Verbum – Analecta Neolatina XXII, 2021/2

ISSN 1588-4309; ©2021 PPKE BTK



A un secolo dalla fondazione del Partito Nazionale Fascista (9 novembre 1921, Roma), questo saggio intende richiamare l’attenzione degli storici sia della letteratura patriottica dei primi decenni del Novecento sia delle religioni secolari, su alcuni dettagli cronologici che si rivelano di notevole interesse per lo studio della trasformazione del fascismo italiano dalla dimensione locale e di movimento popolare a quella nazionale e governativa. Lo studio dei riti politici, in particolare funebri, con la loro narrativa e retorica di genere, costituisce un ambito di ricerca pertinente su cui è opportuno indagare per riconoscere e datare momenti e fasi di passaggio.

Da un’analisi sistematica compiuta sui necrologi delle Camicie nere redatti nei primi tempi della fondazione dei Fasci, si evince che la cerimonia funebre militare e nazionale dell’Appello del caduto entra nelle pratiche solenni del fascismo italiano non all’esordio, come si crede comunemente, talmente il fascismo stesso ne ha fatto un segno d’identificazione,1 ma in una fase successiva. Inizialmente è la formula dannunziana luttuosa dell’Alalà a essere adoperata, non l’altra, dell’Appello, già diffusa in Italia come anche in altre nazioni dell’Europa o nell’America settentrionale, proveniente da una tradizione militare di matrice napoleonica e sviluppatasi nel corso della Prima Guerra Mondiale.2 Questo studio intende documentare il passaggio dall’Alalà all’Appello, fornendo per la prima volta un’indicazione specifica su quando e come questo rinnovamento si è verificato.

La storia della formula esortativa dell’Alalà con funzione di grido di guerra, prima ancora che di lamento funebre, è nota, per quanto dibattuta. D’Annunzio stesso fa risalire il suo “primo alalà” all’agosto 1917, in occasione del bombardamento di Pola.3 Sulle prime, preceduta dall’interiezione “heu heu heu” (il latino ahi),4 la formula dannunziana mette in circolazione nella poesia di guerra la locuzione greca aggiustata, attestata in Eschilo o in Pindaro (“Alalà […] preludio di lance”)5 e mediata dalla tradizione letteraria ottocentesca, segnatamente da Giosué Carducci (“Hallalì […] ad una caccia eterna io con te surgo, poi nel sangue de i popoli mi purgo”)6 o da Giovanni Pascoli (“ti getto allora un alalà di guerra / quale gettavo nella mischia orrenda”).7 Nell’ottobre 1917, l’“Eja! Eja! Eja! Alalà!” è diffuso nell’aviazione italiana, attribuito a D’Annunzio.8 Per l’attacco-beffa a Buccari, quest’ultimo ne fa il ritornello (EIA, […] Alalà!) del poema bellico La canzone del Quarnaro recante la data dell’11 febbraio 1918; nello stesso contesto, lo include in una litania francescana guerriera che ricalca le Laudes Creaturarum: “Per Frate Vento che non ci avverserà, eia eia eia! Alalà!”.9

Nel 1920, all’epilogo dell’impresa di Fiume, nel cosiddetto ‘Natale di sangue’, dopo l’ordine dato alle truppe regolari italiane di prendere il controllo della città, Gabriele D’Annunzio redige un discorso intitolato l’Alalà funebre. Il testo definisce un modello di cordoglio: “gettiamo stanotte un alalà funebre su la città assassinata”.10 Ne riportiamo qui a seguire la trascrizione del brano pertinente:

[…]
Noi abbiamo sigillato la nostra fede col miglior sangue.
E questo soltanto vale.
E soltanto questo è memorabile.
O compagni, abbiamo offerto ogni più alto sacrifizio alla città che amiamo e serviamo.
Questo è il supremo sacrifizio che le offre il nostro coraggio.
Fra poco quest’anno di dolore e di orrore precipita. Fra poco il nuovo anno incomincia.
È già nostro. Già ci appartiene. Sarà il nostro anno mirabile.
Gettiamo stanotte un alalà funebre su la città assassinata.
E poi restiamo in silenzio, e teniamo gli occhi fissi nel buio.
[…]
Una testa di morto coronata di lauro serra fra i denti scoperti il pugnale nudo e guarda fisso dalle profonde occhiaie verso l’ignoto.
Stanotte i morti e i vivi hanno il medesimo aspetto e fanno il medesimo gesto.
A chi l’ignoto?
A noi!
 
