrivo alcune delle tappe fondamentali che hanno portato alla formulazione di un certo numero di generalizzazioni riguardanti l’ordine delle parole delle lingue romanze medievali e alla proposta di alcune ipotesi esplicative, in particolare l’ipotesi V2. Nella seconda discuto criticamente quelli che mi sembrano i tre tipi fondamentali delle obiezioni che sono state sollevate contro questa ipotesi. Nella terza, infine, indico alcuni problemi empirici che devono ancora essere chiariti perché si possa avere un quadro completo dei fenomeni che normalmente si associano ai sistemi V2 delle lingue romanze medievali.

Non è mio scopo quello di offrire una rassegna completa della letteratura sull’argomento: sicuramente non ho letto tutto quello che è stato scritto sul V2 in generale,1 e neanche tutto quello che è stato scritto sul V2 nelle lingue romanze medievali.2 Ho però letto più di quanto non citerò, ma sia nella parte sulla storia della questione sia nella parte dedicata alle critiche mi limiterò a citare alcuni lavori che mi sembrano importanti e/o funzionali al discorso che ho cercato di imbastire. Rimarranno così sacrificati molti altri studi che hanno contribuito nel corso degli anni ad arricchire le mie conoscenze dei fenomeni studiati – ai loro autori vanno le mie scuse e tutta la mia riconoscenza per quello che ho imparato da loro.

1 Dai fenomeni di inversione all’ipotesi V2

1.1. Che le lingue romanze medievali presentassero nell’ordine delle parole un fenomeno particolare simile a quello delle lingue germaniche, era già chiaro a Friedrich Diez:

Besonders zu beachten ist eine mehr oder minder streng vorgeschriebene Umstellung des Subjects, vermöge welcher es, sofern andre Sprachtheile vorangehen, seinen Platz nach dem Verbum einnimmt […]. Hier gebietet keine Regel wie im Deutschen, aber eine Neigung zu der bemerkten Wortstellung lässt sich in einigen Sprachen nicht verkennen […]. ‘Bisogna in particolare osservare uno spostamento del soggetto più o meno rigorosamente obbligatorio in virtù del quale questo si mette dopo il verbo nel caso in cui quest’ultimo sia preceduto da altri membri della frase […]. Non è richiesto da una regola come in tedesco, ma non si può non riconoscere in alcune lingue una tendenza a usare questo ordine delle parole.’ (Diez 1844: 427)

Diez esemplifica con la frase provenzale (1), in cui l’anteposizione del complemento en te è accompagnata dalla posposizione del soggetto eu al verbo finito:

  1. en te solia eu fiar3
    (in te solevo io confidare)

e commenta, aggiungendo una spiegazione: lo spostamento del soggetto sarebbe dovuto all’esigenza di non rompere la coesione tra verbo e complemento:4

Es ist hier die vorherrschende Wortstellung, die eigentlich auf einer Umdrehung des Satzes beruht: denn wird ein vom Verbum abhängiger Satztheil vorangeschickt, so steht das Subj., um den logischen Zusammenhang jenes Satztheiles mit dem Verbum nicht zu stören, schicklicher Weise dem letzteren nach. ‘Questo è l’ordine predominante, che si basa propriamente su un rovesciamento della frase: infatti quando un complemento del verbo viene anteposto, per non disturbare il rapporto logico di quel membro della frase con il verbo, il soggetto si adegua mettendosi dopo quest’ultimo.’ (428)

Già l’anno seguente alla pubblicazione della Sintassi di Diez, nella sua sintassi del francese moderno (che in realtà dà ampio spazio anche ai fenomeni del francese antico) Eduard Mätzner dedica al fenomeno dell’inversione del soggetto (“Umstellung des Subjektes”) una decina di pagine (1845, 266–276).

1.2. Tra il 1875 e il 1882 compaiono in Germania una mezza dozzina di tesi dedicate espressamente all’ordine delle parole in francese antico. A queste si riallaccia direttamente Alfred Schulze, che nella sua tesi (Schulze 1884a) ci offre il primo tentativo sistematico di rendere conto in prospettiva sincronica del funzionamento di questo aspetto della sintassi del francese antico. La tesi riproduce il capitolo relativo alle questioni generali di uno studio più ampio dedicato all’ordine delle parole nelle frasi interrogative (Schulze 1884b), che sarà poi integrato senza modifiche nel suo libro dedicato alla frase interrogativa in francese antico (Schulze 1888).

Il quadro teorico in cui la spiegazione di Schulze si inserisce, è quello che analizza la frase in soggetto e predicato “logici” (o “psicologici”), una teoria che si stava sviluppando in Germania in quegli anni, come ha ricostruito Giorgio Graffi (1991, 133–160), e che troverà uno sviluppo nell’analisi “attuale” della frase in tema e rema della Scuola Linguistica di Praga.5

Il ruolo di “logisches Subjekt” (S) può essere svolto dal soggetto grammaticale, come in (2a) – in tal caso il “logisches Prädikat” (P) sarà costituito dal verbo e dagli eventuali complementi. Ma il ruolo del soggetto logico può anche essere svolto da un complemento, per es. un compl. di luogo, come in (2b), da un oggetto diretto (v. sotto (6a)), da un compl. predicativo (v. sotto (6b)), ecc. – in tal caso il predicato logico potrà essere costituito dal verbo e dal soggetto in posizione postverbale:

    1. [SRollanz] [Prespunt]
      (Orlando risponde)

    2. [Sla] [Psiet li rois]
      (là siede il re)

In (2b) l’inversione del soggetto grammaticale avrebbe la funzione di farlo comparire come parte del predicato logico. Lo stesso avviene in quelle frasi in cui il soggetto logico è costituito da un verbo, che oggi chiameremmo presentativo (3a), o da un complesso verbale con funzione simile, per es. una locuzione (3b) o una perifrasi verbale (3c):

    1. [SVint i] [PGerarz de Rossillun li vielz]
      (venne-vi Gerardo di Rossiglione il vecchio)

    2. [SOnbre li fet] [Pli plus biax arbres…]
      (ombra gli fa il più bell’albero)

    3. [SVenuz i est] [Pli Gascuinz Engeliers]
      (venuto vi è il guascone Angelieri)

Non tutti i soggetti posposti sono però parte del predicato logico: se si tratta di elementi già noti dal contesto, questi costituiscono una spiegazione aggiunta dopo (“nachträgliche Erläuterung”), cioè quello che oggi chiameremmo Afterthought (A), come in (4) e (5), frasi costituire dal solo predicato logico, e in (6), frasi con struttura soggetto logico-predicato logico:

    1. [PPlurent] (Asi oil)
      (piangono [i] suoi occhi)

    2. [PMort sunt] (Ali cunte)
      (morti sono i conti)

    1. [PMesse e matines ad (Ali Reis) escultet]
      (messa e mattutino ha il re ascoltato)

    2. [PTrenchet li ad (Ali cuens) le destre puign]
      (tagliato gli ha il conte il destro pugno)

    1. [SLes dis mulez] [Pfait (ACarles) establer]
      (i dieci muli fa Carlo mettere-in-stalla)

    2. [SChevaliers] [Psui (Aje) voirement]
      (cavaliere sono io davvero)

Ma se in (4) la spiegazione aggiuntiva si trova alla fine della frase, in (5) e (6) si trova in mezzo alla frase stessa, più precisamente subito dopo il verbo flesso (come del resto in (4)), cioè nella tipica posizione di inversione – ma su questo la teoria di Schulze non ha niente da dire.

Se dunque la spiegazione funzionalista di Schulze può spiegare alcuni dei casi di inversione (quelli che rendono rematico il soggetto grammaticale – (2b) e (3)), non riesce a spiegare quei casi dove il soggetto postverbale è tematico, oltre a non aver niente da dire sulla specifica posizione immediatamente dopo il verbo flesso di questi soggetti. Inoltre la teoria di Schulze non ci dice niente sul fatto che nel soggetto logico di (3b–c) e nel predicato logico in inizio di frase di (4b) e di (5) l’ordine è XVflesso, una struttura che evidentemente rientra nella fenomenologia del V2.

Nonostante la teoria e le analisi di Schulze siano spesso acute e individuino in maniera corretta molti aspetti della organizzazione discorsiva della frase francese antica, non contribuiscono a una migliore comprensione del sistema V2. Mi è sembrato tuttavia utile esporle perché mostrano come una teoria che si basi solo su categorie semantico-pragmatiche (o discorsive), non sia in grado di render conto di un fenomeno strutturale come il V2. Cfr. anche sotto la sez. 2.1.

1.3. Delle difficoltà di una simile analisi si era del resto già accorto Rudolf Thurneysen (1892), che obietta a Schulze: se la siet li reis si spiega con la struttura soggetto logico-predicato logico indicata in (2b), come si spiega che in la, u li reis siet (là dove il re siede), che dovrebbe avere la stessa struttura “logica”, presenta un ordine delle parole diverso? La risposta di Thurneysen è che “Logische Motive lassen sich für diese Thatsache nicht angeben” [Non si possono addurre motivazioni logiche per questo fatto].

Invece di una spiegazione sincronica di carattere semantico-pragmatico, Thurneysen offre una spiegazione diacronica di carattere sintattico (anche se con origine fonetica), che si concentra proprio sulla seconda posizione del verbo nella frase (e non più sul fenomeno dell’inversione). Possiamo quindi dire che Thurneysen è stato il primo a interpretare il problema dell’ordine delle parole nelle lingue romanze medievali come problema del V2. Inoltre, la sua ipotesi ha un carattere più comprensivo rispetto a quelle precedenti perché per la prima volta cerca di mettere in relazione i fatti relativi all’ordine delle parole con due altri ordini di fatti apparentemente irrelati: la posizione dei clitici e l’espressione più o meno obbligatoria del soggetto.6

Dopo aver classificato dettagliatamente gli ordini delle parole attestati in Aucassin et Nicolette (testo piccardo probabilmente dell’inizio del XIII sec.), Thurneysen constata che il verbo flesso occupa normalmente la seconda posizione nell’ordine lineare – questa osservazione:

ruft direkt eine lateinische Erscheinung in Erinnerung […] die Tendenz, schwachbetonte Wörter beliebiger Art – ohne Rücksicht auf ihre engere logische Verbindung mit andern Satzteilen – dem ersten Worte des Satzes enclitisch anzugliedern. ‘richiama direttamente alla memoria un fenomeno latino […] la tendenza ad aggiungere encliticamente alla prima parola della frase le parole debolmente accentate di qualsiasi tipo – senza riguardo ai loro legami logici più stretti con altri membri della frase.’

