Verbum Analecta Neolatina XXI, 2020/1–2

©2020 PPKE BTK



1 Introduzione

I ceti aristocratici italiani, per primi quelli residenti nei domini spagnoli, si impiegarono prontamente nelle guerre di Fiandra. Anche a Roma quel “Teatro” era percepito come “il più famoso, che in quel tempo si trovasse, e si stimava assai militare in quella guerra, et si haveva per generale un Alessandro Farnese”:1 le famiglie nobili più vicine per parentela o per legami clientelari al casato di Paolo III, che a fine Cinquecento vivevano una difficile congiuntura, non esitarono ad inviare presso il principe di Parma i propri rampolli, non di rado gli stessi primogeniti; e gli osservatori notarono a più riprese le partenze di “cavallieri giovani come venturieri per vedere la guerra”.2 Fra questi, il marchese Francesco Sforza, postosi “all’ordine in gran diligenza per partire alla rinfrescata”, non lesinò spese “volendo S.S.ria comparire con 20 gentilhuomini benissimo a cavallo, oltre alla famiglia che in tutto saranno da 40 bocche”.3 I documenti permettono talvolta di entrare nel complesso delle motivazioni di quei giovani: ancora lontani dall’assimilare i modelli comportamentali legati all’etica curiale4, essi fecero della partecipazione alle campagne di Fiandra non solo il fulcro di un’inequivoca auto-rappresentazione di status, ma anche, più concretamente, il baricentro di un peculiare percorso di costruzione della propria identità aristocratica. Il giovane erede dei duchi di Sermoneta, al momento di partire, scrisse a Marcantonio Colonna di non aver voluto “perder tempo” e di essersi deciso invece a “cercar[e] d’imparar qualche cosa”.5 L’eccezionale valore formativo dell’esperienza nelle Fiandre doveva estendersi addirittura allo stesso erede di casa Farnese: con molta enfasi i redattori romani degli avvisi diedero notizia che Alessandro Farnese aveva scritto a Ranuccio (che chiedeva di poter raggiungere il padre) di “non sper[are] d’havere altro carico, che una compagnia de cavalli leggeri, et sicuro che alla prima occasione di far impresa, converrà lui combattere le prime file”.6 Più raramente, le lettere che accompagnavano le partenze dei giovani gentiluomini si rivelano scritture non convenzionali, che consentono di aprire finestre sulla dinamica dei rapporti inter-generazionali e persino sulla sfera intima.

“Se ne viene Virginio mio – scriveva Lucrezia Salviati Orsini al principe Alessandro Farnese – a servir l’Altezza V.a in questa guerra e sì bene come madre pietosa d’un figlio di dicesset’anni e per esser la prima uscita di casa, me ne sento uscir l’anima, non di meno conoscendo il desiderio di questo giovane essere honorato mi son contentata ch’eseguisca la volontà sua; raccomandolo al S.or Dio, quanto può indegna serva: mi consola apresso questo, che venga a servir l’Altezza V.a ch’essendo quel principe e cavalliero di tanto honore e valore, non potria riuscire se non cavalliero honorato”.7

Anche il giovane erede di casa Malatesta, Carlo, di quindici anni di età, fu chiesto come paggio da Alessandro Farnese: per tutta l’età moderna, com’è noto, servire in quella veste i comandanti di eserciti è stato uno degli strumenti formativi accessibili agli adolescenti dei gruppi aristocratici italiani ed europei.8 Il padre di Carlo, il marchese Giacomo Malatesta, confermava nell’occasione al cardinal Farnese di essere soprattutto mosso dal desiderio che egli “potesse atendere a quelle virtù e creanze, che si convengono a un cavaliero”, ma aggiungeva particolari interessanti: “non desiderando magior contento che vederlo dotato di lettere et scienze”, infatti, egli aveva deciso di farlo accompagnare da un gentiluomo, da alcuni maestri e da una mezza dozzina di servitori “acciò servisse honoratamente”:9 il tutto al costo di circa 700 scudi annui. L’invio di un giovane nelle Fiandre gradatamente si configurò come un investimento da giustapporre a strategie già consolidate: tra i figli di Vincenzo Vitelli, i sei più piccoli erano a Ferrara alla corte del Duca Alfonso d’Este, il settimo era a Roma nel seguito del prelato di famiglia, l’ottavo a Parigi a completare gli studi “et il nono in Fiandra dal Principe di Parma”.10

Questi percorsi formativi furono dotati di strumenti peculiari, come la Instruttione consegnata al giovane Pietro Caetani in partenza da Roma. Si tratta di un testo su cui la storiografia ha già avuto occasione di soffermarsi.11 In questa sede deve essere notato che la Instruttione non fu solo l’ennesima proposta della cultura della corte, non rappresentò soltanto uno degli innumerevoli testi sulle virtù del cavaliere (e cortigiano); infatti, il testo steso da Giovan Francesco Peranda per l’erede di casa Caetani illustrava anche gli usi della scrittura che a fine Cinquecento erano ritenuti funzionali ai processi di apprendimento dei giovani nobili militari. A Pietro si davano diverse raccomandazioni: scrivere spesso ai propri consanguinei a Roma, che avrebbero goduto del privilegio di avere sempre notizie fresche dal teatro di guerra; “farsi pian piano un ricchissimo suppelletile di propositioni militari”, cioè un vero e proprio manuale pratico dell’arte militare in forma di rubrica; tenere un diario dei principali avvenimenti del conflitto, con l’avvertenza di annotare “non solamente i successi, ma li modi, & le cause”.12 Non è dato sapere se il giovane erede del ducato di Sermoneta abbia fatto tesoro di queste raccomandazioni: nell’Archivio Caetani di Roma sono conservate soltanto le sue lettere. Tuttavia, in altri casi, è rimasta traccia delle attività di costruzione della memoria da parte dei giovani nobili inviati presso Alessandro Farnese. Fra i manoscritti utilizzati da Farmiano Strada per stendere la sua storia della guerra di Fiandra sono conservate, ad esempio, le Relationi e memorie di Fiandra del cap.° Alessandro Torelli, esponente di un’importante famiglia del patriziato di Fano, nelle Marche, destinato ad una brillante carriera militare negli eserciti dello Stato della Chiesa.13 In questo universo di scritture si colloca il Compendio delle principali attioni militari fatte nella Fiandra dal principe S.r Alessandro Farnese, nel primo anno, chio Tarquinio Capizucchi mi ritrovai seco alla guerra.14

1.1 L’autore: Tarquinio Capizucchi (1563–1628)

Tarquinio Capizucchi, nobilis vir romano nato nel 1563, era figlio di Cencio, maestro di campo generale delle milizie e dei soldati stipendiati dello Stato della Chiesa, nonché comandante di una galera pontificia in occasione della battaglia di Lepanto.15 Perso il padre nel 1575, Tarquinio era passato sotto la protezione dello zio Camillo, che a Lepanto aveva combattuto a fianco di Alessandro Farnese e che era stato tra i primi a prendere la via delle Fiandre. Già nell’aprile del 1581, non compiuti i diciotto anni di età, Tarquinio era destinato a raggiungere il principe di Parma: Camillo Capizucchi ne informò il duca Ottavio Farnese pregandolo di scrivere per lui una calorosa lettera di accompagnamento; lo stesso Camillo scrisse in proposito al principe Alessandro e quest’ultimo rispose rassicurandolo che il giovane paggio Tarquinio sarebbe stato in ottime mani.16 Tarquinio giunse nelle Fiandre prima dell’estate del 1581 ed il principe di Parma lo insignì del “guidone”, cioè dell’onere di portare il piccolo stendardo che serviva da punto di vista per allineare le truppe della fanteria o, più frequentemente, della cavalleria leggera.17 Tarquinio rimase nelle Fiandre fino al 1586, quando tornò a Roma “ad accommodare le sue cose”.18 Provveduto rapidamente ai bisogni della famiglia, rientrò nelle Fiandre e prestò servizio come ufficiale nel terçio di Camillo Capizucchi. Rimase nel teatro di guerra anche dopo la morte del duca di Parma, rientrando definitivamente a Roma all’inizio di ottobre 1594.19 Subito brigò per ottenere una pensione spagnola come ricompensa ai servizi prestati, ma dovette aspettare fino al 1605; nel contempo, egli trascurò di impegnarsi nelle spedizioni militari allestite negli stessi anni dal papato: le tre spedizioni contro i Turchi in Ungheria e in Croazia, i preparativi per la devoluzione del ducato di Ferrara alla Santa Sede.20 Tornò in servizio soltanto per pochi mesi, tra l’aprile 1606 e il maggio 1607, in occasione degli armamenti fatti in occasione dell’Interdetto di Venezia, come governatore generale dellarmi nelle Marche, vale a dire l’ufficiale più alto in grado della regione.21 Le relazioni coeve degli ambasciatori veneziani lo descrivevano come un nobile militare con dodici anni di guerra sulle spalle, ma sostanzialmente a riposo. Solo, come si legge in un memoriale del 1610, non si mancava di ricordare che “con esser stato paggio del duca [Alessandro Farnese] ha havute occasioni d’intender molte cose per essersi trovato sempre appresso la persona di quella Altezza”.22 Il Capizucchi tornò in servizio durante il pontificato di Urbano VIII. Era lui, con Lotario Conti e Mario Frangipane, uno dei “soldati vecchi della scuola di Fiandra” convocati nel 1625 da papa Barberini come consulenti militari.23 A quella data, il Capizucchi era già stato investito di uno dei più alti gradi nella gerarchia dell’esercito pontificio, quella di mastro di campo generale24: suo compito era quello di soprintendere alle strutture militari, alla logistica, agli organigrammi degli ufficiali nelle Marche, in Umbria e in Romagna.