31 dicembre 192011

In precedenza, la formula dannunziana dell’‘Alalà’ era stata usata dai Legionari per l’estremo saluto, combinando la nuova formula rituale a quella dell’appello del nome dei morti sul Carnaro (“O morti della Causa Fiumana […] Alalà!”).12

Dopo il ‘Natale di sangue’, già nei primi mesi del 1921, i moduli fascisti di lamento luttuoso iniziano a ricalcare la medesima formulazione dell’“assassinio”. Le descrizioni dei funerali degli squadristi ‘caduti per la Rivoluzione’, divulgate sulle pagine de Il Popolo d’Italia, assumono i modi del grido dell’“Alalà funebre”.13 Nell’“austera pietà attorno alle vittime” e “per le vittime”, il lamento è eseguito usando una struttura a responsorio corale “eja eja, eja/ (”un urlo possente sale da mille e mille petti“) Alalà”.14 È l’“alalà di rito” per i fascisti “assassinati”; il “triplice alalà” gridato nell’estremo saluto rivolto alla salma, prima di essere benedetta dal rito cattolico e deposta in attesa della tumulazione.15 Nelle camere del Fascio locale allestite a camere ardenti, il saluto all’“assassinato” è dato mentre “tutti i fascisti lanciavano l’alalà funebre”, prima delle esequie religiose.16

Nel corso dei funerali per l’eccidio dei “martiri fascisti” del settembre 1921, nel clima dell’imminente traslazione del Soldato Ignoto sull’Altare della Patria a Roma, al Vittoriano, Mussolini, auto-dichiarando il fascismo “uno dei movimenti […] più religiosi che conosca la storia italiana ed europea”, usa la formula “i nostri alalà” (levati “in questo dolce cielo di settembre”); “il nostro alalà funebre […] a tutti i nostri martiri”.17 A ottobre è ancora il grido dannunziano a scandire il momento in cui la salma del fascista è “calata nella fossa”.18 Sarà dopo la celebrazione nazionale del Milite Ignoto (4 novembre 1921), che i Fasci di combattimento inizieranno a modificare la pratica dell’Alalà per commemorare la morte violenta dei propri membri.

Durante tutto l’anno 1921, i funerali fascisti, in precedenza privi di caratteristiche formule e comportamenti ritualmente fissati, sono regolati dal cerimoniale fiumano del Natale di sangue. Il cordoglio politico assume lo stereotipo dello spargimento di sangue fraterno, della guerra civile rigeneratrice. Soltanto il 20 dicembre 1921, il rito dell’Appello entra nella ritualità fascista e la rinnova. Questa datazione è ricavata da uno spoglio sistematico de Il Popolo d’Italia delle prime annate successive la nascita dei Fasci italiani di combattimento, indirizzato allo studio dei necrologi e degli articoli dedicati ai riti funebri nel movimento fascista al suo esordio. Lo spoglio ha consentito di accertare cambiamenti all’interno delle cerimonie e, nello specifico, il momento esatto in cui l’Appello del caduto è introdotto, nel dicembre 1921. Prima di questa circostanza, dal marzo 1919, nella fase squadrista iniziale, questo rito non trova ancora posto nelle descrizioni dei funerali pubblicate dal quotidiano fondato e diretto da Mussolini. Un documento di eccezionale interesse permette di risalire al momento e al contesto esatto nei quali l’Appello è adottato. Esso viene menzionato per la prima volta e ufficialmente in relazione alla “glorificazione” dei “martiri” squadristi “vittime” degli scontri avvenuti a Roma nel corso del raduno dei Fasci per la nascita del partito nazionale istituito a novembre. A ridosso degli scontri verificatisi a Roma, la procedura funeraria politica seguita nel corso delle prime onoranze è ancora basata sulla formula dell’alalà.19 A dicembre, a Milano, si compiono i due riti in successione: il “funebre alalà guerriero” pronunciato in prossimità delle tombe, quindi il “rito nuovo” eseguito nell’adunata del corteo in presenza di Mussolini e del Segretario del PNF Michele Bianchi. Si pronuncia l’Appello del caduto succeduto dalla risposta corale “Presente!”.20

