Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2

ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK



Nel 1832 viene pubblicato a Modena un libro di rilevante interesse e novità, dal titolo Alcune notizie sull’Ungheria. Ne è autore il conte Luigi Forni che, come puntualizza, lo ha composto nel 1829 durante il soggiorno in terra magiara rielaborando le conoscenze acquisite in loco con i testi di noti studiosi. Nato a Modena nel 1806, all’epoca Forni è in possesso di una solida cultura maturata con la frequentazione del prestigioso Collegio dei Nobili e dell’Accademia Nobile Militare Estense. Come si evince dai numerosi suoi manoscritti conservati nell’archivio di famiglia (in deposito presso l’Archivio di Stato di Modena), era dotato di viva curiosità intellettuale e di acuto spirito di osservazione sugli aspetti geoantropologici- e socio-culturali delle località visitate, come dimostrerà anche nel ruolo di aiutante di campo nel corso dei viaggi con i duchi austro-estensi Francesco IV e Francesco V. Dal carteggio con i famigliari, specie con il fratello prediletto Giuseppe, si apprende che nel luglio 1827 il giovane conte avviato alla carriera militare si trasferisce a Pösing nei pressi di Presburgo. Da “cadetto dell’I. R. Reggimento Corazzieri del Principe Ferdinando n. 4”, due anni dopo viene promosso “tenente nell’I. R. Reggimento König von Bayern n. 2” di stanza a Grosskanisa. Nel corso dei successivi acquartieramenti tra cui Rosing-Zeil, Sankt Georgen, Draškovec, Großkanizsa, Forni ha modo di conoscere le plurime realtà del Regno Ungherese in gran parte per lui sorprendenti, in primis la coesistenza di più nazionalità, ciascuna con emblematiche peculiarità e tali da affascinarlo e da legarlo profondamente a questa terra. Ne è testimonianza eccellente il libro Alcune notizie sull’Ungheria, il cui contenuto di un centinaio di pagine, suddiviso in “Lettere” rivolte come è facile intuire al fratello, restituisce un accattivante affresco della terra magiara. Le sue descrizioni si soffermano sui villaggi e sui castelli delle signorie, percorrono brani di storia, il livello di cultura e istruzione, la viabilità e i prodotti del suolo, nonché abbigliamenti, divertimenti e superstizioni, per poi affrontare i temi dell’amministrazione politica, economica, giudiziaria ed ecclesiastica. Quasi vent’anni dopo, nel luglio 1845 Luigi Forni al seguito a Vienna del duca Francesco IV ottiene il permesso di assentarsi alcuni giorni per visitare Buda e Pest che non conosce ancora di persona. Naviga sul Danubio, annota in fogli sparsi e illustra nelle lettere alla moglie Misina ambedue le realtà urbane separate dal Danubio e alquanto dissimili, una sull’altura con testimonianze di regale antichità, l’altra vivacizzata dal recente progresso industriale. Con lo scoppio della rivoluzione del 1848 il lungo filo rosso che legava il conte Forni all’Ungheria si dipana ancora una volta con l’obiettivo di divulgarne ad ampio raggio le connotazioni storico-antropologiche. Come attestano i suoi numerosi manoscritti, compone l’importante saggio Delle popolazioni che abitano l’Ungheria e la Transilvania e si avvale del veicolo mediatico del periodico ducale “Il Messaggere”. Il saggio vi compare anonimo nell’“Appendice” per tre numeri, il 27 novembre, il 4 e l’11 dicembre 1848 ma, nonostante la scritta “continua” se ne perdono le tracce, forse per un autorevole intervento censorio determinato dalla precaria situazione politica.

