Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2

ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK



Il titolo di questo contributo è ripreso da un film di Alfred Hitchcock.1 Ciò in quanto si ritiene che una causa giudiziaria temeraria, legalmente e storicamente priva di fondamento, sia stata il paravento dietro il quale si nascondevano ben altri piani e interessi.

Le ricerche di Albert Nyáry

Come è noto, nel 1859, in seguito alla sconfitta dell’Austria, cessò di esistere il Ducato di Modena, provvisoriamente rimpiazzato dalla dittatura di Luigi Carlo Farini, traghettatore verso il regno unitario. Fu proprio il Farini a volere l’apertura al pubblico degli archivi estensi. Tra i primi studiosi che vi si recarono vi fu il barone Albert Nyáry de Nyáregyháza, già autore di due opuscoli sui diritti degli Arpad,2 che iniziò a occuparsi della genealogia e dei diritti feudali dei d’Este. Frutto delle ricerche del magiaro fu un opuscolo, Postumus István és az estei örökség, edito in lingua ungherese a Modena, dal libraio e tipografo Cappelli.3 Non si trattò di una buona prova per colui che sarebbe divenuto uno dei più apprezzati genealogisti d’Europa, in quanto Nyáry forzò la storia al sostegno della propria tesi. All’epoca raccolse sia giudizi entusiasti, sia stroncature, a seconda del pensiero politico di chi ne valutava l’opera: i liberali lo vedevano come studioso rigoroso, mentre i reazionari lo consideravano una sorta di truffatore, in quanto, utilizzando le parole di Bartolomeo Veratti, convertiva “in lotta politica una questione meramente storica”. Oggi questi saggi di Nyáry sono pacificamente considerati come una mera polemica, legata al particolare momento della vita del loro autore, e privi di alcuna pretesa di scientificità.4 Più avanti ne offriremo un’ulteriore chiave di lettura.

La causa di Crouy-Chanel

La prima e più importante conseguenza degli studi di Albert Nyáry fu l’essere il fondamento di una causa legale che vide contrapposti due nomi molto altisonanti: il (sedicente) principe Augusto di Crouy-Chanel d’Ungheria e Francesco V d’Asburgo-Este, l’ultimo duca di Modena, spodestato manu militari in seguito alla campagna del 1859.

La vertenza era veramente insolita, in quanto l’attore, Crouy-Chanel, conveniva in giudizio l’ex sovrano di Modena per rivendicarne il titolo, al quale tuttavia non corrispondeva più l’esercizio effettivo del potere. Il conte Teodoro Bayard de Volo, uno degli osservatori dell’epoca, politicamente legato a Francesco V, ma sempre acuto e limpido nei suoi giudizi, notò la bizzarria di questa azione legale, definendola “la più strana e temeraria delle cause intentate contro Francesco V”.5 Se infatti gli altri procedimenti avevano un chiaro fondamento patrimoniale, e spesso un altrettanto evidente secondo fine politico,6 questo si presentava pressoché esclusivamente come una provocazione. Bayard de Volo ipotizzò l’esistenza di legami occulti tra l’attore e Napoleone III. Ritenendo degna di interesse questa considerazione, abbiamo investigato su quanto potessero essere fondate le impressioni del diplomatico modenese.

Crouy-Chanel

Il punto di partenza nell’esame di questa vicenda è l’analisi della figura del pretendente e dei suoi rapporti con Albert Nyáry. A tal fine occorre un breve excursus sugli avvenimenti dei suoi ascendenti, originari del Delfinato.

Membri della famiglia Crouy-Chanel, all’inizio solo Chanel, avevano già infruttuosamente tentato, nel 1770, di farsi riconoscere quali parenti dei duchi di Croÿ. La sconfitta non li fece demordere e vent’anni dopo, nel 1790, in piena temperie rivoluzionaria, fecero trascrivere in registri pubblici una serie di atti tesi a dimostrare la loro nobile origine. Essi espatriarono poco dopo, seguendo le orme di molte casate aristocratiche che cercavano asilo oltre confine. Rientrati in patria durante il Primo Impero, ottennero la tanto agognata nobilitazione, giunta tra il 1809 e il 1810 a favore di Claude François, ciambellano di Napoleone I, creato conte dell’impero con il nome di Croy-Chanel d’Ungheria, in quanto si era presentato come membro di un ramo cadetto della casata dei duchi di Croÿ. Questa quasi omonimia si concluse durante la Restaurazione, nel 1818, quando il legittimo duca di Croÿ citò in giudizio i Croy-Chanel, per costringerli ad abbandonare il suo nome. I veri Croÿ vinsero il primo grado di giudizio e il secondo, tenuto nel 1821 davanti alla Corte reale di Parigi, che ingiunse loro di non utilizzare né il cognome Croÿ, né altri assonanti. Gli ormai solo Chanel impugnarono la sentenza in Cassazione, ma questa respinse il ricorso, pur consentendo loro di premettere al cognome Chanel un furbescamente omofono Crouy.

Nel frattempo, già dal 1790, avevano aperto un’altra strada per giungere alla nobiltà: la discendenza reale ungherese. Jean-Claude Chanel e François Nicolas Chanel chiesero, infatti, alla Corte dei conti di Grenoble una dichiarazione di discendenza in linea diretta da Félix de Crouy-Chanel, presunto figlio di Andrea III il veneziano, re d’Ungheria, pronuncia che non sembra mai essere stata emanata.7

Claudio Francesco Augusto Crouy-Chanel fu il protagonista della nostra vicenda. Aveva tre nomi e spesso ne usava uno solo (mai lo stesso), quasi per essere sfuggente. Era nato nel 1793 a Duisburg, dove la sua famiglia si trovava in esilio volontario – come si è visto – per confondersi con la nobiltà. Essendo i congiunti bonapartisti, rientrò al loro seguito in Francia già durante il Consolato. Nel 1822 prese parte alla guerra per l’indipendenza greca e successivamente fu tra i sostenitori di Luigi Napoleone. Per questa vicinanza politica, venne coinvolto nel processo del 1840 a carico del principe, celebrato dalla Corte dei pari di Parigi in seguito al secondo fallito tentativo di colpo di stato.8 Nel dibattimento emerse che Crouy-Chanel e Luigi Napoleone erano in stretto contatto già dal 1838 e che il Bonaparte l’aveva finanziato cospicuamente. “Il sig. de Crouy Chanel veniva accusato d’aver ricevuto dal principe Luigi 400,000 fr. con fine colpevole”, mentre lui obiettava di averne ricevuti solamente 140.000 allo scopo di fondare un giornale in appoggio al partito bonapartista e per “altri usi leciti”. I “maneggi di Crouy Chanel pel principe” vennero dimostrati solamente fino al novembre 1839, portando ad escludere un suo coinvolgimento nello sbarco di Boulogne. Dal suo canto, Luigi Napoleone confermò questa tesi, dichiarando che egli “non aveva avuto la più piccola influenza ne’ suoi disegni, per ciò ch’ei faceva poco capital del suo ingegno”.9 Forse era un modo per proteggere un seguace fidato ed efficiente. Dopo il 1859, Crouy-Chanel si trasferì in Italia, allora luogo di concentrazione dell’emigrazione politica ungherese, per dare alle sue pretese una base politica e diplomatica. Il morale degli esuli era, in quel frangente, basso. Essi, infatti, in un primo momento avevano ricevuto da Cavour e da Ricasoli promesse di un intervento sabaudo risolutivo della loro questione nazionale, ma in seguito si erano dovuti ricredere a fronte dell’impossibilità italiana di agire in tal senso. L’arrivo di Crouy-Chanel, che si poneva apertamente come pretendente al trono magiaro, venendo addirittura chiamato re Stefano II dai suoi sostenitori,10 ebbe l’effetto pratico di rompere il fronte degli esuli:

Non avvertirono […] questi patrioti disillusi che la loro adesione al principe di Crouy-Chanel doveva condurre all’esaurimento di ogni valida affermazione dell’emigrazione ungherese come fattore politico, essendo evidente che le mire personali del sedicente discendente degli Arpad divergevano del tutto dall’impostazione ideologica che alla loro azione avevano impresso i capi dell’emigrazione. Così stando le cose era fatale che si dovesse giungere ad una scissione dell’emigrazione: da una parte i seguaci del pretendente, dall’altra coloro che si mantenevano fedeli a Kossuth.11

Nyáry e Crouy-Chanel

Albert Nyáry, come si è detto, non svolse le sue ricerche in maniera rigorosa. Egli giunse, al contrario, a piegare alle sue tesi tanto la storia che l’interpretazione dei documenti. Ciò in quanto egli era strettamente legato a Crouy-Chanel.