Gli anni del rientro in servizio attivo del Capizucchi (1624–1628) hanno lasciato cospicue tracce documentarie: le sue lettere inviate al generale Carlo Barberini occupano ben dieci registri del fondo dei manoscritti Barberiniani latini della Biblioteca Vaticana.25 Il Capizucchi vi descrisse minutamente il proprio operato, richiamando frequentemente le sue esperienze giovanili nelle Fiandre ed elevando la figura di Alessandro Farnese a pietra di paragone della concreta, quotidiana attività di servizio. L’icona del duca di Parma costituiva così l’emblema del patrimonio di conoscenze che egli, nella cortigiana logica del “dono”,26 poteva offrire al suo “assoluto padrone”, il generale Carlo Barberini: esplicitamente il Capizucchi gli confessò in una lunga lettera che avrebbe “voluto poter trasferire in lei tutte le gloriose imprese fatte dal Duca di Parma mio Generale, e quelle d’Henrico IV dalla parte contraria”.27

1.2 Il Compendio

Non si trattava di semplici esibizioni, espresse enfaticamente: infatti, come accennato, il Compendio in oggetto si trova proprio nel fondo dei manoscritti Barberiniani latini della Biblioteca Vaticana. Si tratta forse del testo noto a fine Seicento a Prospero Mandosio, autore della Bibliotheca romana, ed allora conservato presso gli eredi. In particolare, Mandosio segnalava di Tarquinio Capizucchi una Relationem Summariam italice rerum a se in Belgio gestarum, rivelando addirittura la sua fonte: gliene avrebbe parlato uno dei discendenti, il cardinale Raimondo Capizucchi.28 Raimondo Capizucchi, nato con il nome di Camillo, domenicano, maestro del Sacro Palazzo (dal 1654 al 1663 e poi dal 1673), cardinale dal 1681, era in effetti anche un cultore delle memorie familiari; lasciò manoscritta una Historia della famiglia Capizucchi conservata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.29 Nel ritratto ivi dedicato a Tarquinio Capizucchi, però, il cardinale Raimondo non fece menzione di un memoriale da lui composto;30 né di questa prova si parlava in altre storie di famiglia della famiglia Capizucchi comparse nel Seicento, manoscritte e a stampa.31 Il testo non è ignoto: venne correttamente segnalato, anche se non illustrato, nella voce del Dizionario Biografico degli Italiani dedicata a Tarquinio Capizucchi.32

Lo scritto è pervenuto incompleto. Il frammento conservato si apre con l’illustrazione degli scenari aperti dalla presa di Maastricht e dal trattato di Arras e si arresta prima della conquista di Tournai. Quanto alla datazione, si può stabilire con certezza soltanto il terminus post quem, collocato nel settembre 1586. Capizucchi denota infatti il Farnese come “Duca di Parma” ricordando che “era all’hora Principe”. Il fatto che non sia richiamata nessuna formula onorifica per i defunti (“di fe: me:” o “di glo: me:”33) lascerebbe pensare che terminus ad quem possa essere il 1592, anno della morte del Farnese: ma questa è solo un’ipotesi. La presenza dell’autore, manifestata dall’uso di un verbo in prima persona, è limitata ad un solo ricordo, posto all’inizio dello svolgimento:

“io giunsi in Fiandra l’anno 1581 nel principio della primavera, et trovai l’essercito della M. Catt.ca all’assedio di Cambrai, et fui subito honorato della Corneta reale”.34

Il Capizucchi, a differenza degli autori della feconda memorialistica spagnola scaturita dalle guerre di Fiandra,35 non volle dunque dar spazio alle sue personali esperienze. Materia principale dello scritto era proprio la campagna militare della seconda metà del 1581.

1.3 Il contesto

Non si trattava di un soggetto che potesse facilitare l’obiettivo di presentare il Farnese come eccellente comandante di eserciti: le operazioni seguite alla pace con le province dei Malcontenti, com’è noto, coincisero con una misera prova dell’esercito delle Fiandre.36 Il Farnese in quell’anno era impegnato soprattutto nel blocco della città di Cambrai, contea (poi ducato) arcivescovile nominalmente sottoposto al dominio imperiale, ma dopo il passaggio al campo degli Stati generali governata prima dal barone d’Incy, poi da Jean de Monluc, signore di Balagny, a nome del duca d’Anjou.37 L’Anjou non aveva nascosto l’intenzione di soccorrere la città e già in primavera Farnese era stato impegnato nel contrasto di alcuni colpi di mano francesi per superare il blocco. Il quadro mutò quando lo stesso Anjou ruppe gli indugi e, radunato un forte esercito, il 15 agosto 1581 varcò i confini. Il Farnese, che il 17 agosto aveva ascoltato (senza darvi credito) le scuse dell’ambasciatore Pomponne de Bellièvre a nome di Enrico III e della regina madre Caterina de’ Medici, tenne i movimenti di queste truppe sotto osservazione; si preparò addirittura allo scontro, ma poi decise di ripiegare: il 18 agosto il duca d’Anjou fu accolto trionfalmente in Cambrai. Al principe di Parma restavano soltanto la soddisfazione di aver compiuto la ritirata in ordine e il risultato di aver catturato uno dei più importanti gentiluomini francesi presenti nel contingente, il visconte di Turenne. Farnese, nell’occasione, ottenne altresì l’assenso dei deputati degli Stati delle province riconciliate alle sue richieste di richiamare in servizio alcuni contingenti stranieri, che furono poi arruolati in Germania. Quanto al duca d’Anjou, prese in poche settimane Arleux, Lécluse, Cateau-Cambrésis, ma altrettanto rapidamente il suo esercito, non finanziato né soccorso dagli Stati generali, iniziò a sfaldarsi. Alla fine di settembre l’Anjou era alle frontiere dell’Artois, presso Hesdin e poco dopo si ritirò a Saint-Valéry, sulla Somme. Qui ricevette un’ambasceria del principe di Orange che gli chiedeva di tornare nei Paesi Bassi, in particolare di seguire la costa della Manica e di congiungersi con l’esercito degli Stati, che aveva avuto ordine di muovere verso Dunkerque, minacciata dal Farnese. Anjou riunì un nuovo contingente che avanzò fino a Boulogne; non riuscendo però a procedere oltre, abbandonò le operazioni: alla fine di ottobre si sarebbe imbarcato per l’Inghilterra. Se Farnese aveva promosso l’azione contro Dunkerque era anche per tenere impegnato l’esercito degli Stati generali, comandato dal principe d’Epinoy, Pierre de Melun, dissimulando il suo vero obiettivo, Tournai. Lasciato con una veloce e spregiudicata mossa il teatro settentrionale, l’assedio di Tournai iniziò nell’ottobre 1581. Gli assediati fecero una forte resistenza, ma dovettero capitolare in poco meno di due mesi.

1.4 Il punto di vista del Capizucchi

Questi, per sommi capi, i fatti della campagna del 1581. La narrazione di Capizucchi li segue piuttosto fedelmente, ma con una prospettiva interpretativa in più punti peculiare. Capizucchi non faceva distinzioni tra la regina Caterina, l’irrequieto duca d’Anjou e lo stesso re di Francia: a suo giudizio l’obiettivo di Farnese nel blocco di Cambrai era semplicemente “tirare i francesi al soccorro di essa”, cosa che avrebbe spinto le Province riconciliate a chiedere l’impiego di contingenti stranieri, “sì come successe poi”. Questo disegno gli appariva un “bellissimo strattagemma”, un “pensiero […] sì alto, et sagace che non può essere non ammirato da chiunque ben lo considera et ben intende il mestier della guerra, et fu non meno da gran politico, che da gran capitano”.38 Coerentemente con questa impostazione, la spedizione di aiuto a Cambrai non appariva a Capizucchi un’iniziativa del duca d’Anjou. “La Francia – spiegava con una precoce capacità di individuare il soggetto politico pubblico, niente affatto scontata in un gentiluomo romano di fine Cinquecento – giudicò di dare il soccorso a Cambrai, ma però sotto nome della Regina madre, della quale era generale il duca di Lanson”.39 Capizucchi non si curò dunque di ripercorrere la complessa situazione della corte francese all’inizio degli anni ’80 del Cinquecento, dominata dal singolare ménage à trois messo in evidenza dalla storiografia (il duca d’Anjou, la regina Elisabetta d’Inghilterra, la ribellione olandese).40 Non citò nemmeno gli sforzi della diplomazia francese per prendere le distanze dalle iniziative del duca d’Anjou nel 1581 e fece proprio il punto di vista dei dispacci degli agenti farnesiani in Francia in quei mesi, che non davano credito a queste rassicurazioni e che invece ritenevano Enrico III pienamente coinvolto nell’avventura del fratello.41 Quindi, Capizucchi spostava l’attenzione sulla spedizione contro Cambrai, accumulando dettagli non riportati da altre fonti. Fece menzione di uno scontro diretto tra il “quartiere” del Farnese (cioè la sua guardia, insieme ai nobili del seguito) e le truppe francesi guidate dal visconte di Turenne, successivamente caduto prigioniero.42 In questa occasione, con le parole del Capizucchi, “ciascuno combatté valorosamente nel modo che si trovava, se bene con qualche confusione”.43 Ancora più sorprendente il particolare di una sfida lanciata per mezzo di un trombettiere dal principe di Parma al duca d’Anjou. È noto che il 18 agosto, cioè il giorno del movimento dell’esercito francese in direzione di Cambrai, Farnese inviò a Bouchain tutta la fanteria, ma rimase con la cavalleria in vista della città e delle truppe nemiche in movimento fino alle due del pomeriggio. Nel racconto del Capizucchi, il principe di Parma avrebbe dato ordine di comunicare all’Anjou “che non trovandosi egli in stato di poter levare il soccorso a Cambrai lo stava aspettando in quel posto alla battaglia”: Anjou avrebbe risposto “che egli non veniva per rompere guerra al Re Cattolico, ma solo per rinfrancare in parte le pretensioni della Regina Madre per le cose di Portugallo”.44 Infine, lasciato solo intendere l’ingresso dei francesi in Cambrai, Capizucchi si spostava sul terreno politico. Riferiva di colloqui di Alessandro Farnese con i principali esponenti della nobiltà vallona fedele al re Filippo II, durante i quali egli cercò di convincerli del pericolo che il paese finisse diviso tra il fratello del re di Francia, la regina d’Inghilterra, l’elettore palatino Giovanni Casimiro o, peggio, sotto il dominio del principe di Orange. Sarebbe stato dunque, secondo questa interpretazione, lo stesso principe di Parma – non i capi valloni Montigny e Roubaix – ad ottenere che fosse convocata la dieta dei rappresentanti delle province fedeli e che in quella sede si parlasse della necessità di arruolare di nuovo truppe straniere. Si concludeva così, per Capizucchi, la “artificiosa strada”, attraverso la quale “il Principe condusse a fine il suo intento”:45 rafforzare l’esercito con aiuti esterni. Nel Compendio sono altresì enumerati i contingenti chiamati in servizio, attraverso i quali poté affrontare più agevolmente gli impegni della campagna. Capizucchi, invece, non diede conto del rapido deterioramento dell’esercito del duca d’Anjou, né si soffermò sulle poche conquiste francesi nel Cambrésis della tarda estate 1581. Diede piuttosto spazio alle battaglie di Saint-Ghislain, presa da truppe degli Stati e subito riconquistata dal principe di Parma; e dedicò una particolare attenzione ad una fase delle operazioni lasciata sempre in ombra dalle ricostruzioni memorialistiche e storiografiche: i movimenti per scongiurare che le truppe dell’Anjou si riunissero a quelle degli Stati.