Si riporta qui a seguire un ampio stralcio del resoconto ufficiale:

Alle tombe dei martiri […] ad un comando secco, i fascisti s’inginocchiarono. Per un minuto la moltitudine di giovani rimase piegata verso la terra, a capo curvo. Dritti sulle schiere dei corpi piegati in religiosa postura, i gagliardetti s’ergevano nel sole. E tremavano alla brezza rigida. Poi i fascisti si rialzarono. Ancora sull’attenti. A un tratto, nel silenzio ampio, suggestivo, mistico del cimitero immenso, gridato da mille e mille petti gagliardi di giovani, risuonò alto, superbo, imponente il funebre alalà guerriero che l’eco ripercosse lontano, più fioco ma ben distinto […].

Il rito nuovo. Poi le squadre, a passo di marcia, coi gagliardetti spiegati, sfilarono ai lati del campo che raccoglie i corpi dei morti in seguito a ferite riportate in guerra […]. I fascisti sfilarono dinanzi al monumento lanciando a volta a volta il loro “a noi!” solenne e formidabile […]. Poi il corteo attraversò il cimitero salutando le tombe ove riposano le vittime del Diana. Uscì sul piazzale. Si arrestò, assumendo poi la formazione di un quadrato militare. Un quadrato immenso; ai lati, formati dalle squadre, spiccavano i gagliardetti, le divise nere, le decorazioni.

Al centro si posero Mussolini e Bianchi, segretario generale del Partito Fascista, il gonfalone della Direzione del Partito e il gagliardetto del Fascio milanese. Uno squillo. Un silenzio subitaneo e altissimo. Una voce risuonò, ferma e solenne: “Camerata Aldo Sette!”.

Dalle schiere dei fascisti come un tuono s’elevò il grido “Presente!”.

E i fascisti alzarono la destra, nel saluto romano.

“Camerata Franco Baldini!”

“Presente!” rispose ancora il grido degli adunati.

“Presente!”. Tutti presenti, nella memoria dei vivi, i sacrifici dei morti. I superstiti hanno raccolto l’eredità di coloro che s’eternano morendo. La vita di essi non è spezzata. Continua nella vita e nella fede dei camerati rimasti, pronti ancora a combattere, senza disertare alcuna battaglia mai, per la grandezza della Patria.

Per la grandezza d’Italia e per la sua pace eterna, gloriosa, fattiva.21

All’adozione del “rito nuovo” il 20 dicembre 1921, corrisponde l’istituzione del PNF il 9 novembre precedente. L’uso funebre dell’Appello entra allora nei riti dei Fasci locali celebrati in presenza di autorità del partito.22 Ancora nel marzo 1922, il rito è compiuto nelle due forme,23 ma presto le tecniche di lamento luttuoso si conformano alla sola formula dell’Appello. Infatti i resoconti diaristici dei funerali politici negli squadrismi locali, per esempio nel movimento veneto, indicano nel novembre 1921 l’uso del “funebre alalà”, mentre nel maggio 1922 è praticato l’Appello dei caduti.24

