Verbum – Analecta Neolatina XXII, 2021/2
ISSN 1588-4309; ©2021 PPKE BTK
Abstract
In this study, I reflect on the possible links between the postmodern historical novel and the collective memory in the context of Giuseppe Lupo’s novel L’ultima sposa di Palmira along the theories of Iser, Ricœur, and Nora. In the novel, the author recalls the 1980 earthquake in Irpinia, but his work does much more than commemorating: through the relationship between reality and magic, present and past, Lupo shows how a destroyed city and its deceased inhabitants can be rescued from oblivion through the power of narrative.Quando parliamo della memoria culturale di un popolo (concetto elaborato da Jan Assmann)1 dobbiamo sempre presumere un lavoro di selezione e manipolazione della storia da parte della politica, come sostiene Gribaudi: “[la memoria culturale] sceglie gli avvenimenti da ricordare, relega nell’oblio quelli che non confermano la raffigurazione politica scelta”.2 Questo metodo spesso ignora la sensibilità delle piccole comunità che nel caso di eventi traumatici può essere facilmente lacerata e può causare nuovi sconvolgimenti. Per combattere tali traumi e instaurare un rapporto sostenibile con l’evento tragico si devono cercare nuove soluzioni: in questo senso, la potenza dell’arte ci può offrire luoghi nuovi e sicuri per le memorie, per conservarle ed elaborarle. Nella mia analisi vorrei presentare il meccanismo di uno di questi luoghi in un romanzo neostorico contemporaneo, L’ultima sposa di Palmira di Giuseppe Lupo.
Il titolo di questo articolo fa riferimento a una delle teorie chiave sul tema, legata allo storico Pierre Nora, che nel suo lavoro Les Lieux de Mémoire3 richiama l’attenzione sulla metamorfosi della memoria. Con la creazione della storiografia come scienza predominante per descrivere il passato, la memoria individuale e quella collettiva, in cui è possibile riorganizzare e personalizzare gli eventi dei tempi passati, vengono sempre più emarginate dalla ricostruzione del passato. D’altra parte, questa storia fortemente lineare, a volte didattica offre nuove possibilità per il ricordo: la memoria accoglie i luoghi (lieux de mémoire) perché non può avere più un ambiente reale (milieux de mémoire). Questi luoghi della memoria (concetto definito proprio da Nora negli anni Ottanta) sono molto vari (possono essere delle piazze, degli edifici, dei documenti, dei monumenti, delle feste e delle commemorazioni, ecc.), ma hanno una caratteristica comune: sono punti dove si concentra la memoria. Sono delle testimonianze storiche, possono essere considerati come fonti. Il loro ruolo è duplice: da una parte impediscono di dimenticare determinate situazioni o avvenimenti; dall’altra, fanno allontanare l’individuo da sé creando in lui un senso di colpa costante: deve ricordare sempre qualcosa che non si può più assimilare.4
La letteratura è uno dei rari luoghi che ci può offrire qualcosa di più. Quando il romanzo neostorico mette al centro la narrazione personale, l’uso dell’oral history e la problematicità del racconto, crea uno spazio in cui può ritornare qualcosa di essenziale per le vie perdute del ricordo. Quando un romanzo sceglie il passato come tema principale si occupa del problema delle storie dimenticate dall’individuo e della variabilità della verità storica. Anzi, Hayden White, storico e filosofo statunitense, nella sua teoria dell’evento moderno (modernist event) afferma che alcuni eventi, soprattutto quelli traumatici non possono essere rappresentati con gli strumenti classici della narrazione, ma solamente attraverso i mezzi del racconto postmoderno.5
Sembra che il romanzo sia particolarmente adatto a questo ruolo di consegnare e interpretare eventi di tempi passati, cioè trasmettere memorie pure, traumatiche. Parlare dei traumi, nel nostro caso collettivi, è fondamentale per capire il passato e costruire un futuro migliore. Per la costruzione della (nostra) identità ha un ruolo rilevante l’atto di parlare, l’atto della narrazione, come afferma Paul Ricœur nel suo lavoro sull’identità narrativa.6 Questa tesi ricœuriana viene completata da Pintér Judit Nóra che constata il fatto che nell’elaborazione dei traumi ha una importanza peculiare l’esperienza estetica: il mondo dell’arte può offrire, o almeno indicare, un modo per misurarsi con il trauma.7
L’atto della narrazione è tra le questioni principali toccate dall’autore lucano e professore di letteratura contemporanea, Giuseppe Lupo. Nelle sue varie opere ritorna spesso questa necessità narrativa primaria del raccontare la propria storia, come succede nel romanzo autobiografico Breve storia del mio silenzio (2019) e anche in quello neostorico-picaresco Viaggiatori di nuvole (2013), ma uno dei suoi testi che si occupa in diversi modi del racconto e parla dell’urgenza e della possibilità di raccontare è il romanzo neostorico intitolato L’ultima sposa di Palmira (2011).