Ancora una volta, Capizucchi guardava innanzi tutto al contesto politico. Essendo concentrate nelle Fiandre settentrionali le truppe degli Stati guidate dal principe d’Epinoy, l’Artois, sul cammino delle truppe francesi, sarebbe stato il principale teatro delle operazioni. Farnese – riferiva Capizucchi – convocò il consiglio di guerra allo scopo di mettere a punto la difesa della regione. Egli aveva in animo “di non abandonarla, et particolarmente nel primo travaglio, in cui l’avversa fortuna l’havea posta”: il consiglio di guerra si dichiarò invece pronto a “fare in quella Provincia quello stesso che fece Francesco Primo Re di Francia quando l’Imperatore entrò in Provenza”,46 cioè abbandonare il terreno e ritirarsi nelle piazzeforti. Farnese, continua il racconto di Capizucchi, non ritenne legittimo il paragone, poiché Francesco I nel 1536 non temeva che la Provenza avesse potuto ribellarsi al suo domino, mentre abbandonando l’Artois si sarebbero create le condizioni di una nuova insurrezione. Così decise di dividere in due parti il suo esercito, una al comando del conte Pietro Ernesto di Mansfeld alle frontiere con la Fiandra, una al comando del marchese di Roubaix nell’Artois. Egli stesso “assisteva conforme al bisogno, et pericolo maggiore quando all’una, et quando all’altra parte. Et qui – esclamava il Capizucchi – bisognarebbe havere facondia sufficiente per poter esprimere la vigilanza, l’ingegno, et il valore di questo Principe, il quale per ogni ordine che egli dava, ancor che minimo voleva assistere personalmente nell’essequtione d’esso, et abbracciare sempre con la sua persona l’attioni più pericolose, et con grandissima prudenza si valeva così da una parte, come dall’altra de suoi esserciti”.47

Capizucchi si soffermava ancora su queste defatiganti operazioni tra settembre e ottobre 1581, dando ampio spazio agli accorgimenti tattici adottati dal Farnese, cioè a “tutti quei ottimi risguardi, che fanno degno un capitano d’essere gran conduttore d’essercito”; quanto però alla strategia generale, egli doveva ammettere che il principe di Parma cercava sempre di non essere costretto al combattimento aperto “per non mettersi in arbitrio della fortuna”.48 Farnese riuscì comunque nell’intento di impedire la congiunzione dell’esercito degli Stati con quello francese e di spingere quest’ultimo verso le coste della Manica: ormai la spedizione era al termine e il duca d’Anjou iniziava i preparativi per raggiungere l’Inghilterra. Il principe di Parma, nel contempo, riunite le sue truppe, si disponeva ad affrontare le truppe dell’Epinoy presso Dunkerque. Era un nuovo esempio di accorta dissimulazione: Farnese, ricorda Capizucchi, “si risolse d’ingannare questo essercito commandato dal Principe di Pinoý, dandoli ad intender di volersi trattenere in quella parte”.49 Suo obiettivo era invece Tournai, raggiunta con rapide marce. L’ultima parte del racconto di Capizucchi è appunto dedicata a questo assedio. Il gentiluomo romano è minuzioso nella descrizione delle complesse manovre di attacco, con scavo di gallerie – dove “essendosi per sottoterra rincontrate le genti combatterono colà entro”50 – e posa di mine. Capizucchi ricorda altresì l’improvviso ingresso in città di una truppa degli Stati che aveva avuto modo di conoscere la parola d’ordine del campo del principe di Parma, ma non riporta due episodi precedentemente avvenuti, ben noti ai primi storiografi italiani delle guerre di Fiandra: il ferimento del Farnese per un colpo di artiglieria sparato contro il suo alloggio e il suo combattimento in prima persona durante un contrattacco degli assedianti.51 La narrazione viene interrotta a questo punto: il resto del Compendio non è pervenuto.

1.5 Conclusione

La storiografia ha messo in evidenza il peso del modello del ‘perfetto capitano’ nella cultura dell’antico regime. Costruendo e ripensando questa figura di ‘capitano generale’, la trattatistica tra Cinque e Seicento diede vita a due filoni principali: “quello in cui si enunciano i parametri dell’idealtipo, e quello, invece, che traccia profili di singoli individui”.52 Punto di arrivo era una letteratura esemplare, che contaminava i modelli antichi con codici culturali consolidati (quello legato all’etica cavalleresca, quello promosso dalla Chiesa postridentina) e con gli influssi originati dalle novità tecniche e organizzative dell’arte della guerra. In questo quadro, la figura di Alessandro Farnese fu presto chiamata ad incarnare lo stereotipo del perfetto capitano generale e, soprattutto, di perfetto soldato cristiano, che aveva speso la vita combattendo i nemici della confessione cattolica. Nei Capitani di Giovanni Botero, il duca di Parma era ricordato innanzi tutto per aver combattuto “in guerre non solo giuste, ma necessarie e di somma importanza alla quiete della Chiesa di Dio”.53

La lettura di Capizucchi andava però in una direzione diversa: Farnese gli appariva certo un vero capitano generale, prudente nella gestione delle sue forze, esperto della nuova arte della guerra, stratega e tattico creativo, capace di valorizzare a suo vantaggio tutti gli elementi in gioco nello scontro. In più, con i richiami al contesto generale del conflitto, Capizucchi aveva modo di riconoscere nel Farnese non solo uno stratega abile nel maneggiare “la ragion della guerra”54 – l’espressione era usata da Cesare Campana proprio giustificando la ritirata da Cambrai – ma soprattutto un “gran politico”, cioè un uomo di governo pronto a manovre complesse, se necessario dissimulando, per ottenere i risultati richiesti dalla ragion di stato. D’altro canto, l’episodio (solo immaginato) della sfida al duca d’Anjou, con un improvviso innesto del codice culturale cavalleresco, mostrava ancora una volta come nel modello di perfetto capitano fosse frequente la contaminazione dei registri. Sorprende verificare in questo episodio un’assonanza con il Botero, che narrando il ritiro di Farnese da Cambrai aveva voluto salvare anche il suo onore di soldato che non era fuggito nemmeno di fronte a un nemico superiore: egli aveva rimarcato infatti che il principe di Parma era restato sotto le mura della città quattro ore in attesa che i Francesi venissero a battaglia, rimarcando che erano stati i Francesi a rimanere sul posto e a non accettare il combattimento.55

Resta infine da formulare un’ipotesi sulla scelta del soggetto. Capizucchi non volle trattare i risultati più importanti conseguiti dal Principe di Parma nei dodici anni della sua permanenza alle guerre di Fiandra. Prese le mosse dalla difficile campagna militare del 1581, anno in cui arrivò presso il Farnese. Fu spinto forse soltanto dall’esigenza di rispettare l’ordine cronologico. Oppure, ripercorrendo le tappe dei primi rientri di truppe straniere alle guerre di Fiandra, volle ribadire, di fronte agli altri membri della nobiltà romana, il primato della propria esperienza. Prima che nel 1582 i gentiluomini della città del papa prendessero numerosi la via delle Fiandre, prima che nel 1584 fossero tornate in servizio forze straniere, egli poteva rivendicare di aver assistito, da giovanissimo, il duca di Parma in una difficile fase del conflitto. Narrò così un momento importante della sua formazione, che durante l’intera traiettoria esistenziale gli avrebbe permesso un’attiva interiorizzazione del modello del ‘perfetto capitano’. “Io sino a gli ultimi spiriti del viver mio, mi farò sempre conoscer Tarquinio Capizucchi”:56 così in una lettera a pochi anni dalla morte il nobile romano rivendicava il suo valore di fronte ad “emuli, et detratori” e ai “nimici [di] tante gloriose imprese della mia casa”.57 Da questo punto di vista, il Compendio rappresenta un tassello importante di un’identità in costruzione.

2 Edizione

Il testo è conservato in un unico testimone, un manoscritto verosimilmente non autografo, opera di un copista probabilmente di area italiana settentrionale-orientale. Nella trascrizione, ortografia e punteggiatura sono stati mantenuti il più possibile, mentre l’uso delle maiuscole e minuscole è stato normalizzato. Restano invariate le abbreviazioni dei titoli personali e le forme di scrittura numerica originali. Fra parentesi quadre sono stati inseriti i rari interventi ritenuti necessari, a causa del deterioramento del supporto cartaceo o di un lapsus calami del copista.

  
Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 5649, ff. 97r–102v.

  
Compendio delle principali attioni militari fatte nella Fiandra dal principe S.r Alessandro Farnese, nel primo anno, ch’io Tarquinio Capizucchi mi ritrovai seco alla guerra.