Il barone Albert Nyáry de Nyáregyháza, nato il 30 giugno 1828, partecipò, appena ventenne, alla rivoluzione del 1848, sia come politico, che come militare, arrivando al grado di generale e aiutante di campo di Kossuth. Espatriato in Piemonte, partecipò alla campagna del 1859 come capitano nei ranghi della Legione ungherese, per poi far parte dei Mille di Garibaldi, tra le sue guardie del corpo. Un uomo di pensiero, quindi, ma anche di azione: il prototipo dell’uomo del Romanticismo. Nel 1860 incontrò Crouy-Chanel, di cui divenne segretario.12

Il fatto che Nyáry fosse rimasto affascinato da Crouy-Chanel, fino al punto da sposarne le assurde tesi e da rischiare di compromettere per sempre la propria reputazione di studioso, sostenendole fino a negare l’evidenza, può essere spiegato facilmente confrontando i dati anagrafici e approfondendo come si presentava il preteso principe. Il trentaduenne Nyáry si trovava di fronte a un uomo di sessantasette anni, età che all’epoca era più rilevante che oggi. Anche lui aveva combattuto per la libertà di altri popoli (come si è visto, in Grecia) e cospirato in patria. Uno dei suoi collaboratori lo presentava in questi termini: “Consumò la sua vita nelle vessazioni politiche, e come vittima dell’Austriaco usurpatore, nel suo lungo esilio trasse l’unico conforto dal continuo studio, per cui divenne distinto letterato e profondo filosofo”.13 Nonostante il fatto che il riferimento sia a un francese sempre vissuto in patria, e che quindi le vessazioni austriache e l’esilio sono inventati di sana pianta, questo brano è importante per farci comprendere come si presentava il Crouy-Chanel: anch’egli uomo d’azione e di pensiero, con un alone di martirio dovuto alla dura persecuzione austriaca. Il ritratto prosegue notando che “il di lui discorso è una continua istruzione”.14 Altro elemento chiave era la generosità: “ognuno sa quali e quante beneficenze va prodigando il Principe d’Arpad [cioè Crouy-Chanel, nda]; imperocché all’Albergo ove alloggia, non viene mai meno la concorrenza dei poveri”. La sua carità non era solo pubblica, ma anche segreta, dal momento che sussidiava pure diversi indigenti vergognosi.15 Sembra quindi evidente la ragione per cui Nyáry si legò a un personaggio ambiguo come Crouy-Chanel: oltre alla motivazione politica (che sarà meglio esplicitata oltre), l’aristocratico magiaro si trovava di fronte a quello che poteva (o avrebbe voluto) essere lui da anziano. Si aggiunga il fatto che Crouy-Chanel, senz’altro dotato di grande carisma e di capacità dialettiche, funse da mentore per il giovane Nyáry, iniziandolo alla massoneria.

La massoneria

In Italia, la massoneria, dopo la diffusione settecentesca e l’istituzionalizzazione napoleonica, “scomparve nella fase acuta del Risorgimento e solo a partire dall’ottobre 1859 emerse con una vera identità nazionale”.16 Va puntualizzato che in questo periodo la massoneria cessò di esistere solo “ufficialmente”, quando in realtà la sua presenza – o eterodirezione – si palesò nell’operato di altre società segrete (sublimi maestri perfetti, carboneria o setta di san Teobaldo) dedite più all’azione rivoluzionaria che al pensiero.17 Similmente, tra le file unitarie, si mossero sempre numerosi massoni, iniziati all’estero o negli Stati italiani in logge affiliate a obbedienze straniere. Nell’Ottocento, la massoneria appare come una sorta di salotto buono e di passaggio obbligato per cospiratori, democratici e liberali. Ciò per il suo internazionalismo, che la rendeva presente in ogni Paese, per i vincoli solidaristici che essa poneva tra i fratelli (utili anche per agevolare le relazioni interpersonali), per il suo operare discreto e per le idee politiche che tale organizzazione portava avanti.

In quegli anni, ebbe un ruolo centrale la loggia Dante Alighieri, costituita a Torino (allora capitale d’Italia) il 7 febbraio 1862, e posta all’obbedienza (cioè sottoposta gerarchicamente) del Grande oriente italiano, insediato nella medesima città. All’epoca “De Crouy Chanel era una persona avanti negli anni, essendo nato nel 1793. Iniziato molto giovane, nel 1818 era arrivato al 33mo grado. […] Ovviamente egli poteva essere centro di attrazione per altri emigrati connazionali”,18 cosa che avvenne puntualmente. L’Ungheria, infatti, era priva di una propria massoneria19 e la Dante Alighieri poteva divenirne l’embrione. Ciò può spiegare sia l’alto numero di membri magiari della loggia (circa un terzo),20 sia il repentino abbandono del Grande oriente italiano di Torino in favore del Grande oriente d’Italia di Palermo, che aveva come gran maestro Garibaldi, avvenuto appena un mese dopo la fondazione (8 marzo 1862).21 Dal momento che l’emigrazione politica ungherese si era divisa in due correnti, governativa e democratica, con quest’ultima maggioritaria,22 il legarsi al sodalizio siciliano sembra il tentativo di intercettare il consenso del maggior numero di esuli.

Nel medesimo anno, Crouy-Chanel aveva fondato il Supremo consiglio del rito scozzese antico e accettato, di cui era divenuto sovrano gran commendatore, carica che mantenne fino al 1864.23 Sempre nel 1862, fu iniziato in massoneria, nella loggia Dante Alighieri, un protagonista delle vicende politiche e massoniche di quegli anni: Lodovico Frapolli, che, in appena un mese, giunse al massimo grado del rito scozzese, per divenire gran maestro del Grande oriente italiano nel 1867. Egli era stato a Modena nel 1859, subito dopo l’Armistizio di Villafranca, chiamato da Farini al Ministero della guerra, per assicurare la difesa militare nell’ipotesi di un rientro in armi di Francesco V. Per questo fine aveva arruolato un buon numero di militari della disciolta Legione ungherese.24

Le logge massoniche erano, come si è potuto intuire, centri di politica, di “grande politica, quella stimolata da forti tensioni ideali. Nella Dante Alighieri o da parte dei suoi affiliati si fece una politica di altissimo livello, tesa a rivendicare unicamente i principi di libertà e giustizia dei popoli”.25 In quest’ottica, nel 1866, fu concepito un tentativo di provocare una sollevazione in Ungheria per indebolire l’Austria, grazie alla creazione di un fronte ulteriore e alternativo rispetto a quello occidentale. Lo studioso che scoprì questo piano escluse e quasi irrise l’ipotesi di “cospirazione massonica”.26 Il fatto, tuttavia, che l’ideazione del progetto, al pari dei tentativi per realizzarlo, fossero portati avanti esclusivamente da importanti membri della massoneria, non ci consente di considerare del tutto casuale l’affiliazione dei protagonisti della vicenda che, se non fu “cospirazione massonica”, appare perlomeno cospirazione di massoni. Lo stesso ragionamento vale per la trama di cui ci occupiamo, architettata tra uffici di gabinetto e logge, da rivoluzionari provetti e finalizzata a realizzare uno dei disegni politici massonici.

Napoleone III

Napoleone III potrebbe essere stato il mandante di questa vicenda e diversi aspetti paiono confermare questa tesi, o quantomeno un suo diretto coinvolgimento.