La storia dell’immaginaria Palmira, una città che viene quasi rasa al suolo durante una scossa di terremoto durata 90 minuti nell’1980 in Campania, è un eccellente esempio del ruolo che il romanzo neostorico può assumere come luogo dinamico della memoria, in cui si può realizzare la degna formazione di un trauma collettivo. Lupo non solo usa gli strumenti raffinati della narrazione postmoderna nell’affrontare una problematica sensibile, ma parla delle tesi sottintese come, per esempio, il rapporto tra realtà e finzione dal punto di vista del lettore, seguendo le idee di Iser sull’atto della creazione della finzione. Lupo ci racconta e ci mostra i problemi e le difficoltà che tanti anche oggi conoscono fin troppo bene, visto che disastri naturali come i terremoti sono una costante nella vita degli abitanti del Mediterraneo. Cosa ci dice il testo e come si manifesta l’evento trattato (il terremoto dell’80 in Irpinia)? Nella mia breve analisi vorrei richiamare l’attenzione sui punti più sostanziali dell’opera per dimostrare la mia tesi secondo la quale gli strumenti del romanzo neostorico sono adatti per rappresentare e forse elaborare traumi collettivi, in questo caso scaturiti come conseguenza di un cataclisma.
Se vogliamo dividere il genere del romanzo neostorico in due categorie, possiamo distinguere le opere del realismo magico8 da quelle che non usano il soprannaturale nel mondo del testo. L’ultima sposa di Palmira è uno dei romanzi fortemente legati alla tradizione di Márquez, e i motivi della città fondata dal misterioso Patriarca Maggiore con i suoi numerosi discendenti, i personaggi di Elvira, vedova che aspetta la morte per anni, dei suoi figli, o i vari personaggi arrivati in città dal Sud America richiamano alla mente in modo evidente Cent’anni di solitudine e la storia della famiglia Buendía.
Un’altra caratteristica del genere è la forte autoriflessione, che ci riporta al tema centrale di Lupo: il racconto. Ad esempio, il punto di partenza di una delle storie dell’Atlante immaginario (una raccolta di brevi articoli di Lupo) è l’urgenza di raccontare. Il breve scritto intitolato Dopo l’apocalisse si sveglia Omero è legato in modo stretto al romanzo qui in oggetto dal punto di vista tematico, perché in entrambi si tratta del terremoto dell’Irpinia. Lupo qui registra un fenomeno interessante e allo stesso tempo importante: dopo il disastro tra gli anziani sopravvissuti circolava “un’espressione curiosa e apparentemente fuori contesto: L’importante è che si racconti.”9 Salvato dalla morte, il racconto diventa necessità e dovere, testimonianza della propria salvezza e dovere da compiere. Perché raccontare implica vivere, sopravvivere e ricordare tutto ciò che è il nostro vissuto.