  
Doppo la presa di Mistrech58 nell’anno 1579, seguì la reconciliatione tra il S.r Duca di Parma (che era all’hora Principe) come generale dell’essercito della M. Cat.ca et tra le Provincie di malcontenti, con conditione che da due truppe in poi di cavalleria, una italiana, et l’altra albanese, tutti gli stranieri dovessero uscire dal paese, cioè spagnoli, italiani, tedeschi e borgognoni, sperando S. M. con questo essempio ridurre l’altre Provincie ribellate sotto la sua dovuta obedienza, et a quest’effetto fece tornar Madama Margarita d’Austria sua sorella. Le due truppe suddette erano commandate dal marchese di Rubai59 generale della cavalleria, et il suo tenente generale era Giovan Battista Del Monte. Con queste genti che potriano arrivare a seimila fanti valloni et 2.500 cavalli assieme con li paesani, il S.r Principe di Parma si pose all’assedio di Cambrai, città molto celebre, et forte per se stessa et per esser situata tra il paese di Artues60 et la Piccardia. Et con tutto che sia sotto l’Imperio vien nondimeno nel governo politico commandata dall’Arcivescovo.61 Le sue muraglie e la sua cittadella sono raccomandate alla Corona di Spagna. Passate in tal guisa le cose, io giunsi in Fiandra l’anno 1581 nel principio della primavera, et trovai l’essercito della M. Catt.ca all’assedio di Cambrai, et fui subito honorato della Corneta reale. Erasi posto a quest’impresa il S.r Principe di Parma non già con isperanza di poter espugnare questa piazza per esserli ben nota / f. 97r / la sua grandezza e fortezza, et la maniera con la quale era ottimamente per ogni sua parte presidiata, ma solo vi si pose con intentione, et fine di tirare i francesi al soccorro di essa (poiché questa città veniva tenuta dalla Regina Madre62 per la quale governava Monsù di Balagnì, figliolo dell’arcivescovo d’Amiens63), et con questo bellissimo strattagemma pensò di necessitare le Provincie obbedienti a contravenir all’accordo sudetto, et a supplicar il Re64 che volesse far ritornar gli stranieri perché senza d’essi non si sarebbe potuta fare la guerra, sì come successe poi. Il qual pensiero fu sì alto, et sagace che non può essere non ammirato da chiunque ben lo considera et ben intende il mestier della guerra, et fu non meno da gran politico, che da gran capitano. Questo fu dunque lo scopo, che il S.r Principe si propose quando con sì piccolo essercito ei volse accamparsi et porre l’assedio ad una sì forte, et sì gran piazza, quale è Cambrai. Questa città è situata sopra il fiume Schelta che ha il suo principio in un luogo di Piccardia chiamato Satalet65 e traversa tutte le città della Fiandra sopra il qual fiume il S.r Principe di Parma fabricò un forte detto Marcuoi66 et ivi fece alloggiare una parte della fanteria et altra parte dove dalla città esce il fiume vicino ad un castello chiamato Buana67 alla metà del cammino tra Cambrai e Valentiana68, che fu preso dal Principe. Nel territorio di Cambrai vi è una terricciola chiamata Satiocambresì verso il paese di Nò69 dove alloggiò una parte della cavalleria per haver prima il S.r Principe acquistato detto luogo, et l’altra parte in un castelletto chiamato Incluse70 tra Cambrai et Doai71 verso il paese di Artues in modo che havea stretto la città grandemente con questo assedio. Non potendola tentare con la forza, per haver / f. 97v / poca gente, et poi per assicurarsi magiormente haveva egli fatto tagliare le strade maestre con fossi, e trinciere tanto lontano dalla città, che fusse securo dal tiro dell’artiglieria et nei posti necessari manteneva le guardie con le sentinelle mosse la notte fin sotto ai fossi della città, che è quello che spetta alla sicurezza de trincerati. Et non potendo la città haver altri soccorsi, che dalla Francia, si assicurava con li quartieri della cavalleria, come si è detto cioè uno di là dal fiume nel paese di Artues, et l’altro di qua verso il paese di Nò con li due forti sotto e sopra il fiume fatti di terra e frascana, come è sempre usato, i quali havriano i sui ponti poi [per] poter traghettare l’essercito e da una parte, e dall’altra, et in questa forma con mirabile avvedutezza strinse la città a necessità più che ordinaria. Si stette così molti mesi, facendosi varie fattioni, perché quei di dentro uscivano giornalmente per valersi di molte cose mangiative delli horti, che erano intorno alla città. Ritrovandosi Monsù di Balagnì a queste strette, e vedendo non poter haver soccorso se non dalla Francia procurò per ogni strada di venir al suo intento, et per gl’interessi che correvano fra le due Corone, giudicò di non impegnare il re di Francia72 ad una guerra aperta con Spagnoli. Ma perché stavano ancora in piedi le pretensioni della Regina madre sopra la corona di Portogallo, non essendo totalmente assodate le cose appartenenti a quella corona (che perciò ad istanza d’essa Regina madre fu mandato Filippo Strozzi a fomentare la cose delle Terzzere73) con questi pretesti giudicò la Francia di dare il soccorso a Cambrai, ma però sotto nome della Regina madre, della quale era generale il duca di Lanson, suo quartogenito,74 il quale mostrò di fare senza / f. 98r / licenza del Re essercito poderoso, et questo per dar maggior colore che il soccorso fosse senza sua voluntà, anzi che per sgombrare affatto ogni sospetto che si potesse havere di Sua Maestà deliberò d’armare gli confini di Francia, mostrando di dubitare et temere di questi due esserciti che erano in piedi. Se bene quest’armamento fu fatto più per preparare un tacito soccorso che per sicurezza. L’essercito della Regina Madre [fu] di m/17 fanti, e seimila cavalli: oltre la guardia di confini del Re. [Con] quel duca sudetto erano i primi capitani della Francia, cioè il Marchese di Birrò il vecchio,75 il Marascial di Homon,76 il Marascial di Brisac,77 Monsù di Belagart,78 Monsù di Ron,79 Monsù della Sciater,80 il Visconte di Torrena, o per dir meglio il Duca di Bologne,81 et due principi del sangue, uno della casa di Monpensier,82 et l’altro di Longuevilla.83 L’essercito francese partì con 12 pezzi d’artiglieria dall’alloggiamento che prese tra Gisì84 e Suatelet, marciando alla volta di Cambrai lungo [il] fiumicello Schet,85 che si poteva passare da parte a parte in breve e poi per tenere in sospetto da che parte dovesse andare il soccorso. Il S.or Principe la notte antecedente riconobbe con 500 cavalli l’alloggiamento detto di sopra et ordinò che con grandissima diligenza si disfacessero li forti et s’unissero le genti nel territorio di Cambrai, lontano dalla città dieci leghe dalla parte del paese di Nò, come fu fatto subito. Il duca di Lanson ordinò al Visconte di Torrena, che dall’istessa parte dovesse [con] cento cavalli entrare in Cambrai e dar l’avviso della [venuta] del soccorso, et nell’istesso tempo l’essercito francese passò il fiume Schelt per soccorrere dalla parte verso il paese d’Artues. Il Principe di Parma / f. 98v / era quartierato con la sua gente, come s’è detto, fuori di mano per poter osservare gl’andamenti dell’inimico senz’esser scoperto onde il Visconte diede sopra il quartiere del Principe per mettersi in campagna, havendo ordine che [se] si fosse venuto a battaglia, dovesse uscire con quelle forze di dentro, per dar sopra l’essercito al meglio ch’havesse potuto. Sì che fu assalito il Principe, il quale non haveva altra guardia, che delli suoi alabardieri, et arcieri, et una compagnia di 50 archibugieri a cavallo con la nobiltà che lo seguiva, et tutti unitamente si posero in arme, et ciascuno combatté valorosamente nel modo che si trovava, se bene con qualche confusione. Finalmente fu rotto il Torrena, e fatto prigione con 25 o 30 di quelli più nobili, et principali, che erano seco. De gli altri chi restò morto, chi ferito, et chi fuggendo salvossi. Havendo havuto avviso il Principe, che l’essercito francese havea passato il fiume, con grandissima celerità fece marciare, e passò egli ancora il fiume per da basso a veduta di Cambrai, prendendo posto favorevole, e per il sito, e per l’arte, per sapersi valere anco del bagaglio in luogo di trinciere in quelle parti profittevoli a sé et dannose al nemico. Il giorno seguente l’essercito francese s’incamminò alla volta di Cambrai, et non potendo il principe impedirlo prese partito di mandare un trombetta al duca di Lanson con ordine di dirli, che non trovandosi egli in stato di poter levare il soccorso a Cambrai lo stava aspettando in quel posto alla battaglia, alla quale proposta rispose il Duca, che egli non veniva per rompere guerra al Re Cattolico, ma solo per rinfrancare in parte le pretensioni della Regina Madre per le cose di Portugallo. In questo mentre il Principe haveva retirata tutta la nobiltà delle Provincie ubedienti, acciò dovesse assistere alla sua persona in questa / f. 99r / andata dell’essercito francese nelli Paesi Bassi, significandole il pericolo grande in che stavano di perdersi le Provincie sogette al Re, poiché per queste parti era l’essercito francese, per la parte d’Alemagna li Protestanti, guidati da Giovanni Casmiro,86 et per la parte delle Provincie maritime la Regina d’Inghilterra,87 et l’interesse e fine di questi tre confina[nti] era di diversi [= dividersi]88 con ogni potere tra di loro le Provincie della Fiandra. Soggiongendo inoltre, che era dall’altra parte il Principe di Oranges,89 il quale desiderava il soccorso di questi principi, per ostare alle forze spagnole, et però dava a loro qualche speranza conforme a i loro desiderij. Se bene peraltro ei non bramava valersi di questi soccorsi, se non in quanto compivano a’ suoi fini, aspirando anch’egli di farsi col tempo signore di tutti i Paesi bassi. Et doppo ch’il Principe di Parma hebbe significato a i nobili questi pericoli, e rispetti impresse negli animi loro che era necessario che devenessero vassalli d’uno delli sudetti tre Potentati, et più facilmente del Principe d’Oranges, il quale era odiato da loro fieramente per le competenze delle famiglie, onde si risolsero di far convocare li Deputati delle sudette Provincie in Vallentiano, sì come fu fatto subito. Hora vedendo il Principe, che l’essercito francese avea preso la strada d’entrare in Cambrai disloggiò affatto et si retirò con l’essercito nelli [borghi] di Vallentiano, et fece fortificare con trinciere più che ordinarie di terra, et fascine per considerare gl’andamenti dell’inimico. Congregati li Deputati delle Provincie con la nobiltà sudetta i consiglieri che seguitavano il Principe, (cioè il Duca di Ariscoz,90 il Conte della Lange,91 il Marchese d’Avré,92 il Conte d’Arimbergh,93 il Conte di Berlamont,94 il Collonnello Mondragone,95 Monsù de Bellì,96 che havevano tutte parte nelle deliberationi, et altri offitiali regij), risolsero derogare a quel capitolo che gli stranieri uscissero / f. 99v / fuori del paese stabilito quando si fece la pace con le provincie di malcontenti, et inoltre supplicar Sua Maestà, che si compiacesse di far ritornare li stranieri a fine di poter seguitare la guerra. Di modo che, per questa artificiosa strada, il Principe condusse a fine il suo intento, et per lo bisogno urgente che vi era, fu spedito nel paese dell’Elettor di Colonia a fare un regimento di m/3 fanti sotto il commando del Barone di Chembergh,97 et un altro nel paese dell’Elettor di Trevi[ri], sotto il comando di Monsù di Marcosana,98 et un altro nella Francia Contea sotto il commando del Marchese di Varambono.99 In questo mentre adunatasi una grossa truppa dell’essercito delli Stati uscì in campagna, et prese una terra chiamata Ghinea,100 al quale avviso il Principe fece una scelta dell’essercito, non dislogiando però dal posto sudetto di Valentiano, et si spinse con undici pezzi d’artiglieria verso Ghinea, et in otto giorni per batteria se ne fece padrone, il che effettuato ritornò con diligenza al quartiere, in tempo che havendo il Duca di Lanson rinovati i Magistrati in Cambrai, dati ordini per il governo politico, fattosi giurar fedeltà, e messi i presidij necessarij si era posto in punto per marciar con l’essercito, et entrare nel paese di Artues, il che risaputo dal Principe, havendo egli rinforzato il suo essercito con due Regimenti d’Alemani, et altre genti del paese con diligenza straordinaria marciò per vietare l’ingresso in cotal Provincia ad esso Duca. L’essercito francese non potea far passaggio nella Provincia di Fiandra se non con l’attraversare il paese di Artues, che tutto era a devozione de Spagnoli, et l’essercito degli Stati unito in essa Provincia di Fiandra, sotto il commando del Principe di Pinoý101 lo stava aspettando a gl’istessi confini per riceverlo.102 Ma vedendo il Principe di Parma, che la Provincia d’Artues era una di quelle venute pur dianzi all’ubedienza senza nisuna sorte di sicurezza, se non della propria fede, si / f. 100r / risolse di non abandonarla, et particolarmente nel primo travaglio, in cui l’avversa fortuna l’havea posta, et però chiamò tutti li capi dell’essercito a conseglio, narrando loro l’intentione de’ Francesi, che era d’attraversare il paese per passare in Fiandra et che l’essercito de’ Stat[i] dall’altra parte stava per riceverlo. Et con queste turbolenze speravano essi, che nascendo tumulto tra i popoli nelle città e fortezze principali, che erano guardate da loro stessi potesse nascere qualche sollevatione di nova ribellione sottrahendosi al dominio spagnolo. Con tutte queste circostantie espose il Principe ai capi dell’essercito, et alla nobiltà del paese, che era del Consiglio il pericolo in che stava la Provincia, dimandando loro il parere in che modo si potesse guardarla, et fu risoluto da tutto il Consiglio, che il Principe dovesse fare in quella Provincia quello stesso che fece Francesco Primo Re di Francia quando l’Imperatore entrò in Provenza, che fu l’abbandonare la Campagna, e ridur tutti a stare ne’ luoghi forti, et l’altre circostanze, che per brevità si tralasciano. Non piacque al Principe questa resolutione non parendoli con questo travaglio et ultimo esterminio di tutta la campagna della Provincia di non poter stare sicuro che non nasce[sse] nova rivolutione, il qual dubbio il Re Francesco non hebbe et risolse però di far due esserciti: uno, [cio]è quello di minor numero collocato alla frontiera di Fiandra per esser l’inimico più debole, et il paese più stretto, e molto più facile a difendersi col valersi del sito e ne fu capo il Conte Pietro Ernesto di Masfelt, col quale andava il conte Carlo suo figlio, Monsù d’Alto Penna,103 et il Colonnello Verduco,104 et altri principali capitani e signori di quella gente, che arrivava a m/3 fanti, et 500 cavalli commandati da Giovan Battista Del Monte105, et l’altro essercito più numeroso che era di m/9 fanti e 1500 cavalli fu posto alla frontiera / f. 100v / dell’essercito francese a’ confini della Piccardia sotto il commando del Marchese di Rubai generale della cavalleria106 con l’assistenza del marchese d’A[ro]nte,107 Monsù della Motta,108 et Giorgio Basti109 commissario della cavalleria. Et essendo la Provincia d’Artues molto lunga e stretta il Principe assisteva conforme al bisogno, et pericolo maggiore quando all’una, et quando all’altra parte. Et qui bisognarebbe havere facondia sufficiente per poter esprimere la vigilanza, l’ingegno, et il valore di questo Principe, il quale per ogni ordine che egli dava, ancor che minimo voleva assistere personalmente nell’essequtione d’esso, et abbracciare sempre con la sua persona110 l’attioni più pericolose, et con grandissima prudenza si valeva così da una parte, come dall’altra de suoi esserciti: dell’infanteria, nel paese stretto, dove era largo si fortificava, et trincerava col bagaglio, et conforme all’occasione si valeva de fiumi, e dei boschi, et dell’altre cose militari, havendo sempre tutti quei ottimi risguardi, che fanno degno un capitano d’essere gran conduttore d’essercito. Marciando questi due esserciti in cotal forma, il moto veniva sempre dato dell’inimico, et procurava il Principe con esquisita diligenza di non esser astretto da niuna parte dagl’esserciti inimici a dar la battaglia per non mettersi in arbitrio della fortuna, che mentre gl’havesse voluto voltar le spalle maggiore era la perdita, che il guadagno, quando anche fusse successo il tutto a suo favore, et se per lo contrario fusso accaduto sarebbe stato l’ultimo esterminio delle bandiere del Re in quelle Provincie. Non potendo però sfuggire di combattere, quando l’inimico l’havesse assalito da quella parte, che egli havesse giudicata favorevole. L’essercito francese tentava ogni strada per attraversare la Provincia e quelli delli Stati per riceverlo, et nell’istesso modo, che l’inimico faceva alto o marciava lungo la frontiera, nel medesimo il Principe accodiva111 necessariamente / f. 101r / onde i Francesi furono astretti marciar lungo i sudetti confini verso il mare oceano; et nell’istesso marciare fece l’essercito degli Stati dall’altra parte stando sempre nel terreno del Re et il Principe faceva fronte ad amendue seguitando così vicino a Cales dove l’essercito francese di notte fece passar la cavalleria a Donchercha,112 terra delli suoi Stati sul mare lontana sette leghe et l’infanteria s’imbarcò per l’istesso viaggio, come fece il duca di Lanson per Inghilterra ad abocarsi con la Regina Elisabetta;113 l’esercito delli Stati si fermò a Bergensacut114 terra vicina due leghe a Doncherchen, et vedendo il Principe il passaggio dell’essercito francese in Fiandra per le strade sudette congiunse i suoi esserciti et andò ad alloggiare a Bergensacut dove era quello delli Stati, et sapendo egli che per formarlo havevano levati molti presidij, et particolarmente dalla città di Tornai si risolse d’ingannare questo essercito commandato dal Principe di Pinoý, dandoli ad intender di volersi trattenere in quella parte, et più fece principale fortificatione alli quartieri, et poi di questo fece marciar tutta la cavalleria a la volta di Tornai con ordine che la dovesse stringere in modo, che per via di campagna non vi potesse intrare soccorso da luoghi vicini. Et fatto questo il Principe marciò con l’essercito a quella volta, et vi arrivò due giorni doppo la cavalleria, et trovò la città ristretta da essa. Et scelti i siti più opportuni per piantare i quartieri, et determinato il modo di espugnar115 la città, accampò l’istesso giorno l’essercito a tiro di cannone, et trincierò i quartieri dalla parte della venuta del nemico,et diede ordine che sopra il fiume Schelder fosse fatto un ponte con doi forti alle teste, et commandò che il vitto, et monitioni da guerra per l’essercito fossero somministrati da Lilla116 cinque leghe lontano, da Douai, sette leghe, da Vallentiano, et dieci da Mo[…]nan,117 città sogette al Re et fece da queste condurre trentacinque pezzi d’artiglieria per lo supplimento necessario / f. 101v / per far l’impresa. Il paese era assai buono, la campagna piana, et atta all’alloggiamento della cavalleria, et i viveri securamente potevano venire all’essercito. Pose il Prencipe ordine al prezzo del vivere; previdendo per la sicurezza della campagna dai Masnadieri, et doppo giudicando egli, che il soccorso non poteva venire se non da Odenart, sette leghe lontano,118 et da Mene119 cinque leghe, si spinse alla volta di Tornai, et con prestezza fece un forte vicino per assicurare l’essercito da ogni improviso assalto dell’inimico, mettendovi dentro fanteria, e cavalleria sufficiente. Questa città è grande di sito, e passava per mezzo il fiume Schelder. Dalla parte verso il paese di Nò haveva il castello, et era circondato da torrioni grossi all’antica terrapienati al possibile con le cortine, con i suoi terrapieni molto larghi, e i fossi molto cupi verso la parte, dove si fece l’impresa. Et per accomodare questa fortificatione nei moti della guerra, havevano fatto revellini distaccati di là dal fosso di terra e fascine, acciò potessero restare fiancheggiate, et erano di tal capacità, che potevano star mille fanti in ciascheduno d’essi. Nella città vi era pochissimo presidio, ma il numero de cittadini era grande, et armigero, et volenteroso di combattere, in tanto che havevano preso l’arme più di m/8 persone. Il Principe la taccò [sic = l’attaccò120] da due parti con le trinciere, cioè al revellino, et alla città con disegno, che pigliandosi il revellino l’approssio [= l’approccio]121 verso la città fosse sicuro d’esser fiancheggiato. Piantò dunque due batterie una al revellino, et l’altra alla città, procurando che a queste si levassero quelle poche difese, che portavano i torrioni. Il revellino fece battere la punta in croce per tagliar tanto essa punta, che vi potevano alloggiar securamente otto o dieci persone con zappe, e pale, et in questo tempo havendo sboccate le / f. 102r / trienciere nel fosso le mandò con tali instrumenti ad alloggiare alla punta del revellino. Questi huomini facendosi largo andavano giornalmente acquistando terreno dentro ad esso revellino. L’inimico non potendo da niuna parte dislogiarli si risolse di far dentro nove retirate, venendo in questo modo a perdere terreno, et non a racquistarlo. Onde una notte diede tanto luogo, che furono piantati due pezzi dentro al rivellino, et la mattina per tempo si batterono le retirate dell’inimico in modo che fu astrette d’bandonarlo, et retirarsi dentro la città. Il Prencipe padrone di questo posto si scoperse per rendere sicura la gente, et ritrovandosi gl’approssi fatti alla città in perfettione si risolse di dar l’assalto, et doppo un lungo combattimento le genti del Principe furno ributtate con mortalità di qualche consideratione, il che gli fece mutar pensiero; et in una delle batterie, dove havea fatto miglior effetto, et che il terreno era più facile, risolse di fare due mine et dei fornelli, et fece lavorare con gran prestezza, per esser la stagione nel mese di novembre. L’inimico avedutosi di questo fece delle contramine, et essendosi per sottoterra rincontrate le genti combatterono colà entro. All’altra batteria il Principe allogiò le genti con le zappe e pale, et procurò di caminare per l’istessa strada, che havea fatto nell’acquisto del Revellino. In questo mentre essendosi l’inimico congiunto con le sue truppe per il soccorso, et riconosciuto il campo, non potendoli oprar alcuna cosa di buono risolse mandare 200 cavalli la qual truppa havea havuto il motto, che era Santa Barbara, che fu rubata passò per tutti quartieri come amico et nell’ultimo verso la città trovando arme, si spinse avanti, et si ridusse a una porta, che trovò aperta, et fu ricevuta cotal gente senza perdita d’un huomo.122 / f. 102v /