Si eseguono raduni delle Camicie nere per la celebrazione in massa dell’“Appello dei martiri”.25 Nel maggio del 1922, in una delle descrizioni riportate sulle pagine de Il Popolo d’Italia, l’Appello è definito “rito fascista”.26 Nel periodo in cui l’Alalà, nella sua funzione funebre, cade in disuso nel fascismo nazionale, mentre continua a essere pronunciato in funzione esortativa, D’Annunzio critica l’appropriazione della sua formula da parte degli squadristi: “[…] i giovani [fascisti], che oggi” – dichiara nel giugno 1922 – “lo gridano anche sopra la violenza inutile e sopra il castigo ingiusto, sanno essi da quale prova fu riconsacrato la prima volta?”.27 Dieci anni dopo, il passaggio è ormai compiuto: nel lemma Martiri fascisti dell’Enciclopedia Italiana (1934), è l’“Appello dei caduti” a essere dichiarato il “rito nato dal martirologio fascista”.28

In conclusione, la sostituzione della formula dannunziana dell’Alalà funebre, dalla fine dell’anno 1921, è da interpretare nel senso di un’emancipazione tanto da una letteratura patriottica legata alla guerra civile, al Natale di Sangue, quanto da un’esperienza squadrista che ci si avviava a rinnovare – nel dicembre 1922 con l’istituzione di una Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale – nella prospettiva ormai statale e di partito di governo del fascismo italiano. Almeno una considerazione generale può essere abbozzata. Essa riguarda il fatto che la nazionalizzazione del fascismo, avviata sotto il profilo di un partito politico, si è presentata con le caratteristiche di una fascistizzazione del patrimonio nazionale, a un grado tale che invece che nazionalizzare elementi peculiari ai Fasci, quali la poesia di guerra dannunziana e fiumana, la quale costituisce uno dei modelli iniziali, il PNF li ha persi (nello specifico, questi elementi cadono in disuso nei funerali politici) o li ha marginalizzati riducendoli a formula di stile (l’Alalà esortativo), per acquisire e appropriarsi di componenti del patrimonio militare e civile patriottico (l’Appello del caduto) le quali, fino a quel momento, non appartenevano alla sua letteratura politico-funeraria. Questo studio consente peraltro di illustrare un coordinamento di tradizioni e retoriche parallele nella storia italiana confluite nel fascismo e il processo sincretistico che complessivamente caratterizza questo movimento ancora fino ai primi mesi del 1922 quando i due riti funebri coesistevano.

Fig. 1: fotografia tratta da “Il Popolo d’Italia”, 20 dicembre 1921: 3 (didascalia: In ginocchio alla tomba di Aldo Sette) (Fot. G. Arrigoni)

Fig. 1: fotografia tratta da “Il Popolo d’Italia”, 20 dicembre 1921: 3 (didascalia: In ginocchio alla tomba di Aldo Sette) (Fot. G. Arrigoni)

Fig. 2: fotografia tratta da “Il Popolo d’Italia”, 20 dicembre 1921: 3 (didascalia: “La squadra ‘Oberdan’”) (Fot. G. Arrigoni)

Fig. 2: fotografia tratta da “Il Popolo d’Italia”, 20 dicembre 1921: 3 (didascalia: “La squadra ‘Oberdan’”) (Fot. G. Arrigoni)

Bibliografie

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Danese O. (1922): Un’altra giornata di sangue a La Spezia. Il Popolo d’Italia, 21 febbraio: 3.

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Pinna Berchet F. (1920): I nostri morti. La testa di Ferro. Libera voce dei Legionari di Fiume 2 (8 febbraio): 1.

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Vicentini R. (1935): Il movimento fascista veneto attraverso il diario di uno squadrista. Venezia: Soc. Ass. Stamperia Zanetti.

Senza autore (indicati in ordine cronologico)

1917. [Didascalia in copertina]. La Domenica del Corriere 19, 42 (21‒28 Ottobre).

1921. Dopo l’assassinio del fascista Setti. I funerali. Il Popolo d’Italia, 22 marzo: 2.

1921. Milano raccolta in atto di austera pietà attorno alle vittime. I funerali. Il Popolo d’Italia, 29 marzo: 3.

1921. Solenni onoranze al fascista assassinato a Ponte Moriano. Il Popolo d’Italia, 29 marzo: 3.

1921. I funerali di Italo Tedeschi. Il Popolo d’Italia, 10 agosto: 2.

1921. I solenni funerali dell’on. Coda a Genova. Il Popolo d’Italia, 4 settembre: 1.

1921. I funerali del fascista Somensi a Pescia e a Genova. Il Popolo d’Italia, 15 settembre: 2.

1921. Luigi Freddi. Ventimila fascisti s’inginocchiano e cinquecento gagliardetti s’inchinano davanti alle bare dei Martiri fascisti di Modena. Il Popolo d’Italia, 30 settembre: 1.