Sopravvivere e ricordare: questa dualità ritorna pure in L’ultima sposa di Palmira. La trama del romanzo ruota intorno all’atto del raccontare le storie di Palmira, incentrate sulla morte che si presenta sia nel tempo presente della trama, cioè durante i mesi dopo il sisma tra le rovine della città, sia nelle storie di un passato pieno di segreti e magia, dove i territori della vita e della morte a volte sono separati solamente da una porta. Perché Lupo ha scelto la morte come tematica principale delle storie intradiegetiche? In esse viene percepita la vicinanza della morte: alcuni ritornano dall’oltretomba, altri visitano ancora in vita i Campi della Finisterra, il territorio dell’aldilà nell’universo del romanzo. La presenza e penetrabilità dell’aldilà e l’interessamento verso le storie dei defunti evocano un’altra questione che pure è fortemente legata al genere: la negromanzia, attraverso cui l’autore-narratore evoca “le voci dei morti”. Tale evocazione di varie voci ci riporta alla problematica fondamentale dei romanzi neostorici in cui non esiste una storia vera e assoluta, ma tante verità, tante storie reali da cui è costituito il caleidoscopio del passato, così l’essenza di Palmira non si può cogliere altrimenti che nelle storie degli abitanti d’una volta.
Ci troviamo di fronte a una struttura testuale antica (la facciamo derivare da Le mille e una notte) in cui una storia incornicia tante altre; ci dobbiamo, quindi, interrogare sull’opportunità che esse vadano lette come una raccolta di novelle, o piuttosto come un’opera omogenea. Sebbene in questo caso siamo a conoscenza del processo produttivo dall’autore, il quale sottolinea il fatto che le storie sono state raccolte e modificate dopo la costruzione della cornice,10 la coesione del testo è così forte, grazie alla comunanza tematica e simbolica delle storie, che L’ultima sposa di Palmira non può essere considerato altro che un corpus integrale.
Mentre il narratore intradiegetico, Mastro Gerusalemme, il falegname che rifiuta di lasciare la sua bottega perché deve finire il mobilio di Rosa Consilio, racconta le sue storie all’antropologa, la Dottoressa Pettalunga, le registra anche in un’altra maniera: alcuni personaggi e simboli vengono intagliati nell’arredamento della sposa. L’anziano falegname, quindi, conserva la memoria della città in due forme: con la forza delle parole e con la sua arte. I mobili con i bassorilievi dei ricordi della catastrofe sono dedicati a Rosa Consilio, ereditaria della storia lunga e misteriosa di Palmira; le storie che contengono in altri modi l’essenza della città, invece, vengono raccontate all’antropologa forestiera, arrivata da Milano, ovverosia da una dimensione così lontana, quella della città, da apparire come un mondo del tutto diverso e perfettamente estraneo, come le ricorda il falegname: “«Dottoressa Pettalunga» mi ha risposto mastro Gerusalemme, «voi arrivate da lontano e certe cose vi sfuggono.»”11
Il rapporto della nostra protagonista con Palmira è importante anche perché determina il suo avvicinamento verso tutto ciò che percepisce dai racconti di Mastro Gerusalemme. La Dottoressa Pettalunga ha difficoltà a distinguere tra realtà e finzione, la validità delle parole del falegname è sempre problematica per lei, come si evince dal testo:
A volte mi chiedo se Palmira sia stata davvero abitata dai sogni di Flora Mos, dalle farfalle dei Morgante, dalle trappole di Martino Lindau all’ammiraglio Doria o se non sia stato proprio lui, Vito Gerusalemme, il miglior ebanista della Babillonia, a progettare strade e archi, a inventare la storia di Patriarca Maggiore, i nomi dei rioni e quel particolare desiderio di attendere profezie da un dio che si diverte a mischiare continuamente le carte.12
Da tempo cercava [M.G.] una persona disposta ad ascoltarlo e ha dovuto aspettare il terremoto per sfogare la sua fantasia.13
Nell’attitudine dell’antropologa verso le storie, dalle quali viene (ri)costruito il passato di Palmira, è riconoscibile l’idea di Iser sull’atto creativo della finzione. Secondo l’accademico tedesco l’opposizione tra finzione e realtà è una questione già superata; piuttosto, il testo letterario si trova nel triangolo composto da realtà, finzione e immaginario. Si tratta di un fenomeno difficilmente definibile: si realizza quando gli elementi del mondo fittizio si mescolano con gli elementi del mondo reale. Secondo la teoria di Iser, tali elementi nell’opera letteraria non vengono adottati direttamente dal mondo reale, ma, attraverso il passaggio nella dimensione testuale, diventano segni che indicano qualcosa che va al di là di essi. Il processo in cui questi elementi si trasformano è descrivibile in tre