Fonti manoscritte

Bibliothèque Royale de Belgique
Ms. II, 1155
  
Biblioteca Nazionale Centrale, Roma
Mss. Vitt. Em.: 540-543
Fondo Gesuitico: n. 371
  
Archivio Apostolico Vaticano
Fondo Borghese: II, 35
Fondo Confalonieri: 48
Fondo Pio: 105
  
Archivio di Stato di Roma
Collegio dei Notai Capitolini: vol. 465
  
Archivio di Stato di Venezia
Senato, Dispacci Roma: 16, 17
  
Biblioteca Apostolica Vaticana
Barb. lat.: 5649, 6293, 9384, 9388–9397, 9678, 9690, 9736.
Ottob. lat.: 2335
Urb. lat.: 1050, 1051, 1054, 1062, 1093–1095
  
Monastero di Santa Scolastica, Subiaco, Archivio Colonna di Paliano
II C.D. 1
  
Archivio di Stato di Parma
Archivio Farnesiano, Carteggio estero, Roma: bb. 389, 393, 402, 405
Archivio Farnesiano, Carteggio estero, Paesi Bassi, b. 111

Bibliografia

Adami, A. (1685): Elogii storici dedue marchesi Capizucchi fratelli Camillo, e Biagio celebri guerrieri del secolo passato, in Roma: nella stamperia della Reverenda Camera Apostolica: per Francesco Antonio Tinassi.

Ago, R. (1989): ‘Farsi uomini. Giovani nobili nella Roma barocca’, Memoria. Rivista di storia delle donne, 3: 7–21.

Ago, R. (1994): ‘Giovani nobili nell’età dell’assolutismo: autoritarismo paterno e libertà’, in: Storia dei giovani, a cura di Giovanni Levi e Jean-Claude Schmitt, vol. I, Roma & Bari: Laterza, 375–426.

Armanni, V. (1668Armanni, V. (1668): Della nobile, & antica famiglia deCapizucchi baroni romani diramata da vn medesimo stipite con quella deconti di Tun prosapia grande, e famosa della Germania. … Racconto del sig. Vincenzo Armanni gentilhuomo di Gubbio, in Roma: per Nicol’Angelo Tinassi.

Bagi, Z. P. (2019): ‘Giorgio Basta: A short summary of a career’, in: K. Csaplár-Degovic (ed.): “These were hard times for Skanderbeg, but he had an ally, the Hungarian Hunyadi”: Episodes in Albanian–Hungarian Historical Contacts, Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, Bölcsészettudományi Kutatóközpont, 35–66.

Bentivoglio, G. (1636): Della Guerra di Fiandra, parte seconda, in Colonia: [s. n.].

Bertini, G. (2018): ‘La nazione italiana nell’esercito di Alessandro Farnese nei Paesi Bassi: Nuove prospettive’, Philostrato. Revista de Historia y Arte, nº extraordinario (marzo), 258–295.

Bizzocchi, R. (1995): Genealogie incredibili. Scritti di storia nellEuropa moderna, Bologna: Il Mulino.

Botero, G. (1607): I Capitani del Signor Giovanni Bottero … Con alcuni discorsi curiosi, in Torino: per Domenico Tarino.

Bouly de Lesdain, E. (1847): Histoire de Cambrai et du Cambrésis, Cambrai: [s. n.].

Bouza Álvarez, F. J. (1998): Imagen y propaganda. Capítulos de la historia cultural del reinado de Felipe II, Madrid: Akal.

Brunelli, G. (1997): ‘Soldati vecchi della scuola di Fiandra. Nobiltà ed esercizio delle armi nello Stato della Chiesa fra Cinque e Seicento’, in: I Farnese. Corti, guerra e nobiltà in antico regime, a cura di Antonella Bilotto, Piero Del Negro e Cesare Mozzarelli, Roma: Bulzoni, 421–444.

Brunelli, G. (2003): Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa (1560–1644), Roma: Carocci.

Brunelli, G. (2018): La santa impresa. Le crociate del papa, in Ungheria (1595–1601), Roma: Salerno.

Calendar of State Papers. Foreign Series, of the reign of Elizabeth preserved in the Public Record Office, ed. Joseph Stevenson et al., [23 voll.], London: Longman, Green, 1863–1950.