1921. Inaugurazione di un monumento a un fascista assassinato. Il Popolo d’Italia, 26 ottobre: 2.

1921. Milano tributa solenni onoranze funebri al fascista caduto alle porte di Roma. Il solenne e austero rito funebre. Il Popolo d’Italia, 15 novembre: 2.

1921. L’austero rito dei fascisti milanesi sulle tombe degli assassinati. Il Popolo d’Italia, 20 dicembre: 3.

1922. Un rito di pietà e di amore. I fascisti triestini commemorano i loro morti. Il Popolo d’Italia, 28 febbraio: 4.

1922. Imponente manifestazione fascista a Pisa. Oltre 4000 fascisti ricordano Tito Menichetti. Il Popolo d’Italia, 29 marzo.

1922. I grandiosi funerali del fascista assassinato a Quiliano. Il Popolo d’Italia, 5 maggio: 6.

1922. La più grande manifestazione del Fascismo. Trentamila Camicie nere sfilano a Cremona davanti a Mussolini. Il Popolo d’Italia, 26 settembre: 1.

1922. La grandiosa adunata fascista di Ancona. Diecimila Camicie nere celebrano il 62° anniversario della liberazione. Il Popolo d’Italia, 30 settembre: 1.


  1. ‘Appello Fascista’, in PNF (ed.): Dizionario di Politica, vol. I, Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1940: 146‒147: “Fra i riti più notevoli instaurati dalla Rivoluzione fascista è l’appello fatto in determinate occasioni (cerimonie funebri, anniversari e simili) di camerati scomparsi. La risposta “presente” è data ad una voce da tutti gli astanti. Questo rito ha come significato simbolico quello di attestare la continuità spirituale oltre la loro vita fisica di coloro che hanno contribuito con la loro opera alla ricostruzione della vita italiana promossa dal Fascismo. La “presenza” di coloro che si sono sacrificati nella lotta, o che vi hanno dato contributo di azione, permane nella realtà conquistata dalla Rivoluzione. Gli scomparsi non sono assenti poiché vivono nel documento delle loro forze migliori. La risposta “presente” gridata ad una voce dai camerati afferma, oltre che il riconoscimento di tale apporto duraturo alla realtà storica della nazione, la vitalità in tutti gli spiriti dei motivi ideali che hanno mosso all’azione e al sacrificio il camerata scomparso. Il rito dell’appello si inserisce in quel riconoscimento delle forze spirituali oltre la vita fisica che nelle religioni si manifesta col culto dei santi e presso i popoli, nelle diverse fasi della civiltà in forme diverse, col culto degli eroi".↩︎

  2. Valerio Severino: ‘Reconfiguring Nationalism: The Roll Call of the Fallen Soldiers (1800–2001)’, Journal of Religion in Europe 10, 2017: 16‒43.↩︎

  3. Renato Simoni [in realtà un’autointervista di D’Annunzio con interlocutore fittizio]: ‘A colloquio con D’Annunzio’, Corriere della Sera, 15 giugno 1922: 3, testo poi confluito nel Il libro ascetico della giovane Italia, Milano: L’olivetana, 1926: “Avevo già rinvenuto nel mio cuore latino l’antico grido guerresco della gente di Enea, l’alalà che fende l’aria senza lacerarla […]. Chi si trovò una volta sopra Pola di notte, sa qual fosse l’inferno delle batterie e dei proiettori. Il comando fu eseguito, con una divina fierezza. L’alalà fu inaugurato al vertice della più bella virtù giovanile”. Elementi di quella formula si trovano già in opere dei primi del Novecento quali La Nave. Tragedia di Gabriele D’Annunzio, Milano: Fratelli Treves Editori, 1908: 208: “Eia! Mira alla faccia! Mira al collo! Scàgliati! Eia! Sei prode. Prendi campo, prendi campo. Tu vinci”. Il recente ritrovamento di un inedito, risalente a un periodo tra il 1893 e il 1897, consentirebbe di retrodatare l’uso di questa espressione adoperata da D’Annunzio in senso giocoso: “In alto i cuori! Eja, alalà, Passa o Signori! La Nobilità” (il brano citato è trascritto e commentato da Giordano Bruno Guerri: ‘Il poema satirico da cui partì il grido “Eja alalà”’, Il Giornale, 9 Maggio 2010).↩︎