“Certamente nella dimora da me fatta in queste parti non mi stetti pigro, né trascurai d’informarmi di tante cose che quivi mi vennero osservate…”. Con queste parole il conte Luigi Forni dà inizio al suo libro Alcune notizie sull’Ungheria redatto, come puntualizza, nel 1829 durante il suo soggiorno in terra magiara in qualità di giovane ufficiale dell’esercito austriaco ed edito a Modena nel 1832. Traspare da tale incipit una precoce vocazione, che andrà maturando nel corso degli anni, a cogliere con acuto spirito di osservazione alimentato da viva curiosità intellettuale gli aspetti geo-antropologici e socio-culturali dei luoghi visitati in occasione di numerosi viaggi, specie nel ruolo di aiutante di campo dei sovrani austro-estensi di Modena Francesco IV e Francesco V.1

Peraltro Luigi Forni (Luigi Forni Cervaroli) apparteneva a una casata di antica nobiltà, il cui titolo comitale risaliva all’imperatore Carlo V. Nato a Modena nel 1806 dal conte Paolo (1756–1838), uomo colto, insignito di varie onorificenze e incarichi di corte,2 era stato avviato insieme con il fratello Giuseppe, nato nel 1807, al percorso educativo presso il prestigioso Collegio dei Nobili e presso l’Accademia Nobile Militare Estense fondata con sovrano chirografo del 30 dicembre 1821. Tale istituto si inseriva nel vasto programma innovativo promosso dal sovrano con la finalità peculiare di riscattare dall’ozio i giovani aristocratici del Ducato “chiamati ad essere la difesa, ed il sostegno del Trono e della società e a cooperare col Sovrano a promuovere il bene comune”.3 Secondo il regolamento e i programmi di studio stabiliti dall’arciduca Massimiliano d’Austria-Este fratello di Francesco IV, oltre la disciplina militare, la “cavallerizza”, la scherma e il ballo, ne costituivano l’identità formativa gli studi di matematica, cosmografia, disegno e fortificazioni, fisica sperimentale, lingua e “belle lettere”. È in tale contesto pluridisciplinare, nel quale particolarmente significativi sono pure gli esercizi in lingua tedesca e ungherese,4 che si va attuando in Luigi la scelta della futura carriera che lo porterà a militare in primo luogo nell’Imperial Regio Esercito austriaco e in seguito, con adamantina fedeltà, a fianco dei sovrani austro-estensi. Giuseppe viene invece introdotto alla carriera diplomatica a Vienna e a Madrid, poi a ricoprire incarichi amministrativi a Massa fino alla nomina di ministro degli Affari Esteri del Ducato, carica che manterrà fino al 1859. Nel corso degli anni si consolidano strettamente i legami d’affetto tra i due fratelli, come evidenzia il cospicuo loro carteggio, nel quale peraltro si rispecchia buona parte delle vicende del Ducato austro-estense.

Al termine del triennio accademico, nel luglio 1827 Luigi parte da Modena con il benestare di Francesco IV, raggiunge Venezia, Trieste e da qui viaggia in vettura fino a Vienna e Presburgo.5 Già al primo approccio l’Ungheria gli appare tutta da scoprire, ben diversa dalle fantasie fanciullesche di “un luogo tutto pieno di soldati ove i nobili superbi e sdegnosi abitavano forti castelli […], un paese ove le uniche occupazioni degli abitanti erano il brandir l’armi e l’adoperare cavalli”.6 Ne coglie a mano a mano il fascino, tanto da essere sollecitato dal desiderio di conoscerla a fondo, fino a condensarne un esaustivo profilo nel suo libro, all’epoca autentica rarità nel Ducato austro-estense.7

Come si evince dalle lettere inviate ai famigliari, in particolare al padre e a Giuseppe, la prima importante tappa è Pösing8 nei pressi di Presburgo,9 nella cui scuola di equitazione il conte Forni “cadetto dell’Imperial Regio Reggimento Corazzieri del Principe Ereditario Ferdinando n. 4”10 milita fino a febbraio 1828. È consapevole di poter contare sulla protezione degli arciduchi d’Austria-Este fratelli di Francesco IV: riceve infatti una “grazia” (non altrimenti definita) da Ferdinando comandante in Ungheria della Cavalleria Ussari, mentre Massimiliano riferisce alla famiglia gli elogi per il suo “buon portamento militare”.11 Non solo, ma nell’estate del 1828 Giuseppe, che risiede a Vienna in qualità di addetto all’“Aulica Cancelleria”, dopo l’incontro con il fratello a Pösing fa sapere: “S. A. R il nostro Sovrano gli ha detto che si assicuri che non lo perderà di vista e vedrà di poterlo farlo avanzare di qualche buon grado”.12 Nel frattempo Luigi, che è stato trasferito nella cosiddetta “Divisione del Colonnello” va scoprendo località che gli svelano il volto autentico della terra magiara, tra cui oltre Pösing, Rosing-Zeil e Sankt Georgen.