Il fenomeno a cui si allude, poi noto come “legge di Wackernagel”, era stato studiato da Jacob Wackernagel appunto in un lavoro pubblicato in quello stesso anno.

Thurneysen riconduce dunque la posizione del verbo nella frase francese antica a una delle posizioni che il verbo poteva occupare in latino: se il verbo era “schwachbetont” (questo valeva per una parte delle forme del verbo sum), si attaccava encliticamente alla prima parola della frase. Questa posizione si sarebbe generalizzata a tutti i verbi, per cui:

Im Altfranzösischen steht das Verbum finitum unmittelbar hinter dem ersten Satzgliede, wenn dieses vollbetont ist (oder in einer ältere Sprachperiode vollen Ton tragen konnte); sonst reiht es sich dem nächsten volltonigen Satzgliede an.7 ‘In francese antico il verbo finito sta immediatamente dietro il primo membro della frase, se questo è accentato (o poteva essere portatore di accento in un periodo più antico della lingua); altrimenti si attacca al prossimo membro accentato della frase.’

Nelle frasi principali, dunque, il verbo segue il primo costituente ed occupa quindi la seconda posizione nell’ordine lineare:

  1. X' V …

nelle frasi coordinate e subordinate, invece, dove il primo elemento non era accentato, segue il primo costituente accentato:

  1. et/que X' V …

La spiegazione di Thurneysen è diacronica: “…es sich eben nur um Ergründung des Ursprungs der französischen Wortfolge handelt” ‘si tratta proprio solo di ricercare l’origine dell’ordine delle parole del francese’. Il suo scopo è di individuare il punto di partenza per lo sviluppo diacronico e non pretende quindi di offrire una descrizione sincronica esaustiva: “die […] Regel […] in keiner Periode für alle Sätze gegolten hat, sondern nur auf den Grundstock von Satztypen passt, welcher dem Bau der andern als Muster diente” ‘in nessun periodo la regola è stata valida per tutte le frasi, ma funziona solo con quei tipi di frase basici che servivano da modello alla costruzione degli altri’. D’altra parte, nonostante l’origine ultima sia individuata in un principio ritmico, questo era stato reinterpretato come un principio sintattico: “aus der zuerst rein rhythmischen Anordnung in frühromanischer Zeit ein syntaktisches Prinzip geworden war” ‘quello che era dapprima un ordinamento di natura puramente ritmica, era diventato nella prima fase romanza un principio sintattico’.

La spiegazione ha inoltre delle conseguenze anche per quanto riguarda la posizione dei pronomi clitici, poiché la legge di Wackernagel regola la posizione di tutte le parole atone: “Daraus folgt weiter, daß die vor dem Verbum stehende Pronomina ursprünglich nicht als Procliticae zum Verbum, sondern als Encliticae zu dem vorausgehenden Worte zu denken sind” ‘Ne consegue inoltre che i pronomi che stanno prima del verbo, in origine non dovevano essere analizzati come proclitici al verbo, ma come enclitici alla parola precedente’. In origine quindi dovevamo avere (indico con “=” l’unione del clitico con il suo supporto):

  1. que bien=le pues faire
    (che ben lo puoi fare)

Da questo possiamo derivare anche la legge Tobler-Mussafia. Con il verbo in seconda posizione avremo:

  1. X'=cl V …

e, poiché (già in latino) “[d]as Verbum tritt […] an die Spitze des Satzes, wenn es einen etwas stärkeren Accent trägt” ‘il verbo si può collocare all’inizio della frase se è portatore di un accento di una certa intensità’, e in tal caso “die alten Encliticae bleiben an der gewohnten zweiten Stelle” ‘gli antichi enclitici rimangono nell’abituale seconda posizione’, avremo anche:

  1. V'=cl

In base alla legge di Wackernagel i clitici sono sempre collocati dopo il primo costituente della frase, e compariranno prima o dopo il verbo a seconda che questo occupi nella frase la seconda posizione (come conseguenza della stessa legge) o la prima posizione (un’altra possibilità ereditata dal latino).

Ma in seguito “…die zufällig neben einander gerathenen Pronomina und Verba so eng mit einander verwachsen konnten, daß, so oft das Verbum diesen seinen Platz verläßt, es das Pronomen an andere Satzstellen mit sich fortreißt” ‘i pronomi e i verbi, che erano finiti gli uni accanto agli altri per caso, hanno potuto fondersi così strettamente che, ogniqualvolta il verbo lascia questa sua posizione, trascina con sé il pronome in altre posizioni della frase’ – i clitici a un certo punto diventano cioè adverbali, per cui (9) viene realizzata come (12):

  1. que bien le=pues faire

Un’ulteriore conseguenza dell’ipotesi di Thurneysen riguarda l’espressione del soggetto:

Aus den oben dargelegten Stellungsregeln ergibt sich nun u. a. ohne Weiteres, in welchen Fällen schon das Altfranzösische ein pronominales Subjekt aussetzen muß, aus syntaktischem Zwang, ganz abgesehen von andern Rücksichten. Es ist unumgänglich in allen Sätzen […], die sonst außer dem Exordium nichts als eine Verbalform enthielten. ‘Dalle regole di collocazione esposte sopra consegue ora tra l’altro direttamente in quali casi già il francese antico doveva utilizzare un soggetto pronominale, per costrizione sintattica, del tutto indipendentemente da altre considerazioni. È indispensabile in tutte le frasi […] che altrimenti, oltre al subordinatore iniziale, conterrebbero soltanto una forma verbale.’

In altre parole, nelle frasi subordinate, dove il complementatore o altro introduttore è una parola atona, è necessario che davanti al verbo compaia un costituente accentato (v. sopra (8)): questo può essere un soggetto lessicale (13a) o un costituente anteposto (13b); in assenza di questi è necessario l’uso di un soggetto pronominale (13c–d):

    1. Quant Aucassins oï dire Nicolete qu’…
      (quando Aucassin udì dire (a) Nicolette che…)

    2. que tant amoit
      (che tanto amava)

    3. qu’il aime
      (che egli ama)

    4. u vos estes
      (dove voi siete)

Thurneysen non è solo il primo a proporre un’ipotesi sul V2, ma è anche il primo che mette in relazione la posizione strutturale del verbo con la posizione dei clitici e con l’espressione del soggetto. Queste idee, indipendentemente dalla loro correttezza,8 si sono dimostrate molto feconde: saranno sviluppate negli anni seguenti da altri studiosi e saranno riprese in anni più recenti all’interno dell’ipotesi V2 sviluppata nel quadro della Grammatica Generativa.

1.4. Dell’ampia letteratura relativa al V2 e ai fenomeni connessi che è nata dopo l’articolo di Thurneysen e prima della ripresa di questi studi in ambito generativo, citerò qui solo la generalizzazione di Joseph Huber, che ha contribuito in maniera notevole a chiarire le relazioni tra struttura della frase e posizione dei clitici.

Nella sua introduzione allo studio del portoghese antico Huber (1933, par. 338) descrive nella seguente maniera la collocazione dei clitici in frasi in cui il verbo sia preceduto immediatamente da un oggetto diretto:

Wenn das Objekt (Nomen) den Satz beginnt bzw. dem Prädikat vorangeht, so sind folgende Stellungen des Pronomens zu beobachten:

1. Nach dem Prädikat (Verb): Wenn das nominale Objekt dem Prädikate vorausgeht und durch ein Pronomen wieder aufgenommen wird, so wird dieses dem Verbum angehängt: […] E as galees || emcostou-as so os ramos d’ellas (Nunes 23). […]

2. Vor dem Prädikat (Verb): Tall serviço lhe pode fazer huum homem pequeno (Fab. 46).

‘Quando l’oggetto (rappresentato da un nome) sta all’inizio della frase ovvero precede il predicato, si possono osservare le seguenti collocazioni del pronome: 1. dopo il predicato (verbo): quando l’oggetto nominale precede il predicato e viene ripreso con un pronome, questo viene encliticizzato al verbo: (e le galee accostolle sotto i rami di quelle); 2. prima del predicato (verbo): (tal servizio gli può fare un uomo piccolo).’

Se dunque l’oggetto diretto è ripreso con un clitico, il clitico di ripresa segue e non può precedere il verbo:

  1. Oi V cli / *Oi cli V

Secondo Huber, che si riallaccia a Meyer-Lübke, in questi casi tra l’oggetto diretto e il verbo abbiamo una pausa ritmica (indicata con la doppia barra), segno che l’oggetto diretto è in qualche maniera esterno alla frase, ed è per questo che c’è il clitico di ripresa – il verbo sta quindi all’inizio della frase e abbiamo enclisi per la legge Tobler-Mussafia. Se invece non c’è clitico di ripresa, gli eventuali clitici precedono e non possono seguire il verbo:

  1. Oi clj V / *Oi V clj

In questi casi il rapporto tra oggetto diretto e verbo è “stretto” (l’oggetto diretto è interno alla frase) e non abbiamo bisogno di un clitico di ripresa – il verbo è in seconda posizione e quindi i clitici lo precedono, sempre per la legge Tobler-Mussafia.