  4. Vincenzo Lioy: ‘L’origine vera di “eja alalà”’, La Patria, 3 marzo 1923: “[D’Annunzio] non pensava al grido nella forma poi nota”; e F. Pesante: ‘L’atto di nascita di eja eja eja alalà’, Il Popolo del Friuli, 21 dicembre 1937: “il Comandante lo cambiò con eja eja eja alalà, grido dei soldati latini […]. D’Annunzio volle che ognuno imparasse a gridarlo”.↩︎

  5. Pindaro: Dithyramborum fragmenta, S. Lavecchia (ed.), Roma: Edizioni dell’Ateneo, 2000: 92 (fr. 78). Da tenere presente l’obiezione sollevata, per esempio da Lorenzo Braccesi, secondo la quale in quest’appropriazione vi siano state forme di “aggressione” del mondo classico: L’antichità aggredita: memoria del passato e poesia del nazionalismo, Roma: L’Erma di Bretschneider, 2006: 3‒16. Quanto all’appropriazione di componenti cristiane, si è invece parlato di “arruolamento” (tra i molti studi inerenti, segnalo l’accurato saggio di Alberto Guasco: ‘L’uso bellico della Bibbia in Gabriele D’Annunzio’, Schweitzerische Zeitschrift fuer Religions und Kulturgeschichte 108 [2014]: 339‒354, pp. 348‒350: § San Francesco d’Italia (e di Fiume)).↩︎

  6. Giosué Carducci: ‘Ninna Nanna di Carlo V’, in Id., Rime nuove, Bologna: Zanichelli, 1889: 204 (Piano d’Arta, Agosto 1885).↩︎

  7. Giovanni Pascoli: ‘L’Amore’, in Id., Poemi conviviali, Bologna: Zanichelli, 1905 [composti tra il 1895 e il 1905]: 80.↩︎

  8. [Didascalia, in copertina]: La Domenica del Corriere 19, 42 (21‒28 Ottobre 1917).↩︎

  9. La Canzone confluisce poi in D’Annunzio: Canti della guerra latina, Milano: Istituto nazionale per l’edizione di tutte le opere di Gabriele D’Annunzio, 1933. Faccio riferimento anche a G. D’Annunzio: Diari di guerra 1914‒1918, Milano: Mondadori, 2002: 536: “Per Frate Vento che non ci avverserà, eia eia eia! Alalà! Per Frate Focu che non ci arderà, eia eia eia! Alalà! Per Suor Acqua che non ci affogherà, eia eia eia! Alalà!”.↩︎

  10. In varie edizioni, tra cui I. Torsiello (ed.): Gli ultimi giorni di Fiume dannunziana: cronache e documenti fiumiani, Bologna: G. Oberosler 1921: 133‒136.↩︎

  11. Ibid.: 135‒136.↩︎

  12. Federico Pinna Berchet: ‘I nostri morti’, La testa di Ferro. Libera voce dei Legionari di Fiume 2 (8 febbraio 1920): 1: “Ed il mondo lurco e ladro ascolta e non risponde: […] O morti della Causa Fiumana. Tenente Aldo Bini! Tenente Silio Scaffidi! Brigadiere Giovanni Zeppegno! Sergente Enzo Ferri! Soldato Luigi Siviero! O avanguardia gloriosa – o manipoli di cuori che non sanno la menzogna – Alalà!”.↩︎