L’attesa promozione si fa attendere, tuttavia già nei primi mesi del 1829 egli gode di una posizione privilegiata in quanto a Sankt Georgen è addetto alla Segreteria Militare, dove la sue “mansioni sono di scrivere un’oretta al giorno e di stare sbadigliando due ore la mattina, due ore dopo pranzo dallo Ajutante”.13 Finalmente, come scrive al padre, ha ottenuto la promozione a tenente di fanteria presso il reggimento Haugwitz n. 38 di stanza a Graz,14 però a breve giro ne riceve un’altra che gratifica pienamente le sue attese. Come comunica da Vienna al fratello: “Già ero in procinto di partire per Gratz allorchè arrivò l’ordine di essere fino dal 14 aprile Tenente nel I. R. Reggimento Bayern Dragoner”.15 E gli comunica il nuovo recapito: “Tenente nel I. R. Reggimento di Chönig von Bayern Dragoni n. 2 a Grosskaniza”.16 Tra l’estate e l’autunno ha modo di conoscere nuove località in cui soggiorna con il proprio plotone; tra queste Draškovec17 di cui traccia un disegnino a penna e Canissa. Inoltre, in quei giorni invia nelle lettere al padre e al fratello anche il disegno di una uniforme di ufficiale dei Dragoni del 2° Reggimento, la stessa che lui stesso indossa.18

Scrive inoltre: “Il mio tempo lo impiego coll’esercizio o colle scuole o colla mia gente, oppure leggendo e scrivendo sull’Ungheria”. E poco dopo: “Le mie occupazioni sono ora leggere e scrivere. Scrivo i miei souvenir de l’Angrie ove metto ciò che mi salta in testa. Per esempio ora descrivo un viaggetto che ho fatto al lago Platten,19 il primo dell’Ungheria, non che un quadro di naturale bellezza ed un alto silenzio regna nelle acque di esso”.20

In realtà, il conte Forni doveva aver iniziato già da tempo a leggere e a fare appunti sui vari aspetti della terra ungherese, in quanto difficilmente avrebbe potuto condensare in soli tre mesi, dall’ottobre al dicembre del 1829, la mole di lavoro presente nel suo libro. Tanto più ne convince l’annotazione che recita: “L’argomento di queste lettere scritte nel 1829 è tratto in gran parte dai Quadri dell’Ungheria di Giovanni Csaplovics stampati in tedesco a Pest nel 1829 in due volumi,21 dalla statistica dello Schwartner,22 dalla Storia dell’Ungheria di Sacy,23 da quella di casa d’Austria del Coxe,24 dalla statistica del barone Lichtenstern25 e da parecchi altri libri”.26 Peraltro all’inizio del 1830 viene trasferito con il suo plotone a Perlak in Croazia,27 grosso borgo, secondo le sue parole, nella “cosiddetta isola tra i fiumi Muhr e Drava”.28 A fine gennaio riceve la luttuosa notizia della morte del padre e fa ritorno a Modena.29 Riparte a metà maggio, sosta a Vienna dove incontra gli arciduchi Ferdinando e Massimiliano, poi raggiunge il suo reggimento.30 Trascorre l’estate con le truppe in un piccolo borgo assolato vicino al lago Balaton, fino al ritorno a Canissa in autunno.