L’importanza di questa regola sta nel fatto che distingue in maniera chiara tra due posizioni preverbali diverse: quelle che comportano la proclisi e quelle che comportano l’enclisi. Per Huber queste posizioni sono distinte dal punto di vista prosodico, ma possiamo immaginare che lo siano anche dal punto di vista strutturale poiché sono correlate con una proprietà sintattica: l’assenza vs presenza di un clitico di ripresa. Siccome poi, se l’oggetto diretto precede non-immediatamente il verbo, abbiamo regolarmente la ripresa (16), possiamo concludere che le due diverse posizioni sono anche linearmente ordinate: quella che richiede la ripresa precede quella che non la richiede (17):

    1. Oi X cli V / *Oi X (clj) V

    2. aquela donzela, quem na matou? (Riiho 1988, 70)
      (quella donzella chi la uccise?)

  1. O+ripresa | O–ripresa V

Questo ci permette anche una definizione più precisa del V2 (che Huber non tratta): per il computo del V2 conta solo la posizione senza ripresa – in (17) il verbo è strutturalmente in seconda posizione anche se occupa la terza posizione nell’ordine lineare.

La generalizzazione individuata da Huber ci fornisce dunque la base per stabilire correlazioni precise tra ordine delle parole, posizione dei clitici e uso di clitici di ripresa – un elemento importante per testare le nostre ipotesi sulla struttura della frase nelle lingue romanze medievali.

1.5. Una nuova fase negli studi sul V2 comincia con un articolo di Paola Benincà (1983/1984) che applica alle lingue romanze medievali il tipo di analisi che in quegli anni si stava elaborando per le lingue germaniche nel quadro della Grammatica Generativa.9

La struttura proposta è riprodotta nella Figura 1 (in versioni successive le categorie funzionali utilizzate saranno adeguate all’evoluzione della teoria; cfr. Benincà 2006):

A partire da questa struttura astratta l’ordine superficiale delle parole si ottiene spostando il verbo finito nella posizione del complementatore (sotto F') ed eventualmente uno dei costituenti della frase (il soggetto, l’oggetto diretto, un avverbio, ecc.) nella posizione dei sintagmi interrogativi e relativi che precede quella del complementatore (sotto F"). A partire cioè dall’ordine basico SVOX si ottiene con il primo passo l’ordine VSOX ed eventualmente con un secondo passo gli ordini alternativi SVOX, OVSX, XVSO.

Questo modello, come a suo tempo quello di Thurneysen a livello diacronico, è in grado di spiegare il funzionamento del V2 a livello sincronico e inoltre, con piccole integrazioni, anche la posizione dei clitici e l’espressione o meno del soggetto. Il modello spiega:

a) automaticamente come il verbo finito si trovi sempre nella seconda posizione della frase, o nella prima se nessun costituente è stato anteposto;

b) il fenomeno dell’inversione – anche se invertendone i termini: non è il soggetto che abbandona la sua posizione preverbale, ma il verbo che va a occupare una posizione strutturale che nell’ordine lineare precede immediatamente quella del soggetto, e con questo si spiega anche perché il soggetto si trovi immediatamente dopo il verbo finito, e non in una qualsiasi posizione postverbale;

c) la varietà di costituenti che possiamo trovare in posizione preverbale, rispetto all’ordine piuttosto rigido dei costituenti in posizione postverbale;

d) l’asimmetria principali/subordinate, che era già stata notata nella letteratura precedente e che caratterizza anche le lingue germaniche: siccome nelle subordinate la posizione del complementatore è occupata concretamente dal complementatore stesso (o astrattamente dal sintagma interrogativo/relativo che la precede e la lega), il verbo finito non può spostarsi, e i costituenti mantengono quindi l’ordine basico SVOX;

e) l’espressione o meno del soggetto con un pronome, spiegata con la posizione del soggetto rispetto al verbo (regola valida solo per una parte delle lingue romanze): il soggetto può rimanere non-espresso solo se si trova nel dominio del verbo – così nelle principali un soggetto nullo è possibile solo nei contesti di inversione, quando cioè il soggetto rimane nella sua posizione di base, nel dominio del verbo finito che lo precede; nelle subordinate, invece, dove il verbo non si sposta in una posizione superiore (punto d), il soggetto deve essere sempre espresso;

f) la posizione dei clitici, che si decide nella struttura della Figura 1 a seconda che la posizione sotto F" sia occupata (proclisi) o meno (enclisi) – il modello prevede anche posizioni “esterne” rispetto a questa struttura, ma i costituenti in queste posizioni non contano per la collocazione dei clitici, come abbiamo visto in 1.4.

1.6. Come succede normalmente con le idee intuitivamente semplici che cercano di dar conto di una vasta gamma di fatti, anche il modello presentato nella sezione precedente si scontra con una quantità di problemi empirici, una parte dei quali era già nota al momento della sua pubblicazione. Ma come succede con le idee geniali, invece di portare al suo rifiuto, il potere esplicativo del modello ha piuttosto stimolato un approfondimento degli studi all’interno delle sue linee guida, che ha portato a integrazioni, riformulazioni e attualizzazioni del modello, non sempre compatibili tra di loro, ma che hanno contribuito al rilevamento di ulteriori dati empirici e in ogni caso a una migliore comprensione del funzionamento dell’ordine delle parole nelle lingue romanze medievali.

Non possiamo fare qui una rassegna di tutti questi studi – mi limito a ricordare un paio di difficoltà relative ai punti b, d ed e della sezione precedente, che in parte aspettano ancora di essere risolte (v. anche sotto la sez. 3).

Il soggetto postverbale (punto b) non segue sempre immediatamente il verbo flesso. Una parte di questi casi riguardano soggetti rematici, che in genere occupano una posizione dopo le forme non-finite del verbo (Poletto 2010, par. 2.2.2):

  1. a voi sono già fatti diecimilia disinori (Novellino, 51, r. 6)

Ma troviamo nella stessa posizione anche soggetti tematici (19), che in base al modello dovrebbero stare immediatamente dopo il verbo flesso, come in (20):10

    1. però ha sciampiato [spalancato] il ninferno il seno suo (21.7)

    2. tanto è ita innanzi la mia malizia [malattia], che m’hanno lasciato li medici per disperato (3.11)

    1. Dacch’ebbe la Filosofia posto fine al suo consiglio e alle parole de’ suoi amonimenti (13.1)

    2. quivi sono le femine di sozze cose richeste (21.5)

    3. dacch’erano tutte e tre serocchie raunate con tutte lor genti (54.4)

    4. perciò sono le sue armi nere (40.10)

A prima vista la collocazione postparticipiale di un soggetto tematico sembrerebbe favorita con l’ausiliare avere, come in (19a) e nel secondo esempio di (19b), quella dopo il verbo finito con l’ausiliare essere, in tutti i suoi usi (passivo (20b), perfettivo (20c), copula (20d)), ma abbiamo anche soggetti tematici postparticipiali con essere (primo esempio di (19b)) o collocati dopo il verbo flesso con avere (20a).

L’asimmetria tra principali e subordinate (punto d) non è così netta come previsto dal modello: subordinate con l’ordine V2, cioè XV… invece di SV… (21), o con il soggetto postverbale (22) sono piuttosto frequenti in tutte le lingue romanze:

    1. quant primes pert li albe (Chanson de Roland 2845)
      (quando prima appare l’alba)

    2. qui sa guerre avoit a furnir (Thurneysen 1892)
      (che [la] sua guerra aveva da portare-avanti)

  1. que li tramist li reis de Suatilie (Chanson de Roland 90)
    (che gli mandò il re di Satalia)

Inoltre, a differenza di quello che avviene nella gran parte delle lingue germaniche, nelle lingue romanze medievali il verbo finito precede l’avverbio sia nelle principali che nelle subordinate (23) – nelle lingue scandinave continentali, invece, in cui l’ordine basico delle parole è, come nelle lingue romanze, SVOX, il verbo finito precede l’avverbio nelle principali, ma nelle subordinate lo segue, come negli esempi svedesi in (24):

    1. tu n’ies mie des noz (Chanson de Roland 2286)
      (tu non sei mica dei nostri)

    2. que n’en pout mie freindre (ibid. 2314)
      (che non ne [= la] può mica spezzare)

    1. Jag har inte gett boken till henne
      (io ho neg dato il-libro a lei)

    2. …at jag inte har gett boken till henne
      (che io neg ho dato il-libro a lei)

Gli ess. (21)–(22) mostrano che la posizione occupata dal verbo finito nelle strutture V2 doveva o poteva essere diversa da quella del complementatore, con la presenza del quale la struttura V2 è compatibile, diversamente da quella che è la situazione prevalente nelle lingue germaniche. Il confronto tra (23) e (24) mostra poi che nelle lingue romanze medievali il verbo finito saliva sempre in una posizione strutturale più alta (davanti agli avverbi), anche nelle subordinate, di nuovo diversamente da quella che è la situazione prevalente nelle lingue germaniche.

L’espressione obbligatoria del soggetto nelle subordinate (punto e) è tutt’altro che regolare. Anche in francese antico, dove la regola è osservata piuttosto rigidamente, e in particolare nei testi più antichi, troviamo subordinate di tutti i tipi con il soggetto non-espresso: completive (25a–c), avverbiali (25d), relative (25e):

    1. que face sun servise (Chanson de Roland 298)
      (che [io] faccia [il] suo servizio)

    2. que recevez la lei de chrestiens (ibid. 471)
      (che riceviate la legge di cristiani)

    3. que me remembre de la dolur e de l’ire (ibid. 489)
      (che mi sovvenga[3sg] del dolore e dell’ira)

    4. puis quel comant (ibid. 328)
      (poiché-lo comando)

    5. que devuns aürer (ibid. 124)
      (che dobbiamo adorare)

Il fenomeno può essere correlato alla possibilità del V2 nelle subordinate, ma sembrano essere rilevanti anche fattori come l’uso del congiuntivo (25a–c) e/o di certe persone, in particolare la 1. e 2. pl. Cfr. la precoce discussione del problema in Vanelli et al. (1985/1986) e l’accurata raccolta di dati in Zimmermann (2014) (su cui cfr. Salvi 2015).