Si è ipotizzato che l’attacco per via giudiziaria a Francesco V potrebbe essere stato ideato nell’ambiente massonico. Al riguardo, si può trovare un legame tra la massoneria e Napoleone III nei trascorsi carbonari del futuro imperatore. La carboneria, che sembra nata come una sorta di mutuo soccorso fra i militari napoleonici di basso rango, finì ben presto col divenire una forma di massoneria per i ceti umili, meno speculativa e più dedita all’azione, ma con strutture simili e finalità identiche. I rapporti tra le due società segrete vedevano la massoneria prevalere: i massoni entravano nella carboneria senza iniziazione, mentre per accedere agli alti gradi carbonari occorreva un certo cursus honorum massonico. La simbologia era difforme da quella impiegata dalla massoneria solo per le differenze dei corpi sociali cui si rivolgevano: al posto di templi e logge vi erano vendite e baracche, Cristo invece che Hiram, ma gli scopi coincidevano.

La Massoneria è fine; la Carboneria fu uno de’ metodi per raggiungerlo. […] La Carboneria fu detta una Massoneria popolare; meglio si direbbe una Massoneria trasportata dal campo dell’idea in quello dell’azione, dall’idea astratta all’idea concreta, dall’enunciazione dottrinaria di un principio all’attuazione d’esso. Basata sulle virtù del cittadino, ebbe carattere politico ed un fine immediato, la distruzione della tirannide.27

Allo stato dei fatti, comunque, manca la prova dell’iniziazione alla massoneria di Napoleone III, ma non si può escludere l’ipotesi che essa sia avvenuta in segreto, ““all’orecchio del Gran Maestro”, una formula di estrema riservatezza utilizzata per uomini particolarmente esposti nella vita civile".28 La congettura trova alimento anche dall’intenzione, di parte della massoneria italiana, di creare gran maestro Costantino Nigra, ambasciatore in Francia, benvoluto dall’imperatore e dai suoi familiari. Il Nigra declinò l’offerta a causa della pesante campagna di stampa mossa contro di lui dalle testate clericali, che l’accusarono di aver fatto una brillante carriera più per l’affiliazione che per le sue doti personali.29 Resta evidente che, per lo meno secondo i proponenti, la carica di capo della massoneria italiana non avrebbe creato imbarazzo né a Nigra, né – soprattutto – a Napoleone III.

L’imperatore francese, inoltre, aveva interesse a colpire Francesco V sia per motivi di alta politica, che esamineremo più avanti, sia per ragioni più immediate e personali.

I rapporti diplomatici tra Modena e Parigi erano inesistenti. Il Ducato estense, infatti, era il solo Stato d’Europa a non intrattenere relazioni internazionali con la Francia di Napoleone III. Questo gelo aveva un’origine più risalente. Nel 1830, Francesco IV fu l’unico sovrano europeo a non riconoscere Luigi Filippo d’Orléans, ritenendolo un usurpatore. Salito al trono nel 1846, Francesco V non mutò la linea politica del padre, malgrado il principe di Metternich si fosse offerto quale intermediario fra lui e il sovrano francese, al fine di riallacciare i rapporti diplomatici tra i due Stati. Nello stesso anno, quasi a rincarare la dose, la sorella del duca di Modena, Maria Beatrice Gaetana, sposava Enrico di Borbone, più noto come conte di Chambord, pretendente legittimo al trono di Francia in quanto figlio del duca di Berry, il secondogenito di Carlo X. “Nel 1848 anche Luigi Filippo d’Orléans scomparve dalla scena politica d’Europa, ed è superfluo dire che se il duca di Modena non aveva voluto riconoscere per capo della nazione francese un principe di sangue regio, quale era Luigi Filippo, tanto più si mostrò intransigente verso il Bonaparte, figlio della rivoluzione [sic]”.30 Nell’ottica della visione politica di Francesco V e della sua coerenza “tutta d’un pezzo”, la chiusura nei confronti della Francia rivoluzionaria è stata significativamente valutata nel novero delle “clamorose prese di posizione, che non furono però tanto atti politici quanto piuttosto atti emblematici, quasi puri e semplici simboli”.31

L’antipatia, verrebbe da dire il fastidio, che Francesco V provava nei confronti di Napoleone III esplodeva nelle corrispondenze private del duca, specialmente in quelle con i fratelli Forni e con Teodoro Bayard de Volo, “carteggio molto spesso di profondo contenuto politico unito a sincero abbandono espressivo”.32 Queste ci rendono un’immagine dell’Austro-Estense molto diversa da quella superficialmente delineata dalla storiografia “ufficiale” post-unitaria: egli ci appare come persona acuta, lungimirante, attenta alle vicende del tempo e persino dotata di umorismo e allegria,33 tutt’altro che il povero sempliciotto malinconico raffigurato – post mortem – dagli avversari.34 In questo contesto, e da questa penna, i giudizi appaiono ancora più taglienti e gli epiteti ancora più forti.

Nel 1864, in una lettera a Teodoro Bayard de Volo, Francesco V analizzava la politica francese nei confronti dello Stato pontificio: “Io ho sempre pensato che Napoleone vuol uccidere il potere temporale a fuoco lento, per mostrare che è impossibile tale potere”. Per raggiungere questo scopo, l’imperatore aveva agito al fine di assottigliare il territorio, e conseguentemente la popolazione e le risorse, dello Stato della Chiesa, che ora si trovava con un deficit di bilancio spropositato e incolmabile. Malgrado il favore ottenuto dal francese presso le Corti europee, il duca di Modena notava “mi pare che l’apatica quiete apparente di Napoleone covi delle profonde perfidie”.35 Spesso lo aveva definito “brigante”,36 quindi il “padrone” del “galantuomo” (Vittorio Emanuele II)37 e – addirittura – l’Anticristo, capo della massoneria. Scrisse nel 1863, in un momento di sfiducia generato dalla politica internazionale:

Così sono al limbo e tale stato durante la burrasca è sì penoso da desiderare di essere piuttosto lontano e […] di non saperne nulla di questo orribile mondo servo dei frammassoni e del loro Capo Napoleone, che alcuni già nominano e non a torto l’Anticristo. La perfidia satanica di quell’uomo lo rende degno di tal titolo. Nessun altro mortale ha quel genere diabolico che ha Napoleone in ogni suo passo e parola. Ogni parola, la più apparentemente moderata, è velenosa ed ha germi di guai di discordia ecc. in sé.38

Parole pesanti, ma rivolte a un uomo dal passato settario e che continuava a interessarsi di occultismo.39 Un giudizio più politico, ma non meno duro, viene stilato in un’altra missiva: “Da Napoleone non si può avere che del male, il mostrare fiducia in lui è ormai una viltà se è affettata tale fiducia, una balordaggine se fosse verace”.40

Francesco V non era neppure tenero con l’imperatrice Eugenia: “Essa è l’unica buona, od almeno non cattiva, in quella corte, ma credo che abbia poca testa”.41 Alcune lettere confidenziali, con espressioni di questo tenore, erano finite nelle mani del Farini, a causa di una loro errata collocazione in archivio, ed erano state pubblicate, durante la Conferenza di Zurigo del 1859, con il fine di inasprire ulteriormente i rapporti – già tesi – tra i due sovrani.42

Tra Napoleone III e Crouy-Chanel, al contrario, vi era quasi un idillio, provato dal fatto che l’imperatore manteneva l’anziano bonapartista con un sussidio annuo.43

Il 1863: l’annus horribilis

Un ulteriore elemento a conferma della tesi che vuole questa causa come una provocazione politica pianificata a tavolino, viene dalla singolare coincidenza temporale tra essa e altri eventi, letteralmente nefasti per Francesco V. Il 1863 vide, infatti, una serie di accadimenti molto negativi e pesanti per il duca, tanto da poter essere definito un annus horribilis. Il momento ideale per colpire il nemico già indebolito.