Nel frattempo gli sono giunte notizie sulla rivoluzione a Parigi che lo impensieriscono molto, chiede invano il permesso di rientrare in Italia, medita anzi di dimettersi dall’esercito austriaco. Confida a Giuseppe, all’epoca ancora in Spagna ma desideroso anche lui di ritornare a Modena, che l’Austria ha mandato in Italia alcuni reggimenti, non sa se toccherà anche al suo; di recente, aggiunge, è stato mandato a perlustrare i confini militari dove sono allestite le truppe per l’occupazione della Bosnia.31 Ottiene infine da parte di Francesco IV l’autorizzazione a lasciare l’esercito austriaco: da Perlak, via Gorizia, raggiunge Modena il 30 novembre 1830 e si mette a disposizione del sovrano. Ha di qui inizio la sua carriera a fianco dei duchi austro-estensi: riceve la nomina di ciambellano e di maggiore del 2° Battaglione delle milizie volontarie estensi (1831), in seguito di tenente delle milizie attive e di aiutante di campo. Mantiene quest’ultimo ruolo anche con il duca Francesco V, che lo promuoverà generale maggiore (1856) con incarico all’Alta direzione della Real Casa e maggiordomo maggiore. Verrà inoltre decorato da varie prestigiose onorificenze.32

L’intenzione di pubblicare a breve al suo rientro a Modena, per i tipi Soliani, i manoscritti redatti in Ungheria dovette essere rinviata probabilmente a causa dell’insurrezione menottiana (1831) e della crisi politica del Ducato. Soltanto nell’estate dell’anno successivo Luigi Forni scrive al fratello Giuseppe che il libro Alcune notizie sull’Ungheria è terminato e gliene invia tre copie da dare anche agli amici.33 Riceve parecchi apprezzamenti, complici la duttilità e la freschezza espositiva cui si coniuga uno stile editoriale originale: la mancanza nel titolo di copertina del suo nome, rinvenibile soltanto alla fine del testo con le parole “Tutto vostro, C. Luigi Forni” e la suddivisione in dieci “Lettere” anziché in capitoli. Non solo, ma il contenuto si dilata ben oltre alcune notizie, restituendo un vasto affresco del profilo storico e geo-antropologico del regno ungherese, con indagini nel vissuto tra cultura e superstizione, tra abbigliamento e divertimenti, per poi concludere su temi di amministrazione economica, politica, finanziaria ed ecclesiastica, compresa una “Tabella” finale con i nomi di capoluoghi e dei comitati del regno, i confini militari e i singoli reggimenti.

Le “Lettere” sono indirizzate a un ignoto interlocutore, tuttavia facilmente ravvisabile con il fratello Giuseppe dato il tono confidenziale, talora scherzoso, e gli inviti a visitare queste terre dove le ragazze hanno un’“amabile semplicità che soavemente innamora”. Vi menziona pure le esperienze condivise nella fanciullezza, quando ambedue ammiravano le figure dei cavalieri ungheresi con il corto giubbetto stretto alla persona, la larga e curva sciabola e i lunghi mustacchi che ne ornavano con fierezza il viso rosso e acceso. E confida la sua immaginazione infantile che l’Ungheria fosse “un luogo tutto pieno di soldati ove i nobili superbi e disdegnosi abitavano forti castella […], un paese ove le uniche occupazioni degli abitanti erano il brandir l’armi e l’adoperare cavalli”.34 Afferma pertanto:

Vidi l’Ungheria: oh quanto era stato ingannato! Un popolo atto all’armi bensì, ma non rozzo e incolto: Nobili di un’alterezza dignitosa e quindi amichevoli e cordiali, che abitano ameni castelli, la maggior parte fabbricati in luoghi ubertosi e ridenti: un paesano che poco ha di che invidiare a’ suoi fratelli nell’Italia e nella Francia: un clima, il quale se non può paragonarsi con quello del bel paese, pure generalmente è salubre: una regione insomma che se non levasi tra le prime per civiltà e per scienze, nientemeno pregia e conosce abbastanza i costumi delle nazioni pù colte.35

Sottolinea in particolare la cordialità e l’ospitalità nei confronti del forestiero sia nei castelli dei nobili che nelle abitazioni cittadine, tuttavia ha constatato con sorpresa che non esiste un popolo solo di nome “ungherese”, bensì la presenza di varie nazionalità: “Sui confini del Regno verso l’Austria trovai una nazione detta Slovena, più oltre verso la Polonia trovai dei Tedeschi, nel mezzo del paese del Magiari, colà dei Croati, qua dei Valacchi: ognuno parlava la propria lingua, ognuno aveva le proprie abitudini”.36 E cerca di individuarne le cause mediante le complesse vicende storiche e alle invasioni cui fu soggetta questa terra.