2 Obiezioni

Contro l’ipotesi V2 sono state sollevate varie obiezioni, che raggrupperei in tre tipi fondamentali: c’è chi semplicemente nega che il fenomeno sia rilevante (2.1); c’è chi riconosce la rilevanza del fenomeno, ma trova che quello che abbiamo nelle lingue romanze non è V2, ma una costruzione solo simile, non uguale (2.2); c’è infine chi riconosce la presenza del V2 nelle lingue romanze, ma nega che le lingue romanze si possano considerare lingue V2 dato che le strutture V2 spiegano solo una parte degli ordini possibili (2.3). Tratteremo questi tre approcci discutendo tre lavori che mi sembrano rappresentativi dei singoli tipi. In appendice a questa sezione tratterò, sempre in base a un lavoro rappresentativo, anche il caso in cui il modello V2 viene accettato, ma la giustificazione empirica addotta mi sembra insufficiente (2.4).

2.1. Il poco interesse per i fenomeni connessi con il sistema V2 è in genere caratteristico delle ricerche di stampo funzionalista in cui l’ordine delle parole viene spiegato in base ai ruoli pragmatici di tema e di rema (o simili), e che dedicano poca attenzione ai fenomeni strutturali.

In questa corrente di studi si inserisce per es. il libro di Frédéric Nicolosi (2019), dedicato all’italiano antico (su cui cfr. Salvi in stampa). L’autore elimina subito all’inizio l’ipotesi V2: “Im Gegensatz zu eine sich zunehmend verbreitenden Auffassung ist das Altitalienische […] keine Sprache mit obligatorischer Verbzweitstellung (V2)” ‘Contrariamente a una concezione che si sta sempre più diffondendo, l’italiano antico non è una lingua con il verbo obbligatoriamente in seconda posizione’ (25–26).

Nicolosi adduce due argomenti a sostegno della sua affermazione, ambedue piuttosto superficiali:

a) in base a una coppia di esempi come Allora parlò messer Migliore/Allora Guiglielmo parlò, l’autore conclude che l’inversione del soggetto era facoltativa, diversamente da quello che abbiamo in una lingua V2 come per es. il tedesco; ma questa analisi non tiene conto del fatto che nei due esempi allora poteva eventualmente occupare posizioni strutturali diverse, che cioè si tratti di due costruzioni differenti, come nel caso dell’anteposizione dell’oggetto (con inversione) e della dislocazione a sinistra (senza inversione), due costruzioni che anche Nicolosi riconosce come distinte;

b) l’autore nota inoltre che, mentre nelle lingue V2 è obbligatorio l’uso di un soggetto espletivo in certe condizioni (ted. Es war ein König [esso era un re] ‘C’era un re’), in italiano antico questo non compare (Fue uno re) o è al massimo facoltativo (Egli è il vero che…/È il vero che…); ma la presenza e l’uso di un pronome espletivo è una questione indipendente da quella del V2, e si può spiegare con le diverse proprietà del sistema pronominale dell’italiano antico rispetto a quello delle lingue germaniche (cfr. su questo la seconda parte di Haiman 1974).

Questo rifiuto sbrigativo dell’ipotesi V2 sembra piuttosto una questione di principio perché il centro di interesse per Nicolosi è l’individuazione delle funzioni pragmatico-discorsive e l’autore dedica in realtà poca attenzione ai fatti strutturali su cui si basa il modello V2. Così, pur riconoscendo l’esistenza del fenomeno dell’inversione, non ne offre nessuna spiegazione.

2.2. Più interessanti sono le discussioni nate all’interno del modello generativo. Uno dei problemi sollevati è quello della classificazione dei fenomeni romanzi in prospettiva comparativa: quello che si è voluto chiamare V2 nelle lingue romanze medievali, è lo stesso fenomeno che troviamo nelle lingue germaniche?

Questo è negato da Georg Kaiser (2002), che parte dalla seguente definizione:

[…] alle Verb-Zweit-Sprachen dadurch gekennzeichnet sind, dass die Kongruenz- und Finitheitsmerkmale in COMP basisgeneriert sind […] in allen Matrixsätzen dieser Sprachen ist stets die CP-Ebene aktiviert, da das finite Verb stets nach COMP bewegt werden muss. ‘[…] tutte le lingue a verbo secondo sono caratterizzate dal fatto che i tratti di accordo e di finitezza sono generati basicamente in COMP […] in tutte le frasi matrici di queste lingue la proiezione CP viene sempre attivata poiché il verbo finito deve sempre essere spostato in COMP.’ (33)

A questa definizione l’autore aggiunge un’ulteriore condizione:

Die Bildung von Verb-Dritt-Matrixsätzen ist dadurch ausgeschlossen, dass die Möglichkeit einer CP-Rekursion generell ausgeschlossen bzw. nur auf wenige, durch einzelsprachliche Bedingungen streng festgelegte Kontexte beschränkt ist. ‘La formazione di frasi matrici con verbo in terza posizione è esclusa perché la possibilità di ricorsione della proiezione CP è in generale esclusa o è limitata solo a pochi contesti rigorosamente stabiliti da condizioni variabili lingua per lingua.’ (33)

La limitata possibilità di ricorsione della proiezione CP è in effetti una caratteristica del V2 delle lingue germaniche. In base a queste due premesse Kaiser conclude:

[…] weist der altfranzösische Text zahlreiche Sätze mit einer V>2-Stellung auf, die in dieser Form nicht in den germanischen Sprachen anzutreffen sind und gegen die Annahme der strengen Verb-Zweit-Stellungseigenschaft im Altfranzösischen sprechen. ‘[…] il testo francese antico [esaminato] presenta numerose frasi con il verbo in posizione V>2 [cioè in terza, quarta, ecc. posizione], frasi che in questa forma non si trovano nelle lingue germaniche e che costituiscono un argomento contro l’ipotesi che il francese antico fosse una lingua a verbo secondo rigido.’ (143)

Qui potremmo sollevare un’obiezione: dal punto di vista empirico la conclusione è apparentemente basata su un fenomeno di ordine lineare, mentre l’ipotesi V2 è un’ipotesi strutturale – in altre parole, quando troviamo un verbo in terza, quarta, ecc. posizione, dovremmo in primo luogo chiederci quali sono le caratteristiche dei costituenti soprannumerari, vedere se sono diverse da quelle del costituente immediatamente preverbale, se sono simili a quelle dei (seppur rari) costituenti soprannumerari delle lingue germaniche, ecc.11 In ogni caso qui Kaiser introduce una differenza tra V2 rigido (tipico delle lingue germaniche) e V2 “flessibile” (tipico delle lingue romanze) – ma come vedremo sotto, questa è una differenza sul piano osservativo, che riguarda solo l’ordine lineare.

Kaiser nota inoltre che, diversamente dalle lingue germaniche che ammettono il V2 (ma non V>2) nelle subordinate, il francese antico ammette anche V>2 (144), come in (26):

    1. si que l’um bien le saverad
      (così che l’uomo ben lo saprà)

    2. que que Rollant a Guenelun forsfesist
      (che che Orlando a Gano torto-facesse)
      ‘qualsiasi torto Orlando abbia fatto a Gano’

Anche questa osservazione riguarda l’ordine lineare.

Invece Kaiser, correttamente, non utilizza come argomenti altre differenze come la presenza dell’ordine V1 nelle dichiarative (una possibilità presente anche in islandese, nota come Narrative Inversion) e la poca frequenza dell’ordine XVS nelle lingue romanze medievali rispetto alle lingue germaniche (dovuta alla non-obbligatorietà dell’espressione del soggetto in posizione postverbale).

La conclusione di Kaiser è in ogni caso che:

Trotz der […] massiven Präsenz solcher [= V2] Sätze […] müssen diese Sätze als IP-Rekursionen mit einer damit verbundenen Verb-nach-INFL-Bewegung analysiert werden. Es handelt sich hierbei nur um scheinbare Verb-Zweit-Effekte. ‘Nonostante la presenza massiccia di frasi con il verbo in seconda posizione, queste devono essere analizzate come casi di ricorsione di IP con un rispettivo spostamento del verbo in INFL. Si tratta in questo caso solo di effetti V2 apparenti.’ (153)

Mentre dunque le lingue germaniche, per realizzare le strutture V2, utilizzano normalmente la proiezione CP, che ammette una ricorsione molto limitata, le lingue romanze medievali utilizzano la proiezione IP, che ammette ricorsione libera e quindi permette di spiegare facilmente gli ordini con il verbo in terza, quarta, ecc. posizione. E coerentemente con la definizione iniziale, è V2 solo quello che si realizza a livello di CP, mentre quello che si realizza a livello di IP è un V2 solo apparente: strutturalmente è V2 solo il V2 linearmente rigido, il V2 linearmente “flessibile” non è V2. Le lingue romanze medievali presentano un V2 “flessibile”, quindi non sono lingue V2.

Indipendentemente dai problemi di teoria che stanno dietro all’analisi di Kaiser (ricorsività delle diverse proiezioni) e che sono stati superati dall’evoluzione della teoria stessa, la discussione sembra ruotare intorno a una questione terminologica: chiamiamo V2 la costruzione che troviamo nelle lingue germaniche, e siccome quella che troviamo nelle lingue romanze medievali è diversa, dobbiamo chiamarla con un altro nome. Ci scontriamo qui fondamentalmente con due problemi: uno empirico e uno teorico.

Il problema empirico è quello di vedere se la dicotomia stabilita da Kaiser è valida o meno. Nella Tabella 1 ho raccolto alcune proprietà dell’ordine delle parole che sono in genere variabili nelle lingue che presentano strutture V2 (con “limitato >” indico che il fenomeno è più limitato che nella lingua della colonna successiva):12,13

Come si vede, le lingue germaniche non costituiscono un blocco unitario: se confrontiamo il tedesco con l’italiano antico, lo stacco è certo molto netto, ma se il confronto è tra islandese e italiano antico, la differenza è meno netta, e se tra islandese e italiano antico inserissimo il francese antico, otterremmo un altro gradino intermedio.14 Un confine si può sicuramente tracciare, ma ci si può chiedere se avrebbe molto senso.