La nota più dolente dell’anno fu lo scioglimento della Brigata estense, l’esercito ducale che aveva seguito il sovrano nell’esilio. Nel Trattato internazionale di alleanza stipulato nel 1847 tra Modena e Vienna, era previsto l’obbligo di mantenimento delle truppe alleate. Per questo motivo, dopo un iniziale inquadramento nell’esercito imperiale, nel corso della breve campagna del 1859, gli estensi vennero dislocati nel Veneto, mantenendo le proprie uniformi e le proprie bandiere. Nonostante la Pace di Zurigo, che prevedeva il ripristino del Ducato di Modena, venisse disattesa, facendo sfumare così l’occasione di un impiego di questi militari per il rientro del duca nel suo Stato, la Brigata estense rimase perfettamente inquadrata per oltre quattro anni. Essa era, assieme alla rappresentanza diplomatica a Vienna, l’ultimo segno tangibile della sovranità di Francesco V.

La smobilitazione di questa unità fu una misura politica, chiesta a gran voce dai liberali, capeggiati dal deputato Carl Giskra, sulla base di motivazioni di bilancio assolutamente infondate. La reale natura del provvedimento emerge considerando che gli effettivi dell’esercito ducale passarono tra le file austriache oppure vennero pensionati a carico dell’erario austriaco, quindi senza che dallo scioglimento sortisse alcun beneficio economico. Il rifiuto di una posizione intermedia, consistente nel passaggio dell’intera Brigata estense nei ranghi imperiali, rese ancora più palese la matrice della decisione di smembrarla. Simbolo esteriore della sovranità estense, era ormai la personificazione della Reazione. Nei duri anni dell’esilio e dell’emarginazione, non fu falcidiata dalle diserzioni e dai congedi, come speravano i liberali, ma divenne – al contrario – un polo di attrazione per molti italiani renitenti alla leva, che attraversavano il Po per arruolarsi sotto le insegne di Francesco V. Le trattative sullo scioglimento e – in buona sostanza – sul futuro dei militari, furono lunghe, complesse ed amareggiarono molto il sovrano estense.44 Ne è prova in primo luogo la pubblicistica edita sull’argomento in quegli anni, dove la polemica verso i liberali, cede il posto, dopo la smobilitazione, a quella verso l’Impero d’Austria.45 Il ragionamento sotteso a questa evoluzione è semplice e logico: se i liberali hanno fatto quanto ci si poteva aspettare da loro, è stato l’imperatore a disattendere al suo duplice ruolo politico (inteso in senso reazionario) e dinastico. “Un patto solenne stava garante che a Modena Francesco V doveva continuare a regnare. Ma altro è promettere, altro è mantenere. […] Arciduca d’Austria, il Duca di Modena teneva fermo alla parola dell’Austria […]”,46 venendo invece offerto “in olocausto al principio di non-intervento, proclamato imparziale a parole, sempre parzialissimo a fatti”.47 Bayard de Volo, quasi vent’anni dopo, cercò di placare gli animi, sottolineando che l’imperatore dovette subire “influenze così diverse dai veri e spontanei suoi sentimenti”.48

Il malumore verso il governo asburgico, tuttavia, era diffuso, anche tra chi riusciva a scindere i differenti ruoli del governo e del capo di Stato. Un buon esempio ci viene dalla cronaca di Giulio Besini, una tra le poche guardie nobili d’onore ad aver seguito il sovrano in esilio,49 che già il 31 dicembre 1862, nove mesi prima dello scioglimento, notava:

quello che più sorprende e strazia veramente l’animo si è il vedere che siamo anche perseguitati da quelli stessi che pur ci dovrebbero sostenere e che ne hanno un sacrosanto dovere, sia perché noi siamo qui per la loro causa, sia pei trattati i quali ci legano reciprocamente. Intendo parlare del Governo austriaco che dopo tante promesse, assicurazioni e belle parole ha poi finito col “decretare che gli assegni per la Brigata Estense sarebbero dalle I.R. finanze pagati solamente fino a tutto Ottobre del 1863”. Ecco dunque i nostri alleati, i nostri amici, quelli soli che in Europa avrebbero dovuto aiutarci ecco che fra pochi mesi ci pianteranno con tanto di naso. Povero Imperatore chi sa mai dove lo trascineranno le sue riforme liberali e quelle maledette Camere alle quali siamo debitori di questa bella misura che ci riguarda: misura che per la verità del resto non vi sarebbe stata perché i sentimenti personali dell’Imperatore non possono essere migliori a nostro riguardo. Eccoci dunque perseguitati dai nemici ed abbandonati dagli amici: a chi dunque ricorrere? … in chi sperare? … Propriamente non v’è più da sperare che in Dio e nella giustizia della nostra causa […].50

La tensione nei rapporti con l’Austria emerge diffusamente nelle corrispondenze di Francesco V, che il 20 giugno 1863 scriveva da Sárvár: “Io stò bene, ma non allegramente, giacché lo scioglimento delle mie truppe in prospettiva non mi lascia godere di nulla”.51 In più occasioni il duca si lamentava dell’Austria e del generale Ludwig von Benedek, capo della commissione incaricata per le procedure relative alla liquidazione della Brigata estense, tra cui la definizione delle condizioni da accordare ai militari modenesi che fossero passati nei ranghi asburgici o pensionati. L’11 agosto 1863 Francesco V, esasperato dagli imperiali, che si rivelavano più fiscali di quanto si sarebbe aspettato, scrisse: “Ciò si chiama far le cose colle calcagna al solito modo illogico ed incoerente che ha sempre caratterizzato gli Austriaci”.52 Pochi giorni dopo, von Benedek emanò un dispaccio in cui correggeva il tiro e il duca, rasserenato, ne parlava in termini entusiasti: “Esso è concepito in termini i più delicati possibili e si vede il cuore e la lealtà di Benedek”.53 Il rammarico non era solo politico, essendo ben presente anche la preoccupazione umana per la sorte dei suoi fedeli militari, come – un esempio fra i tanti – quando notava: “l’agonia è incominciata per la Brigata e sono ansioso di sentire come quei poveri diavoli hanno preso la loro sentenza”.54

Il 1863 fu un anno pesante anche per la morte di diverse persone molto vicine a Francesco V. La perdita più importante fu quella dello zio Massimiliano d’Asburgo-Este, gran maestro dell’Ordine Teutonico, scomparso nel castello di Ebenzweier il 1 giugno 1863. Nonostante fosse anziano e da tempo malato, era sempre stato vicino al nipote, come saggio e apprezzato consigliere.55

Altri lutti particolarmente gravi vennero dai decessi di alcuni stretti collaboratori. Il 15 febbraio 1863 morì a Venezia il duca Gaston François Felix di Lévis-Ventadour, legittimista francese e, secondo le parole di Francesco V, “vero amico, consigliere e factotum”56 di suo cognato, il conte di Chambord, per il quale aveva anche svolto il ruolo di plenipotenziario e procuratore in occasione delle nozze con Maria Beatrice Gaetana d’Asburgo-Este.57 Il 30 maggio fu la volta del conte Luigi Benicasa, guardia nobile, ciamberlano e cavaliere in servizio permanente presso la duchessa Adelgonda.58 In agosto la serie dei lutti comprese anche Gaetano Gamorra, già segretario di gabinetto e segretario privato del duca, che a proposito scriveva a de Volo: “dica a Forni che fui afflittissimo della perdita dell’ottimo segretario Gamorra, uno dei vecchi fidi nostri”.59 Egli era stato insignito dell’Ordine dell’Aquila Estense e aveva seguito, con la famiglia, il sovrano in esilio (morì infatti a Padova), continuando a curarne gli affari. Il 28 luglio era stata la volta di Constantine Phipps, marchese di Normanby, autore della celebre Difesa del duca di Modena contro le accuse del Signor Gladstone, “altra perdita per noi”.60