atti: la selezione, la combinazione e la rivelazione di sé stessi.14 In questo modello possiamo considerare Mastro Gerusalemme come l’autore, e la Dottoressa Pettalunga come il lettore/destinatario. Il falegname accompagna l’antropologa a vedere i luoghi distrutti della città, ed è nel momento in cui nella sua narrazione ricostruisce questi luoghi che avviene la procedura di selezione di alcuni elementi della realtà e la loro trasposizione nell’ambiente fittizio della storia. Durante questa fase la Dottoressa deve affrontare un importante dilemma: dove finisce la verità e dove iniziano le fantasie di Mastro Gerusalemme? Solo quando riuscirà ad accettare la verità delle storie, potrà assumere il ruolo originalmente dedicato a Rosa Consilio, di custode delle memorie di Palmira. In questo senso le memorie ritrovano il loro degno luogo nella persona dell’antropologa, e in quella, come si scopre alla fine del romanzo, della vera custode della sostanza di Palmira: la figlia della dottoressa.15
I cambiamenti nella figura del narratore sollevano alcuni dubbi legati alla validità dei racconti. Come ho menzionato sopra, il narratore extradiegetico (il narratore del primo piano del racconto) si scoprirà essere la figlia della dottoressa, che trae origine da un chicco di grano magico di Palmira (un particolare utile a giustificare il suo profondo attaccamento alla città). È lei che trascrive le memorie della mamma impresse sul mangianastri, quelle storie che la Dottoressa Pettalunga, dopo tanto tempo, ha deciso di registrare affidandosi unicamente alla memoria (siccome Mastro Gerusalemme non ha permesso di usare il mangianastri). Le storie, dunque, passano per tre narratori prima di arrivare al lettore: 1. Mastro Gerusalemme, 2. Dottoressa Pettalunga e alla fine 3. la figlia innominata della dottoressa. Tale processo rende insicuro il destinatario dell’opera e mette in dubbio la verosimiglianza (l’autenticità) ed il valore di verità delle storie, e allo stesso tempo sposta l’attenzione su un’altra materia importante per il romanzo storico: l’oralità.
L’oralità è uno dei luoghi in cui la memoria funziona ancora in modo naturale. Secondo Pierre Nora l’accentuazione dell’oralità nel romanzo storico di oggi può essere considerata come il lutto della letteratura per la perdita della memoria.
Come abbiamo potuto vedere, sono vari i mezzi per conservare le memorie, attraverso atti o strumenti: il mangianastri, il lavoro di intaglio, una persona, che può essere la Dottoressa o sua figlia. Nella problematicità dei narratori ritorna una caratteristica della memoria menzionata da Nora: la magia dei ricordi consiste nel cambiamento naturale che occorre durante la memorizzazione e la trasmissione delle memorie, in cui tutto diventa relativo, perché la memoria si adatta solo a quegli elementi che la fissano.16
La formazione di una memoria degna diventa una delle questioni fondamentali dopo un trauma collettivo. Gabriella Gribaudi nel suo studio scrive dettagliatamente di questo nesso problematico. La costruzione delle memorie è fortemente determinata dalla retorica nazionale: quando le esperienze e il vissuto delle persone non coincidono, anzi sono irrimediabilmente dissonanti, con le rappresentazioni retoriche, le memorie si spostano nel territorio del privato e continuano a trasmettersi nei circuiti familiari.17 Per questo un buon esempio è il Cretto, opera d’arte di Alberto Burri che è situato sulle rovine di Gibellina distrutta dal terremoto del Belice nel 1968. Il Cretto è nato con l’intenzione di erigere un monumento alla memoria, ma allo stesso tempo impedisce agli abitanti di una volta il riconoscimento della loro città.18
La possibilità di ritornare alle rovine delle città distrutte per i sopravvissuti è uno dei modi di combattere i traumi, anche perché come scrive Ligi: “Gli eventi sismici portano il disordine nei luoghi, percepiti anche come ‘strutture di sentimento’ microcosmi che si caricano dei significati dati da chi li vive e che contribuiscono a dare agli abitanti la loro identità; la perdita di senso di questi luoghi può portare alla psicopatologia.” 19 Anche nel romanzo di Lupo si presenta questo nodo: quando la figlia della Dottoressa si reca a Palmira alla ricerca dei luoghi delle storie del falegname, arriva a Palmira Nuova, una città costruita vicino alle rovine di quella vecchia, bella, nuova, moderna e presente sulle carte geografiche. I luoghi dei racconti non sono più rintracciabili, e le memorie dei posti magici e la coesistenza tra vivi e fantasmi sono dimenticate. Troviamo solo un posto in cui sopravvivono i resti della città d’una volta: i racconti registrati dalla ragazza, l’unico luogo sicuro per le memorie.