A questo si riallaccia il problema teorico: secondo Chomsky (1981: 7; 1995: 170), le costruzioni sono degli aggregati superficiali (“taxonomic artifacts”) senza rilevanza teorica, quello che conta sono le operazioni elementari con le quali queste costruzioni sono generate (che per semplicità chiamerò “regole”). Anche nel caso del V2 ci troviamo di fronte a una fenomenologia superficiale generata da un insieme di regole: la variazione di queste regole dà origine a strutture con proprietà diverse come il V2 del tedesco, il V2 dell’islandese, il V2 del francese antico, ecc. Lo scopo della ricerca è quello di individuare queste regole e di vedere come possono interagire tra di loro, dando così origine a strutture anche superficialmente diverse. Siccome le regole che interagiscono sono molte, non possiamo aspettarci che diano origine a gruppi di strutture chiaramente distinti – ci aspettiamo piuttosto che le strutture superficiali formino un continuum, con differenze anche minime tra una struttura e l’altra determinate dalla differente applicazione di una sola tra le tante regole (e naturalmente non ci aspettiamo che questo continuum sia unidirezionale, come rappresentato un po’ semplicisticamente nella Tabella 1).

In questa prospettiva il problema di come chiamare il V2 romanzo diventa puramente nominalistico. L’importante è scoprire, classificare e spiegare le sue proprietà. Con questo non voglio negare che i due tipi di V2 possano essere distinti da un numero sufficiente e coerente di proprietà – ma sicuramente ci sono proprietà comuni, e per questo una denominazione comune non guasta.

2.3. Diversamente da Kaiser, Ana Maria Martins (2019) non pensa che le lingue romanze antiche non possedessero un sistema V2. La sua definizione del V2 è infatti più permissiva, perché ammette, al di sopra della proiezione CP, anche un dominio per i Topic:

[A] V2 language displays the following properties: (i) verb movement to C […]; (ii) merge of an XP in Spec,CP […]; (iii) Verb third or more orders (V>2) are possible only when the topic field is activated, which means that left dislocated constituents and topics in general are irrelevant for the computation of verb second. ‘Una lingua V2 presenta le seguenti proprietà: (i) spostamento del verbo in C; (ii) assemblaggio di un XP in Spec,CP; (iii) il verbo può comparire in terza, quarta, ecc. posizione solo se viene attivato il dominio del topic, il che significa che i costituenti dislocati a sinistra e i topic in generale sono irrilevanti per il computo del verbo secondo.’

Siccome nel “Topic field” possiamo trovare solo Topic, mentre per Spec,CP non abbiamo restrizioni di questo tipo, per frasi che contengono sia costituenti topicalizzati sia costituenti focalizzati in posizione preverbale, questo sistema prevede l’ordine:

  1. Topic – Focus – V

dove il Topic sta nel “Topic field”, il Focus in Spec,CP e V in C, come nell’esempio galego-portoghese (28), da confrontare con (16), sopra:

  1. [a voz]i [bem] ai ouviam
    (la voce ben la udivano)

Ma Martins nota che in galego-portoghese antico troviamo anche frasi con l’ordine:

  1. Focus – X* – V

che non possono essere generate dal sistema V2:

    1. [ja]Focus [nos]Topic [este ceruo]Topic [outra uez]Focus uimos
      (già noi questo cervo altra volta vedemmo)

    2. [ja]Focus [uos]Topic [bem]Focus sabedes que…
      (già voi ben sapete che)

Nota inoltre che in galego-portoghese antico troviamo anche esempi che falsificano una generalizzazione stabilita da Paola Benincà (2006) per i sistemi V2, secondo cui “in a main clause, an object can precede the verb and lack a clitic copy only if no lexical material intervenes between the object and the verb (except for clitics and the negative marker)” ‘in una frase principale un oggetto può precedere il verbo senza un clitico di ripresa solo se non interviene nessun materiale lessicale tra l’oggetto e il verbo (eccetto clitici e la particella negativa)’ (si tratta di un corollario della generalizzazione che abbiamo discusso in 1.4). In (31)–(32), infatti, l’oggetto diretto non precede direttamente il verbo flesso, ma non abbiamo clitico di ripresa:15

  1. esto nemhuum nõ demãde
    (questo nessuno non domandi)

  2. eu Vicente Anes […] esta carta cõ mha mão escreuy e meu sinal en ela pugi en testemoyo de verdade16
    (io Vicente Eanes questa carta di mia mano scrissi e [il] mio contrassegno in essa posi come garanzia di verità)

Siccome nelle lingue romanze antiche esistono strutture come (30) e come (31)–(32) che non possono essere generato da un sistema V2, Martins conclude:

[T]he fact that some V2 structures exist in a particular language does not make it a V2 language. But the fact that some unequivocal non-V2 structures are a grammatical option in a particular language constitutes sufficient evidence against a V2 classification. ‘Il fatto che in una lingua particolare esistano alcune strutture V2, non fa di questa una lingua V2. Ma il fatto che alcune strutture inequivocabilmente non-V2 siano grammaticali in una lingua particolare, costituisce una prova sufficiente contro una sua classificazione come V2.’

I fatti notati da Martins erano già noti: Thurneysen (1892) cita esempi simili a quelli in (30) per il francese antico:

    1. [Ja]Focus [Dix]Topic ne me doinst riens
      (già Dio non mi dia niente)
      ‘Che Dio non mi conceda niente’

    2. [ja mais]Focus [hom]Topic [en vo tere]Topic [d’enfant]Focus ne gerra
      (già mai uomo in vostra terra di bambino non genererà)
      ‘mai più nel vostro paese si genererà un figlio’

mentre Schulze (1884b: 327; 1888: 217–218) cita esempi strutturalmente simili a quelli in (31)–(32):

  1. ma coupe coment ot il?
    ([la] mia coppa come ebbe egli)

e nota che se tra l’oggetto diretto e il verbo si trova un costituente interrogativo, “die Wiederaufnahme […] nicht not thut” ‘la ripresa non è necessaria’.

Ambedue i fenomeni sono ampiamente esemplificati anche nella più approfondita trattazione dell’ordine delle parole in francese antico, quella di Povl Skårup (1975): il tipo con ordine Focus–Topic alle pp. 449–455 (35) e quello senza ripresa alle pp. 437–441 (36):

  1. [Ja]Focus [pur murir]Topic [le camp]Focus ne guerpirunt
    (già per morire il campo non abbandoneranno)
    ‘anche se dovessero morire, non lasceranno il campo’

  2. La cruiz arceveskal il meïsmes porta
    (la croce arcivescovile egli stesso portò)

Skårup ricostruisce per il tipo Focus-Topic una struttura

  1. que + Spro + ja/onques17 + X* + V

alternativa alla struttura V2, di cui dice che “Ce modèle cesse de s’employer dans la première moitié du XIVe siècle” ‘Questo modello non si usa più a partire dalla prima metà del XIV. sec.’ (515), e aggiunge che “le modèle moderne [= V2] remonte au moins à la seconde moitié du XIIe siècle. Ainsi les deux modèles ont coexisté pendant un siècle et demi” ‘il modello moderno risale almeno alla seconda metà del XII secolo. Così i due modelli sono coesistiti durante un secolo e mezzo’ (516). Avremmo quindi due grammatiche in concorrenza, una più antica e recessiva e una innovativa, che dopo un certo tempo finisce per spodestare la prima – il processo nel periodo documentato doveva già essere molto avanzato, perché il tipo recessivo era molto più raro. La stessa situazione doveva valere in galego-portoghese antico, perché anche Martins nota che “the frequency of the proper non-V2 root clauses in texts is possibly low” ‘è possibile che la frequenza nei testi delle frasi matrici non-V2 sicure sia bassa’.

Alla stessa conclusione ero arrivato in Salvi (2001) in base ai dati del galego-portoghese antico:

[I]n the earliest stages of the Romance languages two sentence structures were in competition: an innovative one, that we may characterize as a typical V2 system, and a conservative one, found chiefly in subordinate clauses and only sporadically in main clauses, which partially keeps up the sentence structure of Latin. ‘Nella fase più antica delle lingue romanze erano in competizione due diverse strutture frasali: una innovativa, caratterizzata da un tipico sistema V2, e una conservativa, attestata soprattutto nelle subordinate e solo sporadicamente nelle principali, che continua parzialmente la struttura di frase latina.’

Il passaggio dal latino alle lingue romanze è caratterizzato, per quanto riguarda l’ordine delle parole, dalla sostituzione dell’ordine SOV con un ordine a verbo (quasi-)iniziale (V1, poi V2; cfr. Salvi 2004: cap. 3), ma l’ordine antico si deve essere conservato come relitto per molto tempo, riducendo sempre più il suo ambito d’uso e le sue possibilità combinatorie. Questa è la situazione normale nel cambiamento linguistico, e non ci deve far misconoscere il fatto che le lingue romanze sono diventate molto presto lingue V1/V2, pur trascinandosi dietro relitti della situazione precedente.

Credo che anche l’altro fenomeno messo in luce da Martins, quello dell’oggetto diretto non-immediatamente preverbale senza ripresa, possa avere una spiegazione simile. In Salvi (2012) ho notato come sia strano che nella posizione Spec,CP dei sistemi V2 possano comparire sia costituenti focalizzati, sia costituenti con valore di tema o Topic, proponendo che:

[T]he possible occurrence of constituents with different pragmatic functions in the same structural position might also suggest […] that the analysis must rather be refined, and that the functions of theme and focus are paired with two different positions, not with a unique one […] although ordinarily only one of them may be realized. ‘Il fatto che costituenti con funzioni pragmatiche differenti possano [apparentemente] ricorrere nella stessa posizione strutturale, potrebbe anche suggerire che si dovrebbe piuttosto perfezionare l’analisi, e che le funzioni di tema e di fuoco siano collegate a due posizioni differenti, non a una sola, benché di solito solo una di queste possa essere realizzata.’