Analizza poi nella “Lettera 2” la situazione contemporanea dell’Ungheria focalizzandone la suddivisione topografica in città, borghi e villaggi. Sulla scia delle fonti consultate, ricorre idealmente a quattro grandi circoli, due dei quali al di qua e al di là del Danubio e del Tibisco e colloca al loro interno 46 “contee” o “comitati”, 52 comprese la Slavonia e la Croazia, nonché 49 “regie città libere”. Come spiega successivamente, queste si andarono formando quando i re d’Ungheria chiamarono coloni in gran parte tedeschi chiamati Hospites, Cives, Homines liberi cui concessero prerogative e privilegi affinché lavorassero nelle miniere o coltivassero quei terreni. Ognuna di queste 49 città cinte da mura è considerata come un singolo gentiluomo, partecipa alle Diete e i suoi abitanti non possono essere arrestati per debiti; sono esenti dai dazi ma pagano le tasse e le decime e hanno l’obbligo di insorgere in caso di attacco.37

Luigi Forni si sofferma soprattutto sui borghi e villaggi che dice formati dalle case dei paesani qui raggruppate, con la chiesa, la locanda e botteghe, tuttavia alcuni di quelli che chiama villaggi contano anche tra gli otto e i diecimila abitanti e Csaba38 più di ventimila. Tra le povere casupole, piccole e basse con tetto acuminato coperto di paglia annerita dal tempo “…all’improvviso compare un ampio terreno di fronte al quale s’innalza maestosamente un palazzo, il castello della Signoria…”39 di cui Forni esalta l’ordine, la simmetria, la bellezza delle varie torrette sovrastate da cupole rivestite di rame, l’arma gentilizia sulla porta d’ingresso, nonché l’armonia degli edifici laterali.40 Ne descrive inoltre l’ampio cortile, le comode scale, gli ambienti arredati con gusto tra cui il salone, le stanze da gioco, la sala d’armi, quella con i ritratti dei nobili antenati e talvolta pure la biblioteca. Attiguo al castello si trova il giardino con le serre, il boschetto, le collinette, il laghetto, la piccola moschea, un patrimonio vegetale che dalla descrizione appare simile ai coevi giardini del Ducato austro-estense, ovviamente tranne la presenza della moschea. Ma, aggiunge, vi sono anche villaggi con povere abitazioni ad un unico piano fatte di pietre, sassi, legno e di terra mista a paglia.

Quanto alle città, osserva che quelle abitate dai magiari hanno contrade spaziose e belle case, mentre quelle dei tedeschi e degli sloveni sono meno “comode”. Cita in particolare la capitale Buda, “città di generosa ricordanza nella storia ungherese”, “seria e maestosa”, sede del palatino, dei principali ministeri e dell’imponente castello. Definisce la “poco distante rivale Pest” città commerciale e in gran fiore e Presburgo sede delle Diete e dell’incoronazione dei re.41 In realtà, Forni non ha ancora visitato di persona né Buda né Pest;42 lo farà, come vedremo, soltanto nel 1845 nel corso di una “gita” di tre-quattro giorni. Traccia inoltre ulteriori osservazioni sulla viabilità citando il detto “Cui si vuol male mandisi a girar l’Ungheria”. Vi riscontra infatti “strade disuguali, rotte da crepacci o traversate da fossati”,43 nonché la loro assenza nelle puszte. Tuttavia trova eccellenti quelle tra le principali città, ossia la “Carolina” e la “Giuseppina” rispettivamente costruite dagli imperatori d’Austria Carlo VI e Giuseppe II, cui si è aggiunta di recente (1812) la “Luigina” in onore dell’imperatrice Maria Luigia sorella di Francesco IV.44