A questi turbamenti si aggiunsero i processi, sia quelli che videro il duca parte (attore o convenuto) per motivi economici, sia quelli politici. In quest’ultima categoria è da ricomprendere anche il giudizio nei confronti del conte Girolamo Riccini, persona da sempre invisa a Francesco V. Il procedimento in parola, infatti, finiva per giudicare e censurare l’operato politico di Francesco IV. Il Riccini aveva chiesto – a sua difesa – di poter produrre lettere e ordini del defunto duca, facendo commentare al figlio: “sono cose disgustose”. E mentre l’affare prendeva “forme poco pulite”, alcuni “birboni” tentavano di vendere alcuni documenti a Francesco V.61

A fine anno il duca tracciava amaramente un bilancio della sua vita dal 1859:

Io mi sacrificai al mio posto per 13 anni, subendo due rivoluzioni e perdita dello Stato, sacrificai la mia libertà per ormai altri 5 anni, attendendo un dénouement o che S.M. avesse avuto bisogno di me. Lo sacrificai per ultimo pur le mie truppe, e per non star lontano da mio Zio ottuagenario [Massimiliano d’Asburgo-Este, nda]. Un altro avrebbe trovato beata la vita del Prater e del Kärntner Theater, io ne ho sin sopra le orecchie, quindi fu solo il sentimento di dovere che me tenne a portata di adempiere ad un dovere di essere utile a qualcuno. La morte di mio Zio, lo scioglimento delle mie truppe mi dispensano dai doveri principali. Il capo di mia famiglia non sa cosa farsi di me e sono convinto che anche in caso di guerra succederebbe altrettanto. In detto caso gli Arciduchi, massimo poi io, o riceverei un cenno di non andare all’armata o vegeterei ad un quartier generale, inutile a tutti.62

L’Austria isolata

Il 1863 non era un momento particolarmente felice neppure per l’Austria, fatto che conferma la singolare coincidenza temporale tra una situazione difficile e lo scandalo provocato dalla causa intentata da Crouy-Chanel.

L’impero asburgico si trovava, infatti, a scontare un isolamento internazionale originato dal suo ambiguo comportamento in occasione della Guerra di Crimea. Allora “l’Austria, nonostante il debito di riconoscenza verso lo zar per l’aiuto prestatole nel 1849 nella repressione della rivoluzione ungherese, non scese in campo a fianco della Russia”.63 I motivi della rottura del fronte reazionario furono molteplici. In primo luogo influirono la personalità e gli atteggiamenti dei sovrani, in particolare dello zar Nicola I, che, fermo nei suoi principi politici e conscio della sua forza militare, si pose come il capo naturale dello schieramento conservatore, comportandosi quasi come il tutore di Austria e Prussia, le quali – al contrario – non gradivano le sue ingerenze. Tra queste ultime, poi, vi era rivalità per il ruolo di guida del mondo germanico.64 Mentre gli ambienti economici austriaci spingevano, addirittura, per un’alleanza con la Francia, il governo asburgico paventava la politica zarista come fattore di destabilizzazione non solo per l’Impero ottomano, territorio esterno anche se confinante, ma anche per il suo interno, temendo possibili turbolenze nazionaliste slave. Questa è la cifra per interpretare le successive, disastrose, mosse austriache: dall’iniziale neutralità, all’occupazione dei principati danubiani (segno di diffidenza verso la Russia), al trattato del 1854 con le potenze occidentali, fino al disastro della Conferenza di Vienna del 1855.65 Tale politica ambigua causò l’isolamento internazionale dell’Austria, mentre “la Corte russa era dominata da un sentimento: il rancore contro l’Austria per il”tradimento" dell’antica alleanza".66 La conseguenza più immediata si vide in seguito alla Pace di Zurigo del 1859: giocando sul fatto che la restaurazione dei troni di Modena e Firenze non era materialmente possibile senza il loro consenso, Russia e Francia subordinarono il reintegro di quei sovrani (che – si sottolinea – erano membri della Casa d’Asburgo) a condizioni inaccettabili e fra loro contraddittorie. L’impero zarista chiedeva, infatti, una nuova discussione dei trattati del 1856 (post Crimea), mentre l’impero napoleonico reclamava addirittura la revisione di quelli del Congresso di Vienna del 1815. L’Austria ne usciva umiliata e isolata.67 Anche il seguente Convegno di Varsavia, del 1860, tra Austria, Russia e Prussia, fu un insuccesso:

Le “conferenze di Varsavia” non avevano partorito nulla: avevano, casomai, esorcizzato definitivamente il fantasma della Santa Alleanza, che Vienna si sforzava invano di evocare; avevano contribuito piuttosto a paralizzare, che non a sostenere, le velleità di Vienna di riprendere l’iniziativa. Il risultato di Varsavia è – come l’aveva definito argutamente Gorciakoff – un ramo d’ulivo gettato nell’acqua, “un coup d’olivier dans l’eau”.68

A questa situazione andava aggiunta l’annosa questione ungherese, che vedeva il popolo magiaro in grande fermento e protesta per porre fine al rigido centralismo di Vienna e ottenere il riconoscimento delle proprie istanze nazionali.69 La stessa corona imperiale del Messico, offerta da Napoleone III all’arciduca Massimiliano, aveva provocato una frattura in seno alla Casa d’Austria e si sarebbe rivelata, nel volgere di pochi anni, l’ennesima magra figura internazionale.70

Francesco V commentò questa situazione con toni duri, e una visione analitica del frangente particolare e dei suoi possibili sviluppi:

Deploro di vero cuore le aberrazioni Viennesi contro Russia e Prussia e le simpatie Occidentali. È un tornare al vomito. Le prime ci costarono tutto a noi ed ad essa la Lombardia, questa 2a volta potrebbe far sì la politica attuale che si dovesse cantare un De profundis a questa malconsigliata Austria, che pare cerchi solo l’approvazione di quelli che vogliono perderla. La Provvidenza le dà l’ultima occasione di salvarsi, essa se persevererà nella politica erronea del 1854 non sò se si meriterà un nuovo miracolo dalla Provvidenza per conservarla. Spero che il vento nelle altre regioni sarà diverso di quello che lo sembra dalle gazette anche semi-uffiziali, ma se è tale, l’Austria è una suicida. La Prussia e Russia agiscono ora bene, perché sono prese pel collo dalla rivoluzione, bisogna quindi dar loro la mano, giacché la Provvidenza ci ha già vendicato castigando dette Potenze pel mal fatto riconoscendo l’Italia e non ajutando l’Austria. Se vogliamo avere una politica di vendetta, la Rivoluzione, dopo le lodi, ci strozzerà infallibilmente. Dio illumini, in questi supremi momenti, S.M.71

Gli avvocati

L’ultimo punto da esaminare riguarda i legali e gli altri consulenti cui Crouy-Chanel si era affidato. Il pretendente era patrocinato da un vero e proprio collegio difensivo che vedeva gli avvocati modenesi Gustavo Benucci e Gugliemo Raisini affiancati, già dal primo grado di giudizio, da nomi del calibro di Giovanni Battista Cassinis, Pasquale Stanislao Mancini e Sebastiano Tecchio, deputati della sinistra storica, con esperienze ministeriali e in odore di massoneria (pur non essendo certa la loro affiliazione) per le loro idee politiche rigidamente laiche. In Cassazione, poi, comparve anche Francesco Crispi.72

Si trattava, come notato, di personalità di primo piano e giuristi di chiara fama. Cassinis, già avvocato di Cavour, ricopriva l’incarico di presidente della Camera dei deputati;73 Tecchio, suo predecessore sullo scranno più alto del ramo elettivo del parlamento, era “uno dei più noti avvocati di Torino”.74 Mancini, ricordato come “avvocato di fama cui si attribuivano guadagni favolosi”, fu tra gli ideologi del processo unitario e maestro del futuro Umberto I.75 Crispi, garibaldino e massone, fu un politico di lungo corso, più volte presidente del Consiglio dei ministri.76 Anche i legali modenesi erano principi del foro e, di conseguenza, costosi.77 Ai sei giuristi occorre aggiungere ulteriori qualificati collaboratori: il già citato Albert Nyáry e l’ingegnere Manfredi (che “gli presta servizio nella traduzione delle di lui Memorie dall’ungherese all’italiano”, in quanto il magiaro “non è bene fermo nell’idioma italiano”78), oltre a Luigi Manzini, direttore del periodico modenese La Vipera, autore di testi a supporto del pretendente.79