Che le posizioni fossero due, e non una, sarebbe dimostrato appunto da casi come (31), (34) e (36), in cui l’oggetto diretto tematico non si troverebbe nel “Topic field” (che richiede la ripresa), ma nello Spec,CP, più precisamente in una delle due posizioni in cui lo Spec,CP deve essere scisso, quella riservata ai costituenti tematici. Avremmo così la struttura (38), con tutte le posizioni occupate da un costituente (esempio costruito):

  1. [li reis]Top | [ma coupe]Th [coment]Foc ot il ?
    (il re [la] mia coppa come ebbe egli)

Normalmente però solo una delle due posizioni interne poteva essere occupata:

    1. [li reis]Top | [___]Th [coment]Foc ot il ma coupe ?
      (il re come ebbe egli [la] mia coppa)

    2. [li reis]Top | [ma coupe]Th [___]Foc ot il ainsi
      (il re [la] mia coppa ebbe egli così)

Come abbiamo detto in 2.2, il V2 deve essere considerato come il risultato superficiale dell’interazione di varie regole – queste regole variano da lingua a lingua, ma naturalmente variano anche in una stessa lingua con il passare del tempo. Il tipo rappresentato da (38) è raro e sicuramente recessivo, e possiamo forse interpretarlo come la sopravvivenza di un sistema più permissivo che è stato sostituito dal sistema più restrittivo del V2 “classico”. Se accettiamo questa interpretazione, esempi come (31), ecc. non sono estranei al sistema V2, sono solo realizzazioni diverse dello stesso sistema.

L’articolo di Martins mette in luce strutture attestate dalle lingue romanze medievali che sembrano problematiche per l’ipotesi V2, ma queste riflettono in realtà solo l’architettura complessa di una lingua storica, che presenta strati diversi, e non rappresentano un problema per l’ipotesi V2 in sé, e neanche per la tesi che le lingue romanze medievali fossero lingue V2.

2.4. Come abbiamo visto, l’ipotesi V2 è un’ipotesi sulla struttura della frase, solo indirettamente sull’ordine delle parole. Per questo in linea di principio non conta quanti costituenti compaiono prima del verbo, ma che proprietà hanno questi costituenti e in che modo interagiscono con altri fenomeni linguistici, come la posizione dei clitici (v. 1.4). Il riconoscimento di un sistema V2 non può quindi avvenire in base a puri dati lineari, ma si deve mostrare che i costituenti interessati hanno le proprietà richieste.

Adam Ledgeway (2017) sostiene che l’ordine delle parole nell’Itinerarium Egeriae (V sec.) sia già regolato da un sistema V2. Buona parte dell’argomentazione è basata su rilevamenti dell’ordine lineare che trattano il testo come se fosse un testo omogeneo. Ora è noto che in generale “[l]a lingua di un testo non può essere descritta semplicemente come un ‘sistema’ […] Lo scrittore, non meno del parlante, si muove tra sistemi diversi, anche quando sia monolingue” (Renzi 1976), e questo è tanto più valido nel caso di testi come quelli latini volgari: “Egeria non scrive certo in latino reale, ma si muove tra la norma classica (che conosce male, ma a cui fa pur sempre appello) e quelle che sono probabilmente norme nuove” (ibid.).

Una buona pratica, in questi casi, sarebbe quella di confrontare le previsioni che fa un’analisi che considera il testo un testo di latino classico, con quelle che fa un’analisi che lo considera un testo romanzo, e vedere se troviamo casi compatibili solo con la seconda analisi – questi casi mostrerebbero che nel testo traspaiono fenomeni della lingua colloquiale (i casi compatibili solo con la norma classica, invece, sono attesi, trattandosi di un testo scritto con intenzioni letterarie). Questa è la prassi che è sempre stata seguita nello studio dei testi latini volgari.

Sono personalmente convinto che una parte delle conclusioni di Ledgeway siano corrette (cfr. Salvi 2004: 111), ma mi sembra che in molti casi i dati presentati non siano sufficienti per sostenere l’ipotesi proposta. In base a quanto visto sopra in 1.4, per es., ci aspettiamo una stretta interazione tra ordine V2 e posizione dei clitici. Vediamo che cosa ci dicono i dati presentati da Ledgeway su questo punto.

Secondo le statistiche dell’autore il testo completo presenta ca. 660 esempi di ordine lineare V2. Di questi l’articolo ne riporta ca. il 10% e solo in 14 esempi compaiono forme che probabilmente possiamo analizzare come (proto-)clitici. In quanto segue esaminerò solo questo campione18 e per questo le mie conclusioni potranno essere solo di carattere metodologico – infatti conclusioni sull’ipotesi empirica di Ledgeway potrebbero essere tratte solo da un’analisi esaustiva degli esempi rilevanti.

In 5 dei 14 esempi l’elemento che precede il verbo è una frase subordinata – il clitico è sempre postverbale, come sarebbe stato nel caso dei pronomi deboli del latino classico e come inizialmente doveva essere anche nelle lingue romanze medievali:

  1. peruenientes ad monasteria quedam susceperunt nos ibi satis humane monachi
    ‘arrivati a degli eremitaggi, lì i monaci ci ricevettero molto ospitalmente’

La posizione del clitico mostrerebbe che la subordinata iniziale è esterna rispetto alla frase centrale e che quindi abbiamo a che fare con una frase a verbo iniziale.

In 2 esempi in subordinata il clitico si trova dopo il complementatore, come in latino classico (una collocazione che nelle lingue romanze medievali è recessiva e appartiene probabilmente alla struttura di frase non-V2 tipizzata in (37); Ledgeway presenta anche altri esempi di questo tipo con il verbo in terza posizione):

  1. quoniam nobis ita erat iter
    ‘poiché il nostro itinerario era così’

Nei 7 esempi restanti il clitico è adverbale, come in genere nelle lingue romanze medievali, ma solo in 4 esempi troviamo l’ordine romanzo atteso in una struttura V2, cioè X cl V; negli altri 3 abbiamo l’ordine non-atteso X V-cl. Vediamo prima questi ultimi:

    1. tunc retulit michi de ipsa aqua sic sanctus episcopus
      ‘Allora il santo vescovo mi ha raccontato così a proposito di quell’acqua’

    2. tu promiseras nobis, ne…
      ‘tu ci avevi promesso che…’

    3. filii Israel dimiserant eum
      ‘i figli di Israele erano partiti via da lui’

Come nel caso di (40), possiamo pensare che si tratti di V1. Si noti però che troviamo esempi dell’ordine V cl anche in inizio di subordinata (15 esempi secondo Ledgeway), mentre quest’ordine non era normale in latino e non lo sarà neanche nelle lingue romanze:

    1. cum coeperit se iam hora nona facere (Itinerarium 37.7)
      (quando abbia-cominciato si ormai ora nona fare)
      ‘all’inizio dell’ora nona’

    2. Rogo te […] ut dicas mihi
      ‘Ti prego […] di dirmi…’

Non si può escludere che si tratti di un ordine delle parole tipico della lingua biblica, calcato sull’ebraico (con il tramite del greco; cfr. Wanner 1987: 221–222) – che appartenga quindi a uno stile specifico del latino scritto in uso tra i cristiani.

I 4 esempi di ordine X cl V potrebbero testimoniare la collocazione tipica delle strutture V2 con un Focus preverbale:

    1. ita et nos uobis monstramus19
      ‘così anche noi lo mostriamo a voi’

    2. adhuc nobis superabant milia tria
      ‘ci restavano ancora tre miglia da percorrere’

    3. non eos subis lente et lente per girum
      ‘non vi si sale gradatamente facendo dei giri’

    4. maximus labor nobis instat hodie nocte ista
      ‘ci aspetta un grande sforzo oggi, questa notte’

Ma per tutte e quattro le frasi non possiamo essere sicuri che non si tratti di una frase con il verbo in posizione finale (44a) o, come era anche possibile in latino, quasi finale (44b–d), con un Focus postverbale (44b–c)20 o con un Afterthought (44d).

In conclusione, dei 14 esempi utili, 2 sono compatibili solo con il sistema del latino classico, gli altri sono in teoria compatibili con i due sistemi, nessuno è un esempio decisivo di V2 romanzo.

Anche solo in base a questo mini-corpus si può vedere che la lingua di Egeria non è omogenea perché presenta costruzioni del latino classico e probabilmente anche del latino biblico e forse della lingua colloquiale, e quindi difficilmente può essere descritta con una grammatica unica. Inoltre l’esame dell’interazione dell’ordine delle parole con la grammatica dei clitici porta a risultati che sono solo parzialmente quelli che ci aspettiamo in una grammatica V2 del tipo in uso nelle lingue romanze medievali.21

3 Problemi aperti

In questa ultima parte raccolgo alcuni problemi empirici che sono emersi dalla ricerca e che richiedono una soluzione. Questi si aggiungono a quelli presentati in 1.6 o li integrano: in 3.1-2 tratto alcuni punti specifici dell’ipotesi V2, in particolare nella sua interazione con la collocazione dei clitici; in 3.3 mostro come dobbiamo tener conto, anche per proprietà così astratte, di una certa variabilità di registro.

3.1. Nello studio sull’ordine delle parole in italiano antico di Nicolosi (2019) troviamo un certo numero di esempi che divergono da quelle che sono le nostre aspettative riguardo al sistema V2.

Il corpus utilizzato per la ricerca è costituito da quattro opere in prosa di carattere narrativo scritte a Firenze tra la fine del Duecento e la fine del Trecento: le novelle del codice Panciatichiano 32 (quelle che costituiscono il cosiddetto Ur-Novellino e le 20 estranee alla tradizione del Novellino), la Tavola Ritonda, il Decameron di Boccaccio e il Trecentonovelle di Sacchetti. La scelta non è senza problemi: la Tavola Ritonda, se non è proprio una traduzione, è pur sempre un testo che traspone uno o più originali in antico francese, la prosa del Decameron è fortemente latinizzante, il testo del Trecentonovelle è conservato da testimoni molto tardi e non sempre affidabili. Dato il ventaglio ridotto di testi e la loro natura in parte problematica, gli esempi di divergenza che discuteremo possono non essere rappresentativi dell’uso nel periodo studiato e potrebbero anche essere irrilevanti. Vanno però tenuti presenti come possibili problemi da risolvere all’interno dell’ipotesi V2.