  13. ‘Dopo l’assassinio del fascista Setti. I funerali’, Il Popolo d’Italia, 22 marzo 1921: 2.↩︎

  14. ‘Milano raccolta in atto di austera pietà attorno alle vittime. I funerali’, Il Popolo d’Italia, 29 marzo 1921: 3 (attentato al Diana).↩︎

  15. ‘Solenni onoranze al fascista assassinato a Ponte Moriano’, Il Popolo d’Italia, 29 marzo 1921: 3; ‘I funerali del fascista Somensi a Pescia e a Genova’, Il Popolo d’Italia, 15 settembre 1921: 2; ‘I solenni funerali dell’on. Coda a Genova’, Il Popolo d’Italia, 4 settembre 1921: 1.↩︎

  16. ‘I funerali di Italo Tedeschi’, Il Popolo d’Italia, 10 agosto 1921: 2.↩︎

  17. ‘Luigi Freddi. Ventimila fascisti s’inginocchiano e cinquecento gagliardetti s’inchinano davanti alle bare dei Martiri fascisti di Modena’, Il Popolo d’Italia, 30 settembre 1921: 1; ‘La grande manifestazione nazionale di domenica consacra l’unità infrangibile, ridocumenta la forza intatta del Fascismo’, Il Popolo d’Italia, 4 ottobre 1921: 3.↩︎

  18. ‘Funerali del fascista Bellani’, Il Popolo d’Italia, 23 ottobre 1921: 2; ‘Inaugurazione di un monumento a un fascista assassinato’, Il Popolo d’Italia, 26 ottobre 1921: 2: “Dopo un formidabile alalà all’estinto, la cerimonia ebbe termine”.↩︎

  19. ‘Milano tributa solenni onoranze funebri al fascista caduto alle porte di Roma. Il solenne e austero rito funebre’, Il Popolo d’Italia, 15 novembre 1921: 2.↩︎

  20. ‘L’austero rito dei fascisti milanesi sulle tombe degli assassinati’, Il Popolo d’Italia, 20 dicembre 1921: 3.↩︎

  21. Idem.↩︎

  22. Orlando Danese: ‘La commovente commemorazione a Carrara degli assassinati di Bergiola. I morti del Fascismo di Lunigiana rispondono all’Appello’, Il Popolo d’Italia, 14 febbraio 1922: 3; Id.: ‘Un’altra giornata di sangue a La Spezia’, Il Popolo d’Italia, 21 febbraio 1922: 3. ‘Un rito di pietà e di amore. I fascisti triestini commemorano i loro morti’, Il Popolo d’Italia, 28 febbraio 1922: 4: “l’appello dei morti”.↩︎

  23. ‘Imponente manifestazione fascista a Pisa. Oltre 4000 fascisti ricordano Tito Menichetti’, Il Popolo d’Italia, 29 marzo 1922: 3.↩︎

  24. Raffaele Vicentini, Il movimento fascista veneto attraverso il diario di uno squadrista, Venezia: Soc. Ass. Stamperia Zanetti, 1935: 168, 221.↩︎

  25. ‘La più grande manifestazione del Fascismo. Trentamila Camicie nere sfilano a Cremona davanti a Mussolini’, Il Popolo d’Italia, 26 settembre 1922: 1; ‘La grandiosa adunata fascista di Ancona. Diecimila Camicie nere celebrano il 62° anniversario della liberazione’, Il Popolo d’Italia, 30 settembre 1922: 1.↩︎

  26. ‘I grandiosi funerali del fascista assassinato a Quiliano’, Il Popolo d’Italia, 5 maggio 1922: 6.↩︎

  27. Renato Simoni [intervista (ed.)]: A colloquio … [15 giugno 1922], art. cit.: 3, poi ne Il libro ascetico [1926] … op.cit.↩︎

  28. Arturo Marpicati [vice-segretario del PNF]: ‘Martire. Martiri fascisti’, in Treccani / G. Gentile (ed.), Enciclopedia Italiana, 22 (1934): 460.↩︎