Nel romanzo è riconoscibile un’altra peculiarità del genere: quando il narratore primario, Mastro Gerusalemme si inserisce nella posizione di mediatore tra passato e presente, riveste un ruolo tipico del romanzo neostorico: il negromante che evoca le voci dei morti e cerca a portare in superficie le storie dimenticate.20 Anche Ferrari richiama l’attenzione su questo fenomeno: Lupo, elencando i nomi dei morti, crea un libro dei morti che nello stesso tempo trasforma in un’allegoria di vita salvando gli abitanti di Palmira dall’oblio.21
Nell’ambito della storia i luoghi principali diventano tanto relativi quanto i racconti del falegname o quanto le memorie nel pensiero di Iser. Arriviamo in città con la Dottoressa, e attraverso il suo punto di vista riceviamo le prime impressioni: troviamo solo rovine e cumuli, devastazione e morte. Da qui inizia la ricostruzione dei posti d’una volta attraverso le storie che vengono raccontate. Allo stesso tempo dobbiamo affrontare il fatto che la Palmira reale è ormai irriconoscibile, tutto ciò che sappiamo di essa sono frammenti del passato visti attraverso le memorie. Ma è mai esistita una Palmira reale? Il fatto che la città non esista sulle carte geografiche anche nell’universo del romanzo genera dubbi fin dal principio sia nella protagonista che nel lettore: “E se fosse per scaramanzia che Palmira è assente dalle carte geografiche?”,22 “E mi ha lanciato una domanda: «Siamo o non siamo fuori dalle carte geografiche?»”23 Entrare nelle carte è importante anche perché ciò significherebbe che il paese ha una sua validità nel tempo e nello spazio, fa parte della realtà del mondo, rappresenta un tipo d’incarnazione dallo strato dell’immaginato. È quasi un “desiderio” forte della città stessa, nelle parole della Dottoressa infatti: “[…] questo paese che ha solo un desiderio: vedere il proprio nome sulle mappe, entrare nella geografia del tempo e nella sua monotona ripetitività.”24
Ma per raggiungere questo grande scopo (“Finalmente siamo comparsi anche noi sulle carte geografiche…”25) si deve scegliere tra verità e immaginario, e nella Palmira Nuova non rimane spazio per il soprannaturale: “Nessuno ha più in mente i nomi degli antichi quartieri o la posizione della Finisterra, nessuno sa di appartenere al ceppo dei Maggiore o che fine ha fatto Rosa Consilio dopo la fuga.”26 La scomparsa delle tracce di Palmira ci riporta al problema costante dei sopravvissuti a un cataclisma: come si può combattere il trauma? Ritornando alle rovine oppure ricostruendo il paese? O, ancora, creando una vita e una città nuova?
L’importanza dei luoghi appare anche nel modo della narrazione: il principio organizzativo delle storie è l’atto del racconto, vale a dire che i racconti di Mastro Gerusalemme affiorano dal legame coi luoghi visitati. Cioè la continuità del racconto si lega all’azione del narrare e dell’intagliare, questo è il filo conduttore che collega le novelle altrimenti separate. In tale logica organizzativa del materiale testuale è riconoscibile il meccanismo del racconto orale: la ricostruzione del racconto si sviluppa attraverso la memorizzazione e l’associazione delle idee.