Ho trovato nel materiale di Nicolosi 8 esempi di ordine OTopicXV senza ripresa. Non sembra che si possa trattare della struttura arcaica trattata sopra in 2.3, soprattutto perché la metà degli esempi provengono dall’opera più moderna, il Trecentonovelle. In due esempi in ogni caso X è un sintagma interrogativo, come nei casi francesi antichi visti sopra:

  1. questa fatica a che ci diàn noi? (Trecentonovelle 178.8)

In due esempi X è un soggetto pronominale:

  1. quella più bella egli deve prendere per mogliere (Tavola Ritonda 35)

In casi come questo possiamo forse pensare che si tratti di un pronome debole che occupa una posizione diversa da quella dei costituenti anteposti – l’oggetto diretto potrebbe quindi essere interno alla frase e non richiedere un clitico di ripresa.22 Il problema va approfondito.

Un’altra divergenza rispetto alle nostre aspettative è la posizione preverbale del clitico di ripresa in un contesto OV, che va contro la generalizzazione di Huber (v. 1.4). Dei 18 esempi di questo tipo 3 si trovano in frase subordinata – il fenomeno è noto (Salvi 2004: 69): in subordinata il clitico di ripresa della dislocazione poteva essere postverbale, come in questi casi nelle principali, ma poteva essere anche preverbale, come in generale nelle subordinate:

  1. imperò che così fatto mercato, lo feci io colle mie mani (Tavola Ritonda 125)

In 7 casi il clitico è ne:

  1. de’ detti iiii soldi ne fo qello ch’io giudico (Panciatichiano p. 138)

Si può forse pensare che in questi casi non si tratti di ripresa di un costituente dislocato, ma di reduplicazione clitica, per cui avremmo non dislocazione, ma anteposizione dell’oggetto, e quindi proclisi. Che ne potesse fungere da clitico reduplicante, si può dedurre da esempi come (49), dove ne probabilmente reduplica di ciò, che si trova nel corpo della frase:

  1. fassene di ciò grande maraviglia (Tavola Ritonda 17)

A sostegno di questa ipotesi possiamo citare il caso parallelo di una lingua V2 moderna come il ladino gardenese, in cui il clitico partitivo è compatibile con un nome anteposto in posizione preverbale (non dislocato, come si vede dal fatto che causa l’inversione del soggetto):

  1. libri nen al liet puec
    (libri ne ha-egli letto pochi)
    ‘libri, ne ha letti pochi’

Nell’es. (51) (e in altri 3 esempi paralleli) figura il clitico gliel, che potrebbe avere il valore del semplice gli, come forse in (52), dove il verbo è intransitivo e non ci aspettiamo un clitico accusativo – in tal caso si tratterebbe di nuovo di anteposizione, e non di dislocazione, e la proclisi sarebbe giustificata:

  1. questo gliel donò la fata Morgana (Tavola Ritonda 74)

  2. sovente dalla Cuba passando, gliele venne per ventura veduta un dì a una finestra, e ella vide lui (Decameron 5.6.13)

Infine in alcuni dei tipi già trattati e in altri 2 esempi il costituente ripreso dal clitico è il pronome neutro ciò/questo, ma non è chiaro se questa circostanza sia rilevante:

  1. ciò lo facevano più per vergogna, che per amore di virtù (Ottimo, Purg. 20.61)

Senza spiegazione rimane per ora anche (54):

  1. alla donzella che campato avea il fanciullo e fatta compagnia alla reina, le donò uno bello e ricco castello (Tavola Ritonda 13)

L’es. (55) è invece già stato discusso da Paola Benincà (2010):

  1. La vostra figliuola la teroe a grande onore (Ur-Novellino 84.9)

  2. è la versione del testo del ms. P1; i testimoni V, Gz, G e S della stessa novella danno la versione (56), anche questa anomala per la mancanza del clitico di ripresa (ma parallela a [46], sopra):

  3. la vostra figliuola io terrò a grande onore

Solo il ms. A presenta un testo compatibile con il sistema V2:

  1. la vostra figliuola io la terroe a grande onore

Questo potrebbe suggerire che in (55)–(56) abbiamo una corruzione del testo, ma una soluzione di questo genere (per questo esempio ed eventualmente anche per altri trattati in questa sezione) andrebbe valutata nel quadro dell’evidenza filologica globale dei vari testimoni.

3.2. Un caso interessante è costituito dalle divergenze rispetto al sistema V2 che troviamo nella lingua poetica: in che misura la lingua poetica può allontanarsi dalla norma in vigore? Si potrebbe pensare che le costrizioni imposte dalla versificazione possono far nascere fenomeni artificiali o addirittura agrammaticali. È vero che la poesia può imporre delle costrizioni che la prosa non impone e che possono risultare in soluzioni meno naturali, ma allo stesso tempo queste costrizioni possono favorire l’uso di forme o costruzioni meno frequenti, ma pur sempre possibili, che nei testi in prosa, più liberi, hanno meno possibilità di manifestarsi.

Così nella Commedia di Dante è piuttosto frequente che il Fuoco della frase non si trovi in posizione immediatamente preverbale, in particolare quando il verbo finito è in fine di verso, come negli esempi seguenti:

    1. non sanza tema a dicer mi conduco (Dante, Commedia, Inf. 32.6)

    2. Perché tu mi dischiomi, / né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti / se mille fiate in sul capo mi tomi (ibid., 32.100-02)

    3. se non piangi, di che pianger suoli? (ibid., 33.42)

Non è chiaro se questi esempi possano essere assimilati a quelli trattati in 2.3 (qui l’elemento focalizzato non è un avverbio di tempo, come invece in: già le notti al mezzo dì sen vanno [ibid., 24.3]).

In (58b) anche l’enclisi in mosterrolti è irregolare: dopo negazione abbiamo sempre proclisi, ci aspetteremmo quindi: né ’l ti mosterrò (cfr. subito prima né ti dirò). Qui l’uso dell’enclisi è determinato dalla necessità di avere una rima in -olti (/avvolti/raccolti), in numerosi altri casi è determinato da altre esigenze metriche (Vignuzzi 1984, par. 15).23 Ma abbiamo anche casi in cui l’enclisi non sembra determinata da ragioni ritmiche: come andar vuolsi (Dante, Commedia, Purg. 12.7), in luogo di andar si vuol (cfr. come condur si vuol quinc’entro [ibid., 13.18]). Tutto questo induce a pensare che l’enclisi fosse una specie di soluzione default, utilizzabile sempre come soluzione marcata.

3.3. La discussione sul problema del V2 è stata un po’ annebbiata dal fatto che i dati utilizzati provengono spesso da lingue e periodi diversi. Se tutte le lingue romanze medievali partecipano del sistema V2, non possiamo certo aspettarci che le sue realizzazioni siano uguali dappertutto o in tutte le fasi di una stessa lingua, e anche in casi di evoluzioni parallele non possiamo aspettarci che queste evoluzioni procedano in sincronia. Così per es. il primo contesto dove la legge Tobler-Mussafia viene abbandonata, è quello delle domande totali, ma questo avviene in francese antico già all’inizio del XIII sec. (59a), in Italia settentrionale solo all’inizio del XIV (59b), in Toscana ancora più tardi:

    1. Te tindrent onques Sarrazin en prison? (Prise d’Orange 216)
      (ti tennero mai [i] Saraceni in prigione)

    2. Me vòi-tu dar la taverna? (Lio Mazor p. 37)

A questo si aggiunge una variabilità di registro: opere scritte nello stesso luogo e nella stessa epoca possono avere grammatiche diverse. Benincà (2010) nota che nel fiorentino antico l’espressione obbligatoria del soggetto nelle subordinate in cui non abbiamo contesti di inversione, è regolare in alcune opere, ma non in altre, e conclude: “[i]n questi casi abbiamo probabilmente a che fare con un registro di lingua diverso, in cui vige il principio del soggetto nullo”. Possiamo confrontare l’espressione tendenzialmente obbligatoria del soggetto di 1. e 2. pers. sg. nella Vita nuova di Dante (60) e la sua non-espressione nel Libro di Bono Giamboni (61):

    1. a me giunse tanta volontade di dire, che io cominciai a pensare lo modo ch’io tenesse; e pensai che parlare di lei non si convenia che io facesse, se io non parlasse a donne in seconda persona (Dante, Vita nuova 19.1)

    2. Poscia che tu pervieni a così dischernevole vista quando tu se’ presso di questa donna, perchè pur cerchi di vedere lei? Ecco che tu fossi domandato da lei: che avrestù da rispondere, ponendo che tu avessi libera ciascuna tua vertude in quanto tu le rispondessi? (ibid. 15.1)

    1. E io, veggendo la detta figura così bella e lucente, avegna che ø avesse dal cominciamento paura, m’asicurai tostamente, pensando che cosa ria non potea così chiara luce generare; e cominciai a guardar la figura tanto fermamente, quanto la debolezza del mio viso potea sofferire. E quando ø l’ebbi assai mirata, conobbi certamente ch’era la Filosofia, ne le cui magioni ø era già lungamente dimorato. (Bono Giamboni, Libro 3.6–7)

    2. Credo bene che ø l’abbi dimenticato, perché se ø l’avessi a mente tenuto, nel mal che tu hai non t’avrebbe lasciato cadere. Ma ramenterolti, con cotali patti tra noi, che ø ’l ti tenghi mai sempre sì a memoria, che mai non t’esca di mente, acciò che ø non possi più in quella malatia ricadere. (ibid., 6.6–7)

Le due grammatiche non differivano invece riguardo al soggetto di 3. pers. sg., che poteva rimanere non-espresso (esemplifichiamo con il femminile, perché il maschile possedeva una forma ridotta e’ la cui presenza o assenza è difficilmente rilevabile in grafie come <che>, che in teoria possono anche corrispondere a ch’e’):

    1. Questa ballata in tre parti si divide: ne la prima dico a lei ov’ella vada, e confortola però che ø vada più sicura, e dico nela cui compagnia ø si metta, se ø vuole sicuramente andare e sanza pericolo alcuno; ne la seconda dico quello che lei si pertiene di fare intendere; ne la terza la licenzio del gire quando ø vuole, raccomandando lo suo movimento ne le braccia de la fortuna. (Dante, Vita nuova 12.16)

    2. Mostrato la Filosofia perch’era la Fede mal vestita e stava cotale aviluppata, e come ø era la più ricca reina del mondo e aveva più ricchi fedeli, disse: – Anche dicesti, figliuole, che ø ne diede povera cena; e io ti dico che ø ne diè cena buona, e chente ø s’usa di dare agli amici (Bono Giamboni, Libro 20.1)

Il tipo esemplificato in (60) corrisponde a quello che era comune nell’Italia settentrionale (63), mentre quello esemplificato in (61) corrisponde a quello che era comune nell’Italia centro-meridionale (64):

  1. El dis ch’el la deveva tegnir fina ch’el stava là, e ch’el palater, quando el lavorava, tegniva la clave. (Lio Mazor p. 48)
    (egli disse ch’egli la doveva tenere finch’egli stava là, e che il piantatore di pali, quando egli lavorava, teneva la chiave)
    ‘Disse che doveva tenerla finché stava là, e che, quando lavorava, era il piantatore di pali che teneva la chiave [del cantiere].’