Campana, C. (1602): Della guerra di Fiandra fatta per difesa di religione da catholici re di Spagna Filippo secondo, e Filippo terzo di tal nome … Descritta fedele, e diligentemente da Cesare Campana, gentilhuomo aquilano, in Vicenza: appresso Giorgio Greco.

Clerici, A. (2004): Costituzionalismo, contrattualismo e diritto di resistenza nella rivolta dei Pesi Bassi. 1559–1581, Milano: Franco Angeli.

Dizionario Biografico degli Italiani, Roma: Istituto della Enciclopedia italiana fondato da G. Treccani, 1960–.

Documents concernant les relations entre le duc dAnjou et les Pays-Bas. 1576–1583, publiés par P. L. Muller & A. Diegerick, Utrecht: Kemink & Zoon, 1889–1899.

Essen, L. van der (1933–1937): Alexandre Farnèse: prince de Parme, gouverneur général des Pays-Bas, 1545–1592, [5 voll.], Bruxelles: Librairie Nationale d’Art et d’Histoire.

Fantoni, M. (1997): ‘L’immagine del capitano e cultura militare nell’Italia del Cinque-Seicento’, in: I Farnese. Corti, guerra e nobiltà in antico regime, a cura di Antonella Bilotto, Piero Del Negro & Cesare Mozzarelli, Roma: Bulzoni, 209–243.

I Farnese. Corti, guerra e nobiltà in antico regime, Atti del convegno di studi, Piacenza, 24–26 novembre 1994, a cura di A. Bilotto, P. Del Negro & C. Mozzarelli, Roma: Bulzoni, 1997.

Genealogien zur Papstgeschichte, hrsg. von Christoph Weber, [6 voll], Stuttgart: Hiersemann, 1999–2002.

Hale, J. R. (1983): ‘The military education of the officer class in early modern Europe’, in: Id.: Renaissance War Studies, London: The Hambledon Press, 225 –246.

Holt, M. P. (1986): The Duke of Anjou and the political struggle during the wars of religion, Cambridge: Cambridge University Press.

Irace, E. (1998): ‘Vero, falso, autentico’, Quaderni storici 33: 201–216.

Maffi, D. (2005): ‘El perfecto capitan fra guerra e pace. La trattatistica militare nella Spagna di Filippo II’, in: Guerra e pace nel pensiero del Rinascimento, a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze: Cesati, 447–466.

Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae. Authore Prospero Mandosio nobili Romano, [2 voll.], Romae: typis, ac sumptibus Ignatij de Lazzaris, 1682–1692.

Merlin, P. (2001): ‘Tra storia e ’institutio’: principe e capitano nel pensiero di Giovanni Botero’, in: Il “Perfetto Capitano”. Immagini e realtà (secoli XV–XVII), a cura di M. Fantoni, Roma: Bulzoni, 305–329.

Parker, G. (1981): The Dutch Revolt, Harmondsworth: Penguin.

Pouillon, F. (1978): ‘Dono’, in: Enciclopedia Einaudi, vol. V, Torino: Einaudi, 107–125.

La Seconda parte del Thesoro politico, nella quale si contengono trattati, discorsi, relationi, ragguagli, instruttioni, di molta importanza per li maneggi, interessi, pretensioni, dipendenze, e disegni de principi … Di nuovo raccolta ad instanza di Girolamo Bordone, & Pietro Martire Locarni, In Milano: appresso Girolamo Bordone, e Pietromartire Locarni compagni, 1601.

Strada, F. (1648): Della guerra di Fiandra deca prima composta da Famiano Strada … e volgarizzata da Paolo Segnere, in Roma: per gli eredi del Corbelletti.

Testa, S. (2002): ‘Alcune riflessioni sul Thesoro Politico (1589)’, Bibliothèque dHumanisme et Renaissance 64: 679–687.

Wartburg, W. von (1967): Évolution et structure de la langue française, ottava edizione, Berne: A. Francke.

Dizionari consultati

Dizionario Tommaseo-Bellini Niccolò Tommaseo, Bernardo Bellini, Dizionario della lingua italiana, [20 voll.], Milano: Rizzoli 1977 (ripr. facs. dell’ed. Torino : Unione Tipografico Editrice, 1865).

Vocabolario degli Academici della Crusca, quinta impressione, [5 voll.], In Venezia: appresso Francesco Pitteri.


  1. Historia della famiglia Capizucchi compilata dal P. Raimondo Capizuccho Maestro del Sacro Palazzo parte I, nella Biblioteca Nazionale Centrale, Roma (d’ora in poi BNCR), Mss. Vitt. Em. 540, p. 349r. A riguardo, cfr. S. Nitti: ‘Capizucchi, Raimondo’, in: Dizionario Biografico degli Italiani (d’ora in poi DBI), vol. 18, Roma: Istituto per la Enciclopedia Italiana fondato da G. Treccani, 1975: 573–575. In generale, sulla partecipazione delle aristocrazie italiane alle guerre di Fiandra, cfr. I Farnese. Corti, guerra e nobiltà in antico regime, Atti del convegno di studi, Piacenza, 24–26 novembre 1994, a cura di A. Bilotto, P. Del Negro e C. Mozzarelli, Roma: Bulzoni, 1997 e G. Bertini: ‘La nazione italiana nell’esercito di Alessandro Farnese nei Paesi Bassi: Nuove prospettive’, Philostrato. Revista de Historia y Arte, nº extraordinario (marzo), 2018: 258–295.↩︎

  2. L. Donà al Senato, Roma, I settembre 1582, in Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi ASVE), Senato Dispacci, Roma (d’ora in poi SDR), 16: f. 313v. Lo stesso Donà in un successivo dispaccio del 4 marzo 1583 (in ASVE, SDR, 17, ff. 6r–v) così commentava la notizia di una lite tra Virginio Orsini e suo cugino Guido Baglioni: “Buona taglia de giovani, et de’ cavallieri sono veramente ambidue, et sono ambedui maritati, et si può dir novelli sposi”.↩︎

  3. Avvisi di Roma del 28 luglio 1582, nella Biblioteca Apostolica Vaticana (d’ora in poi BAV), Urb. lat. 1050, f. 269r. Ventenne al momento della partenza per le Fiandre, era marchese di Varzi e Castell’Arquato; successivamente fu creato cardinale. Cfr. Genealogien zur Papstgeschichte, hrsg. von Christoph Weber, Stuttgart: Hiersemann, 1999–2002, vol. II: 883.↩︎

  4. A metà Seicento può sembrare evidente che “tra gli aristocratici romani, nati e cresciuti in famiglie sempre affollate di monsignori e cardinali, l’etica curiale ha certo buon gioco nei confronti di quella cavalleresca”. R. Ago: ‘Giovani nobili nell’età dell’assolutismo: autoritarismo paterno e libertà’, in Storia dei giovani, a cura di G. Levi e J.-C. Schmitt, vol. I, Roma-Bari: Laterza, 1994: 375–426, p. 391. Cfr. anche R. Ago: ‘Farsi uomini. Giovani nobili nella Roma barocca’, Memoria. Rivista di storia delle donne, 3, no. 27 (1989): 7–21. Gli atteggiamenti sociali dei giovani del secondo Cinquecento sembrano però ancora molto sensibili al richiamo del’identità militare. Cfr. G. Brunelli, ‘Soldati vecchi della scuola di Fiandra. Nobiltà ed esercizio delle armi nello Stato della Chiesa fra Cinque e Seicento’, in: I Farnese…, op.cit.: 421–444, ove sono ricordati, fra gli altri, gli esempi di casa Caetani, Caffarelli, Capizucchi, Gottifredi, Lancillotti, Maccarani.↩︎

  5. Pietro Caetani a Marcantonio Colonna, Sermoneta, 29 febbraio 1584, in Archivio Colonna, Subiaco (d’ora in poi AC), II C.D. 1, lettera 5362 [b. 46]. In occasione della partenza, il padre Onorato aveva “fatto diligentia [di] metterli homini appresso delli megliori che se sia possuto.” Onorato Caetani al cognato Marcantonio Colonna, Sermoneta, 2 marzo 1584, in AC, II C.D. 1, lettera 5198 [b. 46].↩︎

  6. Avvisi di Roma, 5 aprile 1586, in BAV, Urb. lat. 1054, f. 130v.↩︎

  7. Lucrezia Salviati Orsini al principe A. Farnese, 7 settembre 1582, in Archivio di Stato di Parma (d’ora in poi ASPR), Archivio Farnesiano (d’ora in poi Arch. Farn.), Carteggio estero, Roma, b. 393 [carte non numerate]. Gli Avvisi di Roma del I settembre 1582 (in BAV, Urb. lat. 1050, f. 323v) confermavano che erano sul punto di partire per le Fiandre i figli di Latino Orsini, Virginio, e di Astorre Baglioni, Grifone.↩︎

  8. Cfr. J. R. Hale: ‘The military education of the officer class in early modern Europe’, in: Idem.: Renaissance War Studies, London: The Hambledon Press, 1983: 225–246, pp. 229–230 in particolare.↩︎

  9. Giacomo Malatesta al card. Alessandro Farnese, Roncofreddo, 6 settembre 1587, in ASPR, Arch. Farn., Carteggio estero, Roma, b. 405. [carte non numerate], donde sono tratte anche le precedenti citazioni.↩︎

  10. Avvisi di Roma del 19 novembre 1583, in BAV, Urb. lat. 1051, f. 502r.↩︎

  11. Instruttione allIllustriss. Sig. Pietro Gaetano, quando andò in Fiandra, in La Seconda Parte del Thesoro Politico, nella quale si contengono trattati, discorsi, relationi, ragguagli, instruttioni, di molta importanza per li maneggi, interessi, pretensioni, dipendenze, e disegni de principi … Di nuovo raccolta ad instanza di Girolamo Bordone, & Pietro Martire Locarni, In Milano: appresso Girolamo Bordone, e Pietromartire Locarni compagni, 1601: 502–517. La versione castigliana del testo è stata pubblicata in appendice a F. J. Bouza Álvarez: Imagen y propaganda. Capítulos de la historia cultural del reinado de Felipe II, Madrid: Akal, 1998: 235–245. Sul Thesoro politico, cfr. S. Testa: ‘Alcune riflessioni sul Thesoro Politico (1589)’, Bibliothèque dHumanisme et Renaissance 64, 2002: 679–687.↩︎

  12. Instruttione allIllustriss. Sig. Pietro Gaetano…, op.cit.: 507–508 (donde sono tratte anche le precedenti citazioni).↩︎

  13. Le Relationi e memorie di Fiandra sono conservate in BNCR, Fondo Gesuitico, n. 371, ff. 91r–102v. Torelli sarà sotto Urbano VIII prima capitano nei presidi della città di Ferrara, poi ufficiale superiore degli ordinamenti militari territoriali in Sabina e infine, durante la guerra di Castro, foriere maggiore della cavalleria nel Ferrarese, cioè l’ufficiale preposto alla predisposizione degli acquartieramenti, quando essa era in marcia, e quartiermastro generale dell’artiglieria a Perugia, vale a dire l’ufficiale che soprintendeva, in loco, a tutti gli aspetti logistici di quella specialità. Cfr. i suoi carteggi in BAV, Barb. lat. 9384, 9678, 9690, 9736.↩︎