Nella capillare analisi ambientale il conte Forni riserva un ulteriore capitolo sulla produzione agricola e mineraria.45 Elenca la coltivazione di grano e biada un po’ ovunque così come di cavoli, patate e cetrioli, di orzo e segala prevalentemente a nord, di miglio e grano turco nonché di meloni, cocomeri e zucche a sud, di tabacco, canapa e lino, mentre gli alberi da frutto sono coltivati soltanto nei giardini. Nomina tra le eccellenze il vino Tokaj e l’“amabile” di S. Giorgio, i cavalli delle “larghe puszte”, le pecore dalla folta lana e un “fabbrica del cotone” di proprietà dei negozianti Puthon di Vienna. Tra i prodotti minerari cita torba e carbon fossile, cave di marmo “opale”, di rame e ferro, nonché d’oro a Kremnitz46 e nei pressi di Pösing. A tale ricchezza però non corrisponde che un modesto sviluppo industriale, onde la carenza anche di un prospero commercio estero. Più fiorenti invece sono i lavori fabbrili tra cui la porcellana governati dagli “Statuti dell’Unione degli Artigiani”.

Più accattivante rispetto al tema precedente si presenta la successiva indagine sul livello culturale della popolazione peraltro più consona agli interessi di Forni. Avverte già nelle prime righe che un paese occupato da continue guerre non poté avere molto tempo da dedicare alla cultura. Tuttavia negli ultimi anni vi predomina lo studio della lingua magiara o ungherese, “la quale bella per sé, forte e virile, solo abbisogna di abili artefici che la sappiano all’uopo adoperare”,47 ma è abbastanza diffuso pure lo studio del latino, parlato correttamente dagli impiegati civili.48 Quanto agli artisti, nomina in primo luogo il famoso scultore Ferenczy49 allievo di Canova, gli incisori “Karatz”,50 “Csetter”,51 Falka,52 il presburghese Oeser direttore dell’Accademia delle Arti a Berlino53 e i compositori di musica Lavotta,54 “Czermak”,55 Spech.56 Traccia poi un dettagliato quadro sui livelli di istruzione delle giovani generazioni: per i cattolici esistono le scuole nazionali dove s’impara a leggere, scrivere e far di conto, le grammaticali della durata di quattro anni, le normali di sei anni, i ginnasi per lo studio di umanità e retorica, nonché cinque accademie con un corso biennale di filosofia. Inoltre sia i protestanti che i “riformati” hanno le loro scuole nazionali, vari ginnasi e grandi “collegi” a “Debreczin",57 "Saros-Patak”,58 “Papa”,59 mentre i greci scismatici hanno scuole miste, frequentate cioè da cattolici, protestanti, riformati e gli ebrei hanno le loro sinagoghe. L’unica università è a Pest, conta 49 professori e vi sono annessi l’osservatorio astronomico, una biblioteca con circa sessantamila volumi, un gabinetto di fisica, uno di storia naturale, la scuola di veterinaria, il giardino botanico, il seminario e una “stamperia”.

Alquanto interessante, a proposito del tema che Forni definisce “carattere morale della popolazione”, è la distinzione tra le diverse nazionalità dell’Ungheria, ciascuna con le proprie abitudini e “inclinazioni”. Osserva: “Il Tedesco conserva il suo carattere quieto ed il suo spirito ingegnoso; il Magiaro è vivace; le popolazioni slave sono più pacifiche, il Zingaro è irrequieto, l’Ebreo è dappertutto l’Ebreo”.60

Quanto alle fogge d’abbigliamento, Forni si sofferma anzitutto a descrivere quella tradizionale detta “all’ungherese” atta a risaltare la conformazione fisica, composta da un giubbetto (dolman) di panno nero orlato di cordoncini e bottoni di seta, calzoni pure di panno nero, stivaletti con speroni d’argento, copricapo e mantello di finissima pelliccia (kalpag) e una catenella d’argento sul petto. La dama ungherese indossa una cuffia di pizzo da cui scende un velo nero ricamato d’oro, la veste pure di pizzo con ampie maniche e con un grembiulino, una cintura di pietre preziose e un collier di perle. Tuttavia, aggiunge, gli abiti dei nobili ungheresi sono attualmente modellati sui figurini di Parigi e di Vienna, mentre i tedeschi restano fedeli alla loro moda nazionale.