Non passò inosservata la sproporzione tra i mezzi di Crouy-Chanel, privo di rendite all’infuori del sussidio proveniente da Parigi, e i costi di un tale collegio difensivo, uscite che, oltretutto, si andavano a sommare a un tenore di vita molto dispendioso e alle già citate beneficienze. Negli ambienti diplomatici del tempo correva voce che il finanziatore dell’impresa fosse Napoleone III.80 Un’altra fonte di sostegno economico avrebbe potuto essere la massoneria, che poneva ai suoi affiliati un “obbligo di pagare elevate quote associative e costose patenti di iniziazione o di passaggio di gradi”. Queste somme erano destinate al mantenimento in vita della struttura e la principale causa di radiazione dei singoli massoni era la morosità.81 Alla luce dei fini ultimi della causa legale, e considerando i ruoli apicali ricoperti dal suo protagonista all’interno del sodalizio, si può ipotizzare che una parte dei fondi necessari all’operazione sia giunta anche dagli ambienti massonici. Detta ipotesi appare assai verosimile se si considera l’importante finanziamento dato, appena pochi anni prima, dalla massoneria britannica a Garibaldi, per agevolarne la campagna contro il Regno delle Due Sicilie.82

Conclusioni

La vera natura di provocazione politica della causa intentata contro Francesco V è incontestabile. A tal proposito valgono le parole del suo attore, Crouy-Chanel, riprese da uno dei tanti opuscoli che – secondo l’uso del tempo – riportavano le parti più salienti della controversia:

ho respinto lungi da me qualsiasi pretesa al sovrano potere, e […] nelle ultime ore della mia vecchiezza, siccome in tutto il resto della mia vita, ho una sola pretesa, quella cioè, di concorrere coi prodi soldati della mia patria ungherese al conseguimento della sua indipendenza e della sua libertà. Ed il processo che muovo ora all’ex-duca di Modena ha ben anco questo scopo; perocché, minando nella sua base le pretese legittimità degli Absburgo d’Italia, e così quelle degli Absburgo d’Ungheria, mercè la copia delle prove istoriche e legali che proveranno la loro flagrante illegittimità, questo processo darà l’ultimo crollo al trattato di Villafranca, sospeso ancora per un filo a questa pretesa legittimità.83

Concetto ripreso ed esplicitato maggiormente in un suo scritto successivo, dove riferendosi alla contesa legale afferma:

se […] deve avere per conseguenza la restaurazione della Polonia, l’indipendenza completa dell’Italia, e l’emancipazione della mia patria originaria l’Ungheria, io confesso che sarò ancora felice nelle ultime ore di mia vecchiezza, d’essere il mille ed uno di più per il compimento alla grande opera della rigenerazione sociale per mezzo di Napoleone III, diventando egli così per il suo genio umanitario il moderno Carlo Magno della Democrazia Cristiana. Allora sarà raggiunto il fine del mio processo contro l’ex-duca di Modena della casa d’Absburgo, perocché allora il regime dispotico di questa casa avrà cessato di esistere.84

Simili dichiarazioni di intenti, inquadrate nel contesto sopra esaminato, palesano come Francesco V fosse attaccato non solo come duca di Modena ma anche come simbolo della Reazione e come arciduca d’Austria. La sua vulnerabilità (causata dall’esilio e dalla marginalizzazione politica e dinastica) lo rendevano un bersaglio facile. La sua caduta, ad opera di una magistratura ostile, poteva essere il possibile preludio a turbolenze rivoluzionarie nell’impero asburgico. Fu la Corte di cassazione ad archiviare le assurde pretese di Crouy-Chanel. Ancora una volta, tuttavia, si deve notare una singolare coincidenza temporale: la sentenza conclusiva della vertenza porta la data del 25 agosto 1866, successiva alla sconfitta subita dall’Austria a Sadowa (3 luglio) e alla sottoscrizione dell’Armistizio di Cormons (11 agosto), che poneva le basi per l’annessione del Veneto all’Italia e per la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due Stati. Lo scenario internazionale era cambiato e le provocazioni di Crouy-Chanel non erano più necessarie per destabilizzare l’Austria, definitivamente ridimensionata nel suo ruolo europeo. Di conseguenza, Francesco V poteva uscire vittorioso.

Alla luce di quanto esposto, sembra confermata in pieno la tesi di Teodoro Bayard de Volo, che vedeva alle spalle di questa vicenda la regia occulta di Napoleone III e delle forze rivoluzionarie.85 Allo stesso modo si può comprendere perché Nyáry rischiasse di bruciare sul nascere la sua carriera di studioso, firmando opuscoli scientificamente imbarazzanti: il sostegno alle strampalate tesi del francese era meramente strumentale, in quanto il vero obiettivo risultava essere l’Ungheria. Nyáry in realtà non aveva condotto ricerche storiche, ma aveva seguitato il suo combattimento contro l’impero asburgico utilizzando carta e inchiostro come armi. La sua motivazione non era soltanto l’ammirazione per Crouy-Chanel, ma anche il suo ideale nazionale.

La causa e i commenti di Francesco V

Esaurito l’esame del momento politico in cui si svolse la vicenda e – ritenuti – provati gli occulti intrecci internazionali alla sua base, resta da vedere come procedette la causa.

Il 10 ottobre 1863 iniziò il giudizio di primo grado, nel quale Francesco V fu parzialmente soccombente. Il Tribunale di Modena, infatti, pur dichiarandosi competente a decidere su diritti feudali creati secoli prima da un’autorità non più esistente (il Sacro romano impero), ammise la propria incompetenza a giudicare un sovrano, ancorché spodestato, stante il riconoscimento internazionale di cui ancora godeva. Entrambe le parti impugnarono la sentenza e la Corte d’appello di Modena, il 5 agosto 1865, ribaltò la precedente decisione, riconoscendosi competente su entrambi i punti. La Suprema corte di cassazione, allora ancora insediata a Torino, accolse le tesi della difesa del duca, pur emanando, il 25 maggio 1866, una sentenza molto particolare. Nella sua motivazione, infatti, trovava posto un duro atto d’accusa al governo austro-estense, assolutamente fuori luogo rispetto ai delicati temi giuridici sollevati. Le spese di lite, inoltre, venivano compensate tra le parti, malgrado la vittoria totale di Francesco V. Bayard de Volo ipotizzò, al riguardo, che un giudice avesse scaltramente utilizzato la visibilità datagli da quell’affare per fini personali: “Relatore ed estensore della sentenza fu il modenese Avvocato Pietro Muratori, sino al 1855 Priore del Collegio dei causidici in Modena, il quale non aveva certo titoli personali per isfogare tanta bile; ma che le opinioni professate avevano rapidamente fatto salire ai primi seggi della Magistratura italiana”.86

Dalla corrispondenza di Francesco V possiamo ricavare che egli seguì la causa senza eccessivo interesse, vivendola più come un fastidio che altro e scrivendone al solo conte Bayard de Volo. Già nel dicembre 1863, dopo aver definito il Crouy-Chanel “sedicente principe”, si informava sulla distribuzione di copie di uno degli opuscoli redatti da Bartolomeo Veratti a confutazione delle tesi del francese.87 La pubblicistica era uno degli strumenti difensivi del duca, che la reputava un mezzo utile per far conoscere le proprie posizioni e per confutare le tesi avversarie, per quanto palesemente infondate.88 A tal fine, si avvaleva anche della collaborazione del fedelissimo Porphyre De Laulne, che da Parigi teneva sotto controllo la stampa francese, provvedendo a replicare agli articoli ritenuti dannosi, secondo una linea di condotta dettata dal sovrano a de Volo:

Ella quindi gli scriva [a De Laulne, nda] che soltanto se in Francia l’affare del processo Crouy-Chanel facesse chiasso e mi si attribuissero proteste ecc. egli facesse mettere ciò che crede meglio del materiale speditogli. Insomma, non vorrei levar polvere se il mondo non se ne occupa, e se se ne occupa, rettificare le cose dandovi poca importanza.89

L’attenzione del duca si focalizzava anche su come la stampa amica, in particolare Il Difensore di Modena, riportava la cronaca del processo,90 malgrado la scarsa stima nutrita verso questa testata. Il 28 maggio 1865 si lamentava: “Peccato che il Difensore sia in mani sì sciocche e non diretto da uomini riflessivi come, per esempio, Veratti”,91 mentre, il successivo 5 settembre, “insolenti articoli all’indirizzo dell’Austria e di S.M.” lo spingevano a domandarsi: “E questi sono Duchisti?”.92

Come già accennato, Francesco V non dava troppa importanza al procedimento, classificandolo fin dal principio come un cavillo giuridico: “Questa è una chicane in fondo, ma in ogni modo una vessazione e per far scandalo”.93 Dopo la sentenza della Cassazione, il duca trasmise a Teodoro Bayard de Volo una nota, che venne ripresa dalla Gazzetta di Vienna.94 Nei giorni seguenti, il de Volo redasse una “informazione storica dell’andamento della causa”, che, inizialmente richiesta dal re di Napoli,95 venne trasmessa anche al duca di Modena96 e servì di base per un opuscolo riassuntivo della vicenda.97

Al momento di scrivere il terzo tomo della Vita di Francesco V, Bayard de Volo contattò Bartolomeo Veratti, per di ricostruire la vertenza. L’avvocato la definì testualmente “commedia del Crouy-Chanel”, mentre l’ex diplomatico infarcì i suoi appunti di commenti altrettanto salaci, rivolti sia al pretendente (“un giullare venuto dalla Senna”) che ai suoi difensori.98

Rimase inedito un ulteriore sgradevole episodio, che oggi definiremmo di sciacallaggio, avvenuto durante la pendenza del procedimento. Bayard de Volo scriveva al duca:

La suddetta Ambasciata [la sede diplomatica austriaca a Parigi, nda] ha, non ha guari, riferito a questo Imperiale e Regio Ministero degli Affari Esteri (che lo ha comunicato a me con apposita Nota) che un certo Rochas si asserisce possessore di documenti originarj che concernono la famiglia Croy-Chanel, e quindi la causa che si agita con V.A.R., ed offresi di entrare in trattative per la loro cessione. Perché V.A.R. conosca esattamente di che si tratta, unisco qui le copie della Nota Ministeriale, del Rapporto del Principe Metternich e la memoria del Sig. Rochas.

Il diplomatico estense proseguiva sconsigliando, “sommessamente”, l’acquisto di tali documenti, che non avrebbero aggiunto “gran peso nella discussione delle temerarie pretese Crouy-Chanel, cui la pubblica opinione dà quel valore che meritano”. Il suggerimento era accolto dal sovrano che scriveva, in calce alla copia della nota ministeriale austriaca, “rifiutata assolutamente l’offerta”.99 Tale determinazione era ribadita con forza nella risposta al suo ambasciatore: “Non accetto i documenti sulla famiglia Crouy Chanel offertimi, ossia li rifiuto recisamente, anche se me li dessero gratis”.100

L’epitaffio per la vicenda può ben essere ricavato dalle contemporanee amare riflessioni di Francesco V su un’altra sentenza: “Oggi Ciska ebbe una comunicazione d’una sentenza da Lei. Gliela lascerò leggere, perché quelle cose non sono buone che da muover bile. Già so che, al solito, devo pagare e per me mi basta. La giustizia del ladro politico non si avrà mai, ma sempre nuove spogliazioni”.101

Sigle usate in nota e bibliografia

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Polo Friz 1998** = Luigi Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post unitario. Lodovico Frapolli, Milano, Franco Angeli, 1998 [Studi e ricerche storiche. Collana diretta da Marino Berengo e Franco Della Peruta].

Polo Friz 2004 = Luigi Polo Friz, Massoneria e carboneria: una presunta osmosi dai bons cousins alla carboneria italiana, in La nascita della nazione. La Carboneria: intrecci veneti, nazionali e internazionali. Atti del XXVI Convegno di Studi Storici, Rovigo, Crespino, Fratta Polesine, 8–9-10 novembre 2002, a cura di Giampietro Berti e Franco Della Peruta, Rovigo, Minelliana, 2004 [Rapporti Polesine e cultura padana, 18], pp. 51–82.

Sbarco 1840 = Sbarco di Boulogne, Parigi 15 settembre, Corte dei Pari, Udienza del 15 Settembre, in «Foglio di Verona», n. 119, 2 ottobre 1840, pp. 484–485.

Soriga 1942 = Renato Soriga, Le Società segrete, l’emigrazione politica e i primi moti per l’indipendenza, scritti raccolti e ordinati da Silio Manfredi, Modena, Società Tipografica Modenese, 1942 [Collezione storica del Risorgimento italiano, serie I, vol. XXIX].

Troupes 1862 = Les Troupes de S.A.R. le Duc de Modène sur le territoire Autrichien, Vienne, Imprimerie del pp. Méchitharistes, 1862; trad. it. Gian Carlo Montanari, I fedelissimi del Duca. La Brigata Estense, Modena, Il Fiorino, 1995.

Valenti 1981 = Filippo Valenti, Saggio introduttivo, in Francesco V d’Austria-Este, Memorie di quanto disposi, vidi ed udii dall’11 giugno al 12 luglio 1859, a cura di Giuseppe Orlandi, Modena, Aedes Muratoriana, 1981 [Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, Biblioteca, Nuova Serie, 57], pp. 7–18.

Valsecchi 1964 = Franco Valsecchi, Italia ed Europa: la politica cavouriana. 1848–1861, in Franco Catalano, Ruggero Moscati, Franco Valsecchi, L’Italia nel Risorgimento dal 1789 al 1870, Milano, Arnoldo Mondadori, 1964 [Storia d’Italia, VIII].

Verona 1865 = Agostino Verona, Elenco dei pretendenti ai Troni d’Europa, in «La Baba», n. 82, 15 ottobre 1865, p. 328.


  1. Titolo originale North by Nothwest, USA, 1959.↩︎

  2. Nyáry 1862.↩︎

  3. Nyáry 1863.↩︎

  4. Furlani 1984**, pp. 614 e 617 (da cui si trae anche la citazione).↩︎

  5. Bayard 1881, p. 188.↩︎

  6. Bayard 1881, pp. 175–187.↩︎

  7. de Coston 1863, passim; Bayard 1881, pp. 194–196; Crouy-Chanel (BNF); Casato di Croÿ (Wikipédia).↩︎

  8. Furlani 1984**, p. 614.↩︎

  9. Sbarco 1840, p. 484, da cui si traggono le citazioni.↩︎

  10. Verona 1865.↩︎

  11. Furlani 1984**, p. 615.↩︎

  12. Furlani 1984*, p. 214 nota 51; Nyáry (Wikipédia); Lajos 1965, p. 127.↩︎

  13. Manzini 1863, p. 13.↩︎

  14. Manzini 1863, pp. 13–14.↩︎

  15. Manzini 1863, p. 14.↩︎

  16. Polo Friz 1998*, p. 103.↩︎

  17. Soriga 1942, pp. 114 e 117.↩︎

  18. Polo Friz 1998*, pp. 103 e 106.↩︎

  19. Polo Friz 1998**, p. 45.↩︎

  20. Polo Friz 1998*, p. 104.↩︎

  21. Polo Friz 1998**, p. 36.↩︎

  22. Polo Friz 1998**, p. 57.↩︎

  23. Isastia 2011.↩︎

  24. Lajos 1965, pp. 55–58; Polo Friz 1990, pp. 101–103, 107; Polo Friz 1998*, p. 104; Polo Friz 1998**, p. 54.↩︎

  25. Polo Friz 1998*, p. 110.↩︎

  26. Polo Friz 1990, pp. 107–108.↩︎

  27. Dito 1905, pp. 69–70. Secondo Mola, questo è “un testo tuttora di riferimento per lo studio della carboneria e della massoneria” (Mola 2008, p. IX), pur avvertendo che “quella di cui qui parla Dito non è la Massoneria sibbene quella specifica di una (breve) stagione della storia del Paese” (Mola 2008, p. XI). Anche de Mattei ritiene attendibile l’opera di Dito (de Mattei 2001, pp. 129–134). Contra: Della Peruta 1998, p. 8; Della Peruta 2004, pp. 13–14; Isastia 2004, passim; Polo Friz 2004, pp. 60–64.↩︎