  14. In BAV, Barb.lat. 5649, ff. 97r–102v (d’ora in poi ‘Compendio’).↩︎

  15. Cfr. M. Giansante, ‘Capizucchi, Cencio’, in: DBI, vol. 18, Roma: Istituto per la Enciclopedia Italiana fondato da G. Treccani 1975: 566–568. Il testo del suo breve di nomina a mastro di campo generale (datato 3 maggio 1563) si legge in BNCR, Vitt. Em. 542, ‘Memorie spettanti alla nobilissima casa Capizucchi raccolte dal rev.mo padre D. Giulio Lucenti abbate cistercense, parte prima’ [1687]: ff. 486–489. La carica coincideva con un importante incarico di stato maggiore, il secondo o il terzo nella linea di comando. Fu oggetto di una monografica trattazione da parte di Giorgio Basta: Il mastro di campo generale, In Venetia: appresso Giovan Battista Ciotti senese all’Aurora, 1606. Sul Basta, generale e uomo di governo attivo in Ungheria e in Transilvania fra il 1597 e il 1606, cfr. infra, nota 109.↩︎

  16. Cfr. le lettere di Camillo Capizucchi al duca Ottavio Farnese, Roma, 16 aprile 1581, in ASPR, Arch. Farn., Carteggio estero, Roma, b. 389 [carte non numerate] e di Alessandro Farnese a Camillo Capizucchi, Mons 9 maggio 1581, ivi, Carteggio estero, Paesi Bassi, b. 111 [carte non numerate]. Su Camillo Capizucchi, protagonista della seconda spedizione pontificia in Ungheria del 1597, cfr. G. Brunelli, La santa impresa. Le crociate del papa in Ungheria (1595–1601), Roma: Salerno 2018: 106, 112, 118–119.↩︎

  17. Cfr. la lettera di Tarquinio Capizucchi al card. Alessandro Farnese, Tournay, 7 marzo 1582, in ASPR, Arch. Farn., Carteggio estero, Paesi Bassi, b. 111 [carte non numerate]. Sul “guidone” nel lessico militare del Cinquecento, cfr. N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, vol. 9, Milano: Rizzoli 1977 (ripr. facs. dell’ed. Torino: Unione Tipografico Editrice, 1865): 616.↩︎

  18. Laudomia Capizucchi al principe di Parma, 15 aprile 1586, in ASPR, Arch. Farn., Carteggio estero, Roma, b. 402 [carte non numerate]. In occasione del rientro a Roma del Capizucchi, Alessandro Farnese scrisse una lettera di raccomandazione al cardinal nipote di Sisto V. È conservata la minuta della risposta del card. Alessandro Damasceni Peretti ad Alessandro Farnese, Roma, 30 agosto 1586, in Archivio Apostolico Vaticano (d’ora in poi AAV), Fondo Confalonieri, 48, f. 22v. I fratelli di Tarquinio si chiamavano Antimo ed Emilio. Cfr. il testamento del padre Cencio del 13 giugno 1570 in Archivio di Stato di Roma (d’ora in poi ASR), Collegio dei Notai Capitolini, [Prospero Campana], vol. 465 [testamenti], ff. 25r–31r.↩︎

  19. Cfr. Avvisi di Roma dell’8 ottobre 1594, in BAV, Urb. lat. 1062, ff. 610v–611r.↩︎

  20. Cfr. G. Brunelli, La santa impresa…, op.cit. e G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa (1560–1644), Roma: Carocci, 2003: 111–115.↩︎

  21. Il suo nome fu proposto dallo stesso papa Paolo V. Cfr. il verbale della congregazione dell’Armi del 31 gennaio 1607, in AAV, Fondo Pio, 105, f. 41r–v. Della sua entrata in servizio dà conto la lettera di Antonio Del Drago a Francesco Borghese, Fano, 8 aprile 1607, f. 105r, in AAV, Fondo Borghese, II, 35, f. 84r. Sugli arruolamenti per la crisi con Venezia, cfr. G. Brunelli: Soldati del papa…, op.cit.: 115–118.↩︎

  22. Memoriale intitolato ‘Capitani esperti. 1610’, in BAV, Ottob. lat. 2335, ff. 43r–46r, f. 44v.↩︎

  23. Avvisi di Roma del 18 gennaio 1625, in BAV, Urb. lat. 1095, f. 39r–v. L’occasione era data dalla questione dei forti della Valtellina. Cfr. G. Brunelli: Soldati del papa…, op.cit.: 190–193.↩︎

  24. Ne danno notizia già gli Avvisi di Roma del 27 settembre 1623, in BAV, Urb. lat. 1093, f. 743r. I successivi Avvisi del 28 febbraio 1624 (in BAV, Urb. lat. 1094, f. 124v) riferiscono del trasferimento del Capizucchi alla sua sede di servizio, Ancona, e del suo stipendio (che avrebbe raggiunto i duemila scudi annui). Il generale di santa Chiesa Carlo Barberini con dispaccio datato Roma, 24 feb. 1624 al presidente di Romagna e ai governatori di Perugia e Macerata diede una ufficiale presentazione del Capizucchi. Si legge in BAV, Barb. lat. 6293, f. 117r.↩︎

  25. Cfr. BAV, Barb. lat. 9388–9397.↩︎

  26. Sul “dono” come risorsa di una sociabilità che ha ragioni pratiche di stabilire rapporti, cfr. F. Pouillon: ‘Dono’, in: Enciclopedia Einaudi, vol. V, Torino: Einaudi, 1978: 107–125.↩︎

  27. Tarquinio Capizucchi a Carlo Barberini, Ancona, 6 settembre 1626, in BAV, Barb. lat. 9394, ff. 68r–69r, f. 68v. Da qui è tratta anche la precedente citazione.↩︎

  28. Cfr. P. Mandosio: Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae, vol. II, Romae: typis, ac sumptibus Ignatij de Lazzaris, 1692: 167–68. Questo l’intero passo: “Scripsit Tarquinius, uti mihi constat ex notionibus perhumaniter habitis ab eminintessimo cardinali Raymundo Capisucco, Relationem Summariam italice rerum a se in Belgio gestarum, quae apud haeredes asservatur”.↩︎

  29. Cfr. BNCR, Vitt. Em., mss. 540–541.↩︎

  30. Cfr. ‘Historia della famiglia Capizucchi’ compilata dal P. Raimondo Capizuccho, in BNCR, Vitt. Em., ms. 540: 558r–566v.↩︎

  31. Cfr. V. Armanni: Della nobile, & antica famiglia deCapizucchi baroni romani diramata da un medesimo stipite con quella deconti di Tun prosapia grande, e famosa della Germania, in Roma: per Nicol’Angelo Tinassi, 1668: 32–34; A. Adami: Elogii storici dedue marchesi Capizucchi fratelli Camillo, e Biagio celebri guerrieri del secolo passato, in Roma: nella stamperia della Reverenda Camera Apostolica: per Francesco Antonio Tinassi, 1685: 26; ‘Memorie spettanti alla nobilissima casa Capizucchi raccolte dal rev.mo padre D. Giulio Lucenti abbate cistercense’ [1687], in BNCR, Vitt. Em. 542–543 (in particolare Vitt. Em. 543: 437r–510v). Sulle storie della famiglia Capizucchi, ma con riferimento soprattutto alle vicende medievali, cfr. R. Bizzocchi: Genealogie incredibili. Scritti di storia nellEuropa moderna, Bologna: Il Mulino, 1995 e la sua recensione in E. Irace: ‘Vero, falso, autentico’, Quaderni storici 33, 1998: 201–216.↩︎

  32. Cfr. M. Giansante,‘Capizucchi, Tarquinio’, in: DBI, vol. 18, Roma: Istituto per la Enciclopedia Italiana fondato da G. Treccani, 1975: 575–577, p. 577.↩︎

  33. Le due forme abbreviate, come è noto, indicano rispettivamente “di felice memoria” e “di gloriosa memoria”.↩︎

  34. ‘Compendio’, in BAV, Barb. lat. 5649, f. 97r. “Cornetta reale” era detta la piccola insegna di cavalleria, di forma quadrata, che si dispiegava in battaglia qualora fosse presente il sovrano. Cfr. Vocabolario degli Academici della Crusca, quinta impressione, vol. I, In Venezia: appresso Francesco Pitteri, 1741: 579.↩︎

  35. Cfr. D. Maffi: ‘El perfecto capitan fra guerra e pace. La trattatistica militare nella Spagna di Filippo II’, in: Guerra e pace nel pensiero del Rinascimento, a cura di L. Secchi Tarugi, Firenze: Cesati, 2005: 447–466, pp. 455–457, ove è ricordata la centralità delle esperienze nelle Fiandre.↩︎

  36. Parker parlava infatti di una “poor military performance of the army of Flanders” (G. Parker: The Dutch Revolt, Harmondsworth: Penguin, 1981: 209).↩︎

  37. Su questa fase della storia di Cambrai, cfr. E. Bouly de Lesdain: Histoire de Cambrai et du Cambrésis, Cambrai: [s. n.], 1847: 314–334. Dettagli sulle trattative per acquistare la signoria su Cambrai nel dispaccio di Henry Cobham al Burghley, 6 marzo 1580, in: Calendar of State Papers. Foreign Series, of the reign of Elizabeth preserved in the Public Record Office, edited by J. Stevenson et alii, vol. 14: 1579–1580, edited by A. J. Butler, London: Longman, Green, 1904: 181–182. Qui è riportato anche un breve sommario delle capitolazioni. Poco dopo, con il trattato di Plessis-les-Tours (firmato il 19 settembre 1580 e ratificato il 23 gennaio 1581), Anjou, fratello del re di Francia Enrico III, doveva ricevere la sovranità dei Paesi Bassi. Cfr. A. Clerici: Costituzionalismo, contrattualismo e diritto di resistenza nella rivolta dei Pesi Bassi. 1559–1581, Milano: Franco Angeli, 2004: 179–193.↩︎

  38. ‘Compendio’, in BAV, Barb. lat. 5649, f. 97v (donde sono tratte anche le precedenti citazioni). Secondo il contemporaneo Paolo Rinaldi, erano stati i capi valloni (soprattutto Montigny e Roubaix) a volere l’iniziativa contro Cambrai. Cfr. ‘Liber relationum eorum quae gesta fuere in Belgio et alibi per ser. d. ducem Alexandrium Farnesium’, nella Bibliothèque Royale de Belgique, Ms. II, 1155: f. 81r (d’ora in poi ‘Liber relationum’). Ringrazio sentitamente Giuseppe Bertini, studioso del Rinaldi, per avermi reso disponibile la stampa del microfilm di questo manoscritto.↩︎

  39. ‘Compendio’, in BAV, Barb. lat. 5649, f. 97v.↩︎

  40. Cfr. M. P. Holt: The Duke of Anjou and the political struggle during the wars of religion, Cambridge: Cambridge University Press, 1986: 133–165. ↩︎

  41. Cfr. i dispacci di Jean de Martigny al principe di Parma, Landrecies, 22 luglio e 9 agosto 1581, in: Documents concernant les relations entre le duc dAnjou et les Pays–Bas, publiés par P. L. Muller et A. Diegerick, vol. IV: Février 1581–mars 1583: ʼs Gravenhage: M. Nijhoff, 1898: 115 e 153. Secondo Rinaldi invece, “il duca D’Alanson inteso che la manifattura del forte impediva Cambrai delle vitovaglie, et del comercio, deliberò di soccorere questa città senza indugiare”. Rinaldi, ‘Liber Relationum’: f. 82r. Ma anche Rinaldi riferiva la convinzione del principe di Parma che il forte esercito di Anjou fosse stato allestito con aiuti “dalla Madre, et tacitamente dal fratello [il re di Francia], che disimula[va]” (ibid.: f. 87r.).↩︎