Il successivo tema “Superstizioni, divertimenti, nozze, funerali” attinto come specifica Forni dalla fonte narrativa del barone di “Mednyanszki”,61 introduce nel vivo della quotidianità. Avverte che, nonostante “i notevoli progressi nella civilizzazione” permangono ben salde le credenze superstiziose non solo tra il “basso popolo”, ma anche nella classe medio-alta.62 Affrontando l’argomento streghe, afferma che ne esistevano in ogni villaggio, dove “il peso del corpo veniva considerato segno di stregoneria”: le vecchie imputate si immergevano insieme nell’acqua, quella che non affondava subito era la strega e veniva brutalmente bastonata. L’esistenza dei vampiri, cioè dei morti che escono dalle tombe e succhiano il sangue dei bambini e del gregge, è ancora tradizione tra i ruteni e i valacchi. Per renderli inoffensivi essi effettuano una serie di atrocità puntualmente riferite, ma sulle quali pare ora opportuno sorvolare. Elenca di seguito ulteriori superstizioni quotidiane come i giorni e le ore sconsigliate per un viaggio e alcuni presagi di disgrazia intuibili dai versi degli animali o dai momenti in cui scoppia il raffreddore, per giungere alle nascite in fase di Luna crescente o calante.

Tra i divertimenti elenca le feste popolari in occasione della vendemmia e delle cacce, quelle degli studenti in maggio dette majales e il ballo nelle osterie nei pomeriggi festivi. Con le nozze tra il “basso popolo”, le feste durano due o tre giorni nei quali si mangia, si beve, si salta, si gira su e giù per il villaggio preceduti dal suono di un violino e di una piva. Se gli sposi appartengono a villaggi diversi, i parenti arrivano su carri ornati di più colori, tra lo sparo di fucili e mortaretti. Quanto ai funerali, vi sono usanze diverse, ma solo la “gente bassa” si lamenta e grida ad alta voce.

Su tutt’altro clima vertono invece i temi delle ultime quattro “Lettere”63 meritevoli peraltro di approfondimento, tuttavia in questo contesto per economia espositiva ci si limita soltanto ad una brevissima presentazione. Riguardo la costituzione, Forni si sofferma a illustrare le pertinenze negli “Stati del Regno” di clero, baroni, conti, gentiluomini, regie città libere, plebe. Il re, che appartiene alla casa d’Austria, viene incoronato a Presburgo con la corona di Santo Stefano nel corso di una solenne cerimonia e giura fedeltà alla costituzione. La dieta, convocata in genere ogni tre anni, è composta da circa 800 uomini riuniti in due camere: la “tavola dei magnati” formata da vescovi, conti, baroni e la “tavola degli stati” formata prima di tutto dai rappresentanti delle contee e delle regie città libere. Alla rassegna storica che dal re Santo Stefano giunge all’attualità, seguono vari settori amministrativi tra cui quello politico, finanziario, ecclesiastico e quello giudiziario con la descrizione delle varie pene fino alla gogna praticata in ogni villaggio.

Come si è detto, soltanto nel 1845 il conte Forni visita di persona Buda e Pest: “Sono stato cinque anni in Ungheria e non ho visto la capitale!” scrive a Giuseppe.64 In luglio è a Vienna al seguito di Francesco IV che gli concede di assentarsi alcuni giorni per raggiungere la meta che gli sta a cuore. Nel corso di questa “gita” come la chiama Forni stesso, non manca di scrivere come al solito appunti e impressioni sulle due realtà urbane separate dal Danubio e alquanto diverse tra loro.65 Al contempo invia lettere alla moglie marchesa Misina Cambiaso nelle quali illustra quanto ha visto e ammirato:66 arriva a Pest la sera del 23 luglio dopo un felice viaggio in vapore sul Danubio, durante il quale ha potuto ammirare da lontano l’antica fortezza di Comorn67 mai espugnata dai turchi, per cui si vede in essa la statua di una giovane con alloro in mano. Aggiunge che a Gran68 s’innalza sul Danubio e fa da lontano una bellissima mostra di sé la cattedrale ornata di statue, già sede dell’arcivescovo primate d’Ungheria Carlo Ambrogio d’Austria Este fratello di Francesco IV. A Pest osserva in primo luogo che per raggiungere Buda si deve attraversare un ponte di barche sul Danubio, ma che è in atto la costruzione di un ponte a catena sospeso di cui hanno già eretto tre pilastri, un’operazione gigantesca che comporta la spesa complessiva di quattro milioni di fiorini. Visita il “Museo delle antichità romane e ungheresi” e tra i reperti di età romana elenca vasi fittili, “alcuni detti di Arezzo” cioè i vasellami raffinati cosiddetti “sigillate aretine” dalla vernice rossa e con motivi ornamentali in leggero rilievo, nonché mattoni con il bollo dei fornaciai. Pare però più interessato alle rarità ungheresi, tipo una sella d’avorio ricca di ornati appartenuta forse al re Lodovico e un’altra sella turca con gualdrappa tessuta in oro, regalata da un pascià in seguito alla liberazione dalla prigionia della figlia. Negli appunti aggiunge che sono qui conservate pure “armi antiche e celebri per qualche ricordanza”, collezioni di storia naturale e di minerali, fossili, vetri, porcellane. A Pest è inoltre iniziata la costruzione, sebbene soltanto nella parte iniziale, della ferrovia per Gran e per Debrecen.