  28. La definizione di iniziazione “all’orecchio del gran maestro” è tratta da Polo Friz 1998**, p. 320 (che non l’attribuisce a Napoleone III).↩︎

  29. Polo Friz 1998**, pp. 23 e 26.↩︎

  30. Dallari 1914, pp. 14–15, 30–32 (la citazione è tratta da p. 32).↩︎

  31. Valenti 1981, p. 15. Pur trovandola interessante, si dissente radicalmente dalla successiva valutazione di Francesco V come di una personalità schiacciata dal proprio ruolo di sovrano e dalle proprie idee reazionarie.↩︎

  32. Valenti 1981, p. 11.↩︎

  33. In una lettera del 1874, ad esempio, si lamenta del suo attendente conte Galen: “riservato e di poche parole, carattere del vero un poco freddo e con cui è difficile avere una conversazione brillante” (ASMo, Forni, b. C62, fasc. Lettere di Sua Altezza Reale il Duca e d’altri a Sua Eccellenza il Sig. Gen.le C.te Luigi Forni, lettera di Francesco V a Luigi Forni, Vienna 26 aprile 1874).↩︎

  34. Si veda, per tutti, Fano 1941, pp. 8, 10–15.↩︎

  35. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 23 luglio 1864, n. 37.↩︎

  36. Dallari 1914, p. 33.↩︎

  37. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 23 luglio 1864, n. 37.↩︎

  38. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 20 novembre (indicazione posteriore dubbia, sembra più corretto luglio) 1863, n. 197.↩︎

  39. Galli 1995, p. 65.↩︎

  40. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 21 novembre 1863, n. 159.↩︎

  41. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 18 marzo 1865, n. 25.↩︎

  42. Bayard 1881, pp. 72–73.↩︎

  43. Bayard 1881, p. 190.↩︎

  44. Troupes 1862; Autriche 1863; Cinquantadue 1863; Giornale 1866; Bayard 1881, pp. 140–174; Bianchini Braglia 2007.↩︎

  45. Del Corno 2015, pp. 32–34.↩︎

  46. Cinquantadue 1863, p. 43.↩︎

  47. Cinquantadue 1863, p. 41.↩︎

  48. Bayard 1881, p. 146.↩︎

  49. La Guardia nobile d’onore era un corpo militare sui generis, con mere funzioni di rappresentanza. Nel 1859, solo 9 guardie su 119 seguirono il sovrano.↩︎

  50. Besini 2015, p. 258.↩︎

  51. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Sárvár 20 giugno 1863, n. 62.↩︎

  52. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 11 agosto 1863, n. 100.↩︎

  53. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 18 agosto 1863, n. 107.↩︎

  54. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 18 agosto 1863, n. 107. Sulle precarie condizioni di molti ex militari estensi si veda Menziani 1988.↩︎

  55. Bayard 1881, pp. 244–252.↩︎

  56. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 15 febbraio 1863, n. 17.↩︎

  57. Dallari 1914, pp. 31–32.↩︎

  58. Bayard 1881, pp. 259–260; Besini 2015, p. 266.↩︎

  59. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 11 agosto 1863, n. 100, il testo prosegue con l’intenzione di Francesco V di beneficiare la vedova.↩︎

  60. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 2 agosto 1863, n. 92.↩︎

  61. Manfredi 2016; ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 15 febbraio 1863, n. 17 (da cui si trae la prima citazione); ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 23 febbraio 1863, n. 29 (da cui si traggono le altre citazioni).↩︎

  62. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 21 dicembre 1863, n. 199.↩︎

  63. Della Peruta 1996, p. 242.↩︎

  64. Valsecchi 1964, pp. 576–577, 587.↩︎

  65. Valsecchi 1964, pp. 587–588, 591–592, 613–615.↩︎

  66. Valsecchi 1964, p. 623. Similmente Fejtö 1990, p. 17.↩︎

  67. Valsecchi 1964, pp. 740, 744.↩︎

  68. Valsecchi 1964, pp. 812–814, la citazione è tratta da p. 814.↩︎

  69. Della Peruta 1996, pp. 212–213.↩︎

  70. Herre 1979, pp. 238–250.↩︎

  71. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 3 marzo 1863, n. 38.↩︎

  72. Manzini 1863, pp. 12–13, 36, 42; Bayard 1881, p. 191; Cassazione 1866; ASMo, Prefettura, fasc. carte sciolte, minuta del prefetto al Ministero dell’interno, Modena 26 agosto 1863, n. 155.↩︎

  73. Martone 1978.↩︎

  74. Cecchinato 2019.↩︎

  75. Mancini 2007 (da cui si trae la citazione); Albertario 1934.↩︎

  76. Fonzi 1984.↩︎

  77. Barbieri 1971, p. 334.↩︎

  78. ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 8 maggio 1864.↩︎

  79. Di argomento politico, usciva tre volte a settimana: Annuario 1864, p. 267.↩︎

  80. Bayard 1881, pp. 190–191.↩︎

  81. Polo Friz 2004, pp. 53–54.↩︎

  82. Di Vita 1990.↩︎

  83. La citazione, corsivi compresi, è tratta da Manzini 1863, pp. 14–15; il brano è pubblicato anche in Bayard 1881, p. 189.↩︎

  84. Manzini 1863, pp. 58–59.↩︎

  85. Bayard 1881, pp. 175.↩︎

  86. Bayard 1881, pp. 196–199 e 199–200 nota 1 (da cui si trae la citazione); Cassazione 1866.↩︎

  87. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 30 dicembre 1863, n. 208.↩︎

  88. ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 18 agosto 1865.↩︎

  89. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 15 agosto 1865, n. 98.↩︎

  90. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 20 luglio 1865, n. 80; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 21 luglio 1865; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 25 agosto 1865.↩︎

  91. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 28 maggio 1865, n. 76.↩︎

  92. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 5 settembre 1865, n. 104.↩︎

  93. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 3 gennaio 1864, n. 1.↩︎

  94. ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, appunto di Teodoro Bayard de Volo allegato a lettera del medesimo a Francesco V, Vienna 5 settembre 1866.↩︎

  95. ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 17 settembre 1866.↩︎

  96. ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 18 settembre 1866.↩︎

  97. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1866, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 21 settembre 1866, n. 22; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 7 agosto 1868.↩︎

  98. ASMo, Bayard, b. 115, fasc. Citazioni e memorie desunte principalmente da miei libri, opuscoli e stampe in ordine alla vita e ai fasti di SAR Francesco V Arciduca d’Austria d’Este, Duca di Modena, Reggio, Massa, Carrara, Guastalla ecc. ecc. ecc. e riportate in N° IV Epoche, lettera di Bartolomeo Veratti a Teodoro Bayard de Volo, Modena 5 gennaio 1881 e appunto “N° IV (pagine numerate 16, allegati n° 1)”, pp. 1, 3, 5.↩︎

  99. ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 6 aprile 1865.↩︎

  100. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 8 aprile 1865, n. 58.↩︎

  101. ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 5 marzo 1865, n. 15.↩︎

  102. Condanna 1866.↩︎

  103. Bayard 1881, pp. 190–191, nota 3.↩︎

  104. Polo Friz 1998**, p. 55.↩︎