  2. disse ca ø era ingannato, perché ø era cacciato de Vitervo (Anonimo Romano, Cronica 26)

Ma la differenza di registro doveva corrispondere a una evoluzione in corso:24 mezzo secolo più tardi l’espressione del soggetto in inizio di subordinata si era generalizzata anche alla 3. pers. sg. (cfr. anche Palermo 1997, capp. 2–3, in partic. par. 3.9):

    1. e egli è il miglior del mondo da ciò costui, ché, perché egli pur volesse, egli nol potrebbe né saprebbe ridire: tu vedi che egli è un cotal giovanaccio sciocco, cresciuto innanzi al senno (Boccaccio, Decameron 3.1.24)

    2. ella ha infino a qui, non per amore che ella ti porti ma a instanzia de’ prieghi miei, taciuto di ciò che fatto hai; ma essa non tacerà più: conceduta l’ho la licenzia che, se tu più in cosa alcuna le spiaci, che ella faccia il parer suo. Che farai tu se ella il dice a’ fratelli? (ibid. 3.3.52)

4 Conclusione

Lo scopo di questo lavoro era in primo luogo quello di mostrare come le critiche che sono state sollevate contro l’attribuzione di una struttura V2 alle lingue romanze medievali, siano o non sufficientemente argomentate o basate su fraintendimenti terminologici o fattuali.

Nella prima parte ho mostrato come la ricerca svolta nell’ambito della linguistica storico-comparativa aveva già individuato alcune caratteristiche sintattiche delle lingue romanze antiche e alcune importanti correlazioni che devono essere spiegate (1.1, 1.3–4). Questi fenomeni erano rimasti fuori della portata di analisi di ispirazione funzionalista (1.2). L’ipotesi V2 applicata alle lingue romanze medievali nel quadro generativo da Benincà (1983/84)25 si è mostrata molto fruttuosa e ha messo in moto un vasto programma di ricerca che ha cercato di risolvere i vari problemi empirici che l’ipotesi iniziale lasciava irrisolti (1.5–6).

Una parte di quelli che hanno formulato obiezioni contro l’ipotesi V2, semplicemente ignorano i problemi empirici che l’ipotesi cerca di spiegare (2.1). Altri riconoscono i problemi e cercano di risolverli, ma, individuando differenze tra i diversi tipi di V2, finiscono con lo spostare la questione a un livello terminologico (che cosa chiamare o non chiamare V2 – 2.2); le obiezioni più utili sono quelle che individuano nelle lingue romanze medievali strutture che non sono compatibili con l’ipotesi V2 (2.3). I due ultimi tipi di approccio contribuiscono in ogni caso a creare un quadro più completo dei problemi da affrontare e a stimolare la ricerca di soluzioni.

Nella sua forma più interessante l’ipotesi V2 tenta di integrare in una spiegazione globale fenomeni diversi (ordine delle parole, collocazione dei clitici, espressione del soggetto): una teoria del V2 deve quindi spiegare le correlazioni che si sono individuate, ma le correlazioni stesse devono essere testate nelle diverse lingue e nei diversi periodi per fornire una base empirica più affidabile su cui costruire (2.4, 3).

Testi citati

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Dante, Commedia = Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di Giorgio Petrocchi, vol. II: Inferno, Milano: Mondadori, 1966; vol. III: Purgatorio, Milano: Mondadori, 1967.

Dante, Vita nuova = Dante Alighieri: Vita nuova, a cura di Michele Barbi, Firenze: Bemporad, 1932.

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  1. Per una sintesi recente cfr. Holmberg (2015).↩︎

  2. In particolare non ho visto il recente Wolfe (2019).↩︎

  3. Gli esempi presi dai lavori discussi nel testo sono citati senza ulteriori riferimenti, eccetto che in 3.1 per ragioni di chiarezza. Per gli esempi che ho raccolto personalmente, do il locus preciso e, in bibliografia, l’edizione di riferimento.↩︎

  4. In questa forma la spiegazione non è certamente sufficiente; non spiega neanche un esempio come (1): se c’è un “rapporto logico” da non disturbare, questo sarebbe quello tra en te e fiar, che continua a essere “disturbato” dal soggetto anche dopo la sua posposizione, oltre che dal semi-ausiliare solia.↩︎

  5. Schulze fa riferimento alle lezioni del suo maestro Adolf Tobler (oltre che al precursore francese Henri Weil). Benché non tutti i particolari del sistema siano chiarissimi, ho tentato di darne una ricostruzione coerente.↩︎

  6. L’ipotesi di Thurneysen è stata rivalutata, all’interno dell’ipotesi V2, da Renzi (1987).↩︎

  7. L’autore qui passa con una certa leggerezza dall’“erste Wort” della citazione precedente all’“erste Satzglied” di questa; ma in realtà in latino abbiamo esempi per ambedue le collocazioni e un progressivo prevalere del secondo tipo (dopo il primo costituente) sul primo (dopo la prima parola).↩︎

  8. Non credo, per es., che la seconda posizione del verbo nelle lingue romanze antiche si possa spiegare con la posizione Wackernagel (Salvi 2003); la legge Tobler-Mussafia sarà invece senz’altro la continuazione della legge di Wackernagel (Renzi 1987).↩︎

  9. In particolare Thiersch (1978).↩︎

  10. Gli esempi provengono da un rilevamento non esaustivo operato sul Libro de’ Vizî e delle Virtudi e delle loro battaglie e ammonimenti di Bono Giamboni.↩︎

  11. Kaiser è cosciente del problema (153), ma l’impressione è che le conclusioni si basino soprattutto sull’ordine lineare.↩︎

  12. I dati delle lingue germaniche provengono da Kaiser (2002, par. 2.1), integrati per danese e islandese con Vikner (1995, cap. 3–4) e Thráinsson (2007, cap. 2 e 7).↩︎

  13. In italiano antico il V2 in subordinata con complementatore espresso è in genere possibile, ma con almeno una limitazione: nelle interrogative indirette normalmente non abbiamo inversione: ben soe de cui voi avete cura (Gradenigo, Quatro Evangelii 42.99) (cfr. in principale a cui avete voi mai udito dire…? (Giovanni dalle Celle, Lettere 32), con lo stesso contrasto che in islandese (Thráinsson 1986): Ég veit ekki hvern María hefur kysst (io so neg chi Maria ha baciato) ‘Non so chi Maria abbia baciato’ vs Hvern hefur María kysst? (chi ha Maria baciato).↩︎

  14. Come mi ha fatto notare Roland Hinterhölzl, se invece del tedesco moderno scegliessimo il tedesco medievale, le differenze si attutirebbero molto.↩︎

  15. In alcuni casi la mancanza di ripresa può forse essere determinata dalla natura quantificata dell’oggetto diretto: Tudo isso […] eu sem falta quero escutar (tutto codesto io senza eccezione voglio ascoltare) – cfr. Tutto, non posso comprare, dislocazione senza ripresa.↩︎

  16. Esempi di questo tipo potrebbero forse riflettere l’ordine delle parole di analoghe formule notarili latine, nel qual caso non dovrebbero essere presi in considerazione.↩︎

  17. In francese antico l’elemento focalizzato è limitato a questi avverbi di tempo; in galego-portoghese il novero degli elementi è leggermente più ampio, ma i più frequentemente attestati sono avverbi di tempo di questo tipo.↩︎

  18. Ho escluso qualche esempio che presentava costruzioni più complesse, per es. l’accusativo con l’infinito, indice di lingua non-colloquiale.↩︎

  19. Ita è considerato da Ledgeway un connettivo esterno alla frase. In questo esempio uobis è però probabilmente tonico, facendo parte della doppia opposizione: nobis a maioribus / et nos uobis ‘a noi dai più vecchi / anche noi a voi’.↩︎

  20. (44c) continua: sed totum ad directum subis ‘ma si sale tutti dritti’.↩︎

  21. Ledgeway tratta questo punto (sez. 2.2.5.3), ma per spiegare i fatti deve adottare soluzioni che si allontanano da quelle del V2 delle lingue romanze medievali – senza spiegare come si sia poi arrivati ai sistemi romanzi attestati.↩︎

  22. In tal caso andrebbe qui anche il seguente esempio, dove l’oggetto diretto è il Focus della frase: niuno rimedio voi avete a potervene deliberare (Tavola Ritonda 78).↩︎

  23. Cfr. anche le enclisi determinate dall’esigenza di avere una parola sdrucciola in fine di emistichio nel Contrasto di Cielo d’Alcamo: Se di meve trabàgliti (6), Se li cavelli artónniti (11), ecc.↩︎

  24. Forse bisogna mettere in conto anche che Bono era di almeno una generazione più vecchio di Dante.↩︎

  25. Ma già da Skårup (1975) per il francese antico, in un quadro teorico diverso, e in parte anche da Haiman (1974).↩︎