Il nome stesso della città ha una forte valenza simbolica; esso ci rimanda subito all’antica Palmyra siriana, luogo magico dell’Oriente, e l’autore non manca di giocare su questa dualità. Anche Anna Ferrari, in suo studio, sottolinea inoltre come, oltre al riferimento alla città siriana, tale suggestione onomastica rimandi anche a Le città invisibili di Calvino, in cui, com’è noto, tutte le città portano nomi di donna. Ferrari definisce poi Palmira un “non-luogo”, accostandola ai luoghi di Márquez, Rulfo e Faulkner, e una geografia “favolosa” simile all’Utopia di Tommaso Moro: “Una città al dunque, divenuta invisibile, che agonizza accanto a una geografia reale […] e che integra la personalissima mappa che l’autore ha disegnato, quella della sua favolosa geografia del Sud, già composta da Celenne e Agropinto, le città immaginarie dell’Appennino lucano, poco distanti da Palmira, nelle quali si svolgono le avventure dei due precedenti romanzi di Lupo.”27
Ferrari evidenzia anche il fatto che Lupo, usando il nome di Palmira, sfrutta “il toponimo inventato in funzione narrativa al fine di raggiungere l’effetto contrario a quell’effet de réel, pure collegato al concetto di ancoraggio referenziale, e ottenere, invece, mediante l’inserimento di nomi fittivi in un contesto reale (quello della Basilicata), un effetto di ir-reale.”28 Secondo Ferrari, Palmira nella sua non univocità assumerà un valore proprio creando una doppiezza che rende continuamente insicura la Dottoressa, che si chiede se si trovi davvero in Basilicata o piuttosto nella città magica d’Oriente: “Ch’io sia finita davvero in quella Palmira di cammelli e beduini dove regnavano Melchiorre re magio e la regina Zenobia?”29
Palmira, oltre alla somiglianza con le città fittizie della letteratura mondiale e oltre alla funzione di non-luogo e luogo interiore proprio dell’autore, ha un’altra caratteristica importante. La possiamo considerare anche come un inter-luogo, confine tra la vita e la morte, due universi distinti ma permeabili. In questo motivo sono riconoscibili le tradizioni del Sud, in cui la religiosità si mescola con la scaramanzia e la convivenza di vivi e morti appare del tutto naturale. Le porte in cui si realizza il trapasso all’aldilà (al Campo della Finisterra) hanno un rilievo particolare e ritornano in varie storie, come ad esempio la Porta di Pasqua. Lupo gioca liberamente con i modi in cui i morti e i vivi attraversano questo sottile limite: in treno, in nave, sul carro o a piedi. Questa semplicità gentile della rappresentazione in cui è riconoscibile l’approccio popolare all’oltretomba influisce indirettamente sull’atteggiamento del lettore verso gli avvenimenti nel presente del romanzo: la possibilità di un mondo tra i due mondi, dove poter incontrare i propri cari defunti, assume i contorni di una velata promessa di conforto che può aiutare a sopportare il dolore della tragedia e a superare il trauma personale e collettivo.
La particolarità di L’ultima sposa di Palmira sta nel fatto che non usa il terremoto solo come cornice o come una scenografia sullo sfondo delle storie che rappresentano la magia e il folklore del Sud – benché questa lettura sia di per sé già sufficiente –, ma il romanzo ci parla anche dei problemi legati al sisma e ai lavori di ricostruzione, della loro complessità pratica e teorica, mentre riflette sui rapporti complessi tra luogo e memoria, ricordo e oblio, realtà e finzione. Come segnala anche Ferrari: attraverso i racconti di Mastro Gerusalemme Palmira diviene “una città meravigliosamente (ir)reale, epifania di uno spazio interiore che prende coscienza di sé”.30 Attraverso la costruzione di questa Palmira magica che si situa al limite tra reale e fantastico, mondiale e magico forse possiamo fare un passo in avanti per capire il funzionamento della memoria collettiva e le questioni legate alla sua conservazione e ad una sua adeguata rappresentazione. Mentre Lupo ci permette di girare tra i luoghi esistenti e immaginari di Palmira, non possiamo fare a meno di porci costantemente una domanda: come si può sopravvivere un trauma così? Raccontandolo.