  42. Come ricordava già Famiano Strada, Turenne si imbatté nelle truppe di Giovanni di Bossù e fu da queste catturato. È verosimile che Capizucchi abbia voluto attribuire personalmente al Farnese uno dei pochi successi di quelle operazioni. F. Strada: Della guerra di Fiandra deca primavolgarizzata da Paolo Segnere, in Roma: per gli eredi del Corbelletti, 1648: 211.↩︎

  43. ‘Compendio’, in BAV, Barb. lat. 5649: f. 99r.↩︎

  44. Ibid. (donde è tratta la precedente citazione).↩︎

  45. Ibid.: f. 100r.↩︎

  46. Ibid.: f. 100v (donde è tratta anche la precedente citazione).↩︎

  47. Ibid.: f. 101r.↩︎

  48. Ibid. (donde è tratta la precedente citazione).↩︎

  49. Ibid.: f. 101v.↩︎

  50. Ibid.: f. 102v.↩︎

  51. Cfr. F. Strada: Della guerra di Fiandra…, op.cit.: 220; C. Campana: Della guerra di Fiandra fatta per difesa di religione da catholici re di Spagna Filippo secondo, e Filippo terzo di tal nome, in Vicenza: appresso Giorgio Greco, 1602: 30; G. Bentivoglio: Della Guerra di Fiandra, parte seconda, in Colonia: [s. n.], 1636: 97.↩︎

  52. M. Fantoni: ‘L’immagine del capitano e cultura militare nell’Italia del Cinque-Seicento’, in: I Farnese. Corti, guerra e nobiltà …, op.cit.: 209–243, p. 217.↩︎

  53. G. Botero: I Capitani … Con alcuni discorsi curiosi, in Torino: per Domenico Tarino, 1607: 86. Su questa opera dell’ultimo Botero, cfr. P. Merlin: ‘Tra storia e ’institutio’: principe e capitano nel pensiero di Giovanni Botero’, in: Il “Perfetto Capitano”. Immagini e realtà (secoli XV–XVII), a cura di M. Fantoni, Roma: Bulzoni, 2001: 305–329.↩︎

  54. C. Campana: Della guerra di Fiandra…, op.cit.: 28.↩︎

  55. Cfr. G. Botero: I capitani…, op.cit.: 89.↩︎

  56. T. Capizucchi a C. Barberini, Ancona, 6 settembre 1626, in BAV, Barb. lat. 9394, f. 68r–v.↩︎

  57. T. Capizucchi a C. Barberini, Ancona, 7 maggio 1626, in BAV, Barb. lat. 9393, f. 80r–v.↩︎

  58. Maastricht.↩︎

  59. Robert de Melun, marchese di Roubaix (? circa 1550–1585).↩︎

  60. Dizione castigliana del francese Artois. Sull’evoluzione storica del dittongo oi in francese. Cfr. W. von Wartburg: Évolution et structure de la langue française, ottava edizione, Berne: A. Francke, 1967: 155.↩︎

  61. L’arcivescovo nel 1581 era Louis de Berlaymont (1542–1596), entrato in possesso nel 1572 e fuoriuscito a Mons dopo che la città era stata sottomessa al governo del barone d’Incy Baudouin de Gavre (?–1583), a nome degli Stati generali dei Paesi Bassi. Cfr. E. Bouly de Lesdain: Histoire de Cambrai…, op.cit.: 314.↩︎

  62. Caterina de’ Medici (1519–1589).↩︎

  63. Jean de Balagny (1545–1603), figlio illegittimo di Jean de Monluc, vescovo di Valence e Die (1508–1579).↩︎

  64. Filippo II, re di Spagna (1527–1598).↩︎

  65. Gouy le Catelet.↩︎

  66. Secondo Strada 1648: 197–198 è Marcoin il primo punto fortificato contro Cambrai. Secondo Rinaldi (‘Liber Relationum’: f. 81r) si tratta del villaggio di “Marcon, a’ confini di Francia”, identificabile con l’attuale Marquion. Riguardo alla forma del nome, cfr. supra, nota 61, secondo la quale la prima delle due ipotesi qui formulate va scartata.↩︎

  67. Bouchain, preso nel settembre 1580.↩︎

  68. Valenciennes.↩︎

  69. Chateau Cambrésis, verso l’Hainault.↩︎

  70. Lécluse.↩︎

  71. Douai.↩︎

  72. Enrico III (1551–1589).↩︎

  73. Capizucchi allude alla fallita spedizione del maresciallo di Francia Filippo Strozzi (1541–1582) nelle Azzorre per rimettere sul trono del Portogallo don Antonio priore di Crato (1531–1595).↩︎

  74. Francesco Ercole di Valois, duca d’Alençon e d’Anjou (1554–1584).↩︎

  75. Armando di Gontaut, barone di Biron e maresciallo di Francia (1524–1592).↩︎

  76. Giovanni VI d’Aumont, barone d’Estrabonne e conte di Châteauroux, maresciallo di Francia (1522–1595).↩︎

  77. Carlo II di Cossé, duca di Brissac, maresciallo di Francia (? circa 1550–1621).↩︎

  78. Roger II, duca di Bellegarde (1562–1646).↩︎

  79. Potrebbe trattarsi di Rosne, luogotenente della compagnia del duca d’Anjou, noto come “un des meilleurs officiers du temps et plus tard un des chefs de la Ligue”. Cfr. Documents concernant les relations…, op.cit.: 104.↩︎

  80. Claudio di La Châtre, maresciallo di Francia (1526–1614).↩︎

  81. Enrico de La Tour d’Auvergne, visconte di Turenne, poi duca di Buglione, maresciallo di Francia (1555–1623).↩︎

  82. Francesco, principe Delfino d’Alvernia (1542–1592), duca di Montpensier dal 1582.↩︎

  83. Enrico I d’Orléans, duca de Longueville (1568–1595).↩︎

  84. Guise, a circa 30 km da Le Catelet.↩︎

  85. Si tratta della Sensée, che divise appunto gli eserciti di Anjou e Farnese. Cfr. L. Van der Essen: Alexandre Farnèse: prince de Parme, gouverneur général des Pays-Bas, 1545–1592, II, Bruxelles: Librairie Nationale d’Art et d’Histoire, 1934: 314.↩︎

  86. Giovanni Casimiro von Pfalz–Simmern, principe elettore (1543–1592).↩︎

  87. Elisabetta I Tudor (1533–1603).↩︎

  88. Probabile errore del copista.↩︎

  89. Guglielmo di Orange–Nassau (1533–1584).↩︎

  90. Charles de Croy, duca d’Aerschot, poi passato alla confessione protestante (1560–1612).↩︎

  91. Filippo II, conte di Lalaing (1537–1582).↩︎

  92. Carlo–Filippo de Croy, marchese d’Havré (1549–1613).↩︎

  93. Charles de Ligne, conte di Aremberg (1550–1616).↩︎

  94. Claude de Berlaymont, signore di Haultepenne (? circa 1550–1587).↩︎

  95. Christoval de Mondragon (1514–1596).↩︎

  96. Caspar de Robles, signore di Billy (1527–1585).↩︎

  97. Personaggio non identificato.↩︎

  98. Grafia poco leggibile, personaggio non identificato. Secondo Rinaldi (‘Liber relationum’: f. 90v) i rinforzi tedeschi sono di un reggimento di fanti e di mille raitri. Rinaldi (ripreso da Van der Essen: Alexandre Farnèse…, op.cit., II, p. 315, n. 164 con lode per i suoi “détails precieux”) non conosceva però i nomi degli ufficiali ingaggiati.↩︎

  99. Marc de Rye, marchese di Varambon (1545–1598).↩︎

  100. Saint-Ghislain.↩︎

  101. Pierre de Melun, principe d’Epinoy era (1550–1594).↩︎

  102. Capizucchi omette di ricordare che il grosso dell’esercito di Anjou dopo la caduta di Saint-Ghislain era rientrato in Francia e si muoveva lungo il confine “per ricondursi, e unirsi di nuovo con quei di Fiandra lor confederati”. Rinaldi: ‘Liber relationum’: f. 91v.↩︎

  103. Il già citato Claude de Berlaymont, signore d’Haultepenne.↩︎

  104. Francisco Verdugo (1537–1595).↩︎

  105. Giovan Battista Bourbon Del Monte (1555–1630).↩︎

  106. Barrato nel ms.: “Et essendo la Provincia d’Artues molto lunga e stretta il Principe”.↩︎

  107. Grafia poco leggibile, personaggio non identificato.↩︎

  108. Valentin de Pardieu, signore de la Motte (? circa 1520–1595).↩︎

  109. Giorgio Basta, sul quale, da ultimo, cfr. Z. P. Bagi: ‘Giorgio Basta: A short summary of a career’, in: K. Csaplár-Degovic (ed.): “These were hard times for Skanderbeg, but he had an ally, the Hungarian Hunyadi”: Episodes in Albanian–Hungarian Historical Contacts, Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, Bölcsészettudományi Kutatóközpont, 2019: 35–66 (al quale si rimanda anche per la ricca bibliografia citata).↩︎

  110. Barrato nel ms.: “l’essequtione d’essa”.↩︎

  111. “Accodiva” vale “accudiva” in senso più esteso, in forma intransitiva. Cfr. N. Tommaseo & B. Bellini: Dizionario della lingua italiana…, op.cit., vol. I: 545.↩︎

  112. Dunkerque.↩︎

  113. Anjou passò la Manica e sbarcò a Rye il 31 ottobre. Tornò indietro l’8 febbraio 1582.↩︎

  114. Bergues.↩︎

  115. Barrato nel ms.: “assaltar”.↩︎

  116. Lille.↩︎

  117. Grafia poco leggibile, località non identificata.↩︎

  118. Cioè Oudenaarde, dove alla fine di ottobre era il campo dell’esercito degli Stati.↩︎

  119. Menen.↩︎

  120. Errore di divisione della parola tipico dei dialetti settentrionali. Fa pensare che lo scritto non è un autografo, ma una copia. L’errore è peraltro comune – anche nei testi a stampa – a fine Seicento. Cfr., ad esempio, l’opuscolo di Rinaldo de Faccheris: Verità smascherata circa lautor dellhomicidio del co. Camillo Secco Suardo […], Milano: [s. n., post 1670]: “gli viddi solamente la detta pistola, che haveva in mano, quando se la taccò sotto” (ibid., pagine non numerate; corsivo mio).↩︎

  121. Rivellino si chiamava l’opera di protezione in muratura, distaccata, posta di fronte a una porta o a un tratto delle cortine difensive. Cfr. N. Tommaseo, B. Bellini: Dizionario della lingua italiana…, op.cit., vol. XVI: p. 522. Approccio è “quella trincea che si fa per accostarsi apertamente alle fortificazioni dell’inimico”. Ivi, vol. II, p. 591. Qui la geminata -s- richiama la forma francese approches. Ringrazio l’amico Claudio Giunta per l’aiuto datomi in questo e in altri punti.↩︎

  122. Tournai venne conquistata alla fine di novembre 1581. Cfr. G. Parker: The Dutch Revolt…, op.cit.: 209.↩︎