Vid.: Jan Assmann: A kulturális emlékezet, Zoltán Hidas (tran.), Budapest: Atlantisz Kiadó, 2004.↩︎
Gabriella Gribaudi: ‘Guerra, catastrofi e memorie del territorio’, in: Mariuccia Salvati & Loredana Sciolla (eds.): L’Italia e le sue regioni, Roma: Ed. TRECCANI, 2015, http://www.treccani.it/enciclopedia/catastrofi-e-memorie-del-territorio-guerra_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/ [2021.05.20.]↩︎
Vid.: Pierre Nora: Les Lieux de Mémoire, Paris: Gallimard, 3 vol.: 1984−1992.↩︎
Pierre Nora: ‘Emlékezet és történelem között: A helyek problematikája’, Zsolt K. Horváth (tran.), Aetas 3, 1999: 142–157, p. 142.↩︎
Hayden White: ‘A történelem terhe’, Gábor Berényi, Róbert Braun, Tamás Heil & Éva John (trans.) in: András Kardos, Ottó Hévizi & Mihály Vajda (eds.): Horror metapsycae, Budapest: Osiris–Gondolat Kiadó, 1997: 237–250.↩︎
Paul Ricœur: Válogatott irodalomelméleti tanulmányok, István Bogárdi Szabó, Éva Jeney, Ildikó Lőrinszky, Zoltán Miss, András Vajda (trans.), Eszter Babarczy, Mátyás Domokos, Mihály Szegedy-Maszák (eds.), Budapest: Osiris Kiadó, 1999: 373−412.↩︎
Judit Nóra Pintér: A nem múló jelen: Trauma és nosztalgia, Budapest: L’Harmattan, 2014: 52−53.↩︎
Cfr.: Lois Parkinson Zamora & Wendy B. Faris: Magical realism. Theory, history, community, Durham, N.C: Duke University Press, 1995.↩︎
Giuseppe Lupo: Atlante immaginario: Nomi e luoghi di una geografia fantasma, Venezia: Marsilio, 2014: 18.↩︎
Paolo Chirumbolo: ‘L’utopia della storia: Conversazione critica con Giuseppe Lupo’, Incontri 31, 2016: 91–101.↩︎
Giuseppe Lupo: L’ultima sposa di Palmira, Venezia: Marsilio, 2011, EBOOK, p. 70. (Siccome ho usato la versione ebook del romanzo, in questo caso “p” significherà “posizione” nella nota.)↩︎
Ibid.: 721.↩︎
Ibid.: 735.↩︎
Wolfgang Iser: ‘Fikcióképző aktusok’, in: A fiktív és az imaginárius, Gábor Tamás Molnár (tran.), Budapest: Osiris, 2001: 21–43.↩︎
Idem.↩︎
Pierre Nora: ‘Emlékezet és történelem között…’, op.cit.: 143.↩︎
Gabriella Gribaudi: ‘Guerra, catastrofi…’, op.cit.↩︎
Idem.↩︎
Marzia Marsili: ‘Il terremoto come catastrofe naturale: trauma e conseguenze psichiche’, Rivista di Psicologia dell’Emergenza e dell’Assistenza Umanitaria 15, 2015: 14−50, p.16.↩︎
Giuliana Benvenuti: Il romanzo neostorico italiano: Storia, memoria, narrazione, Roma: Carocci Editore, 2012: 7.↩︎
Anna Ferrari: ‘«Se state cercando meraviglie questo è il luogo adatto …» Per una mitologia del reale: Strategie onomastico-narrative in un romanzo di Giuseppe Lupo’, il Nome del testo 14, 2012: 201−211, p. 209.↩︎
Giuseppe Lupo: L’ultima sposa di Palmira…, op.cit. 882.↩︎
Ibid.: 1411.↩︎
Ibid.: 1409.↩︎
Ibid.: 1843.↩︎
Ibid.: 1848.↩︎
Anna Ferrari: ‘«Se state cercando meraviglie questo è il luogo adatto …»…’, op.cit.: 202−203.↩︎
Ibid.: 204–205.↩︎
Giuseppe Lupo: L’ultima sposa di Palmira… op.cit.: 1440.↩︎
Anna Ferrari: ‘«Se state cercando meraviglie questo è il luogo adatto …»…’, op.cit.: 210.↩︎