Il pomeriggio stesso percorre l’itinerario verso l’altura suggestiva su cui sorge Buda. Vi osserva che la sua chiesa più antica dedicata all’“Assunzione” durante la dominazione turca venne trasformata in moschea e che vi sopravvive ancora un “bagno alla turca”. Altra meta è il “Museo Nazionale” la cui architettura ancora da completare “… è bella e vasta, con un atrio, una bella sala rotonda”, però custodisce al momento soltanto la raccolta di quadri donati dall’arcivescovo “Pilker”,69 parte dei quali acquistati in Italia. Altro appuntamento imperdibile è il “castello reale”, di cui però si limita a dire che negli appartamenti si susseguono ritratti di antenati e una stanza decorata “alla chinese”. Cita inoltre l’attigua chiesa con la cappella di S. Andrea e l’osservatorio astronomico dal quale si gode un’ampia vista panoramica sui dintorni.

Il giorno successivo è di nuovo dedicato all’esplorazione delle attività industriali di Pest, ma anche della biblioteca dei frati francescani ricca di oltre sessantamila volumi. Forni visita in particolare un mulino a vapore e una fabbrica di “ferro fuso” ambedue di proprietà di azionisti. È poi la volta dell’“Istituto dei ciechi” che raccoglie una trentina di ragazzi e ragazze e dove, come spiega alla moglie: “Vidi i loro lavori, che per lo più lavorano di Falegnameria, studiano la musica […] e leggono con lettere rilevate”.70 La sera stessa si reca nel “Teatro ungherese” di recente costruzione che dice bello, grandioso ma dall’interno assai semplice. Vi si rappresentava l’opera Lucrezia Borgia di Donizetti, dove la celebre primadonna Alboni71 “cantava assai bene le sue arie in italiano” e riceveva calorosi applausi.72 Quanto all’ultimo giorno di permanenza prima del ritorno a Vienna, il racconto di Luigi Forni è alquanto sobrio, poiché si limita a descrivere brevemente le passeggiate nel parco “Horwath” di Buda,73 frequentato nei giorni festivi da molti cittadini a piedi e in carrozza.

Il lungo filo rosso che lo legava all’Ungheria si dipana ancora una volta nel 1848 in seguito alle insurrezioni che travolgevano mezza Europa, in particolare, nel nostro caso, l’Impero Asburgico. Le rivendicazioni tra l’altro del popolo magiaro di maggiore autonomia e di ampliamento dei diritti di voto lo stimolano a riproporne il profilo storico-culturale sulla scia del suo libro di una ventina d’anni prima. Redige pertanto un lungo articolo che intitola Delle popolazioni che abitano l’Ungheria e la Transilvania e per assicurarne la divulgazione ricorre al veicolo mediatico del periodico ducale “Il Messaggere. Foglio di Modena” diretto all’epoca da Filippo Palmieri, che gli riserva il settore della “Appendice”. Forni vi si impegna a fondo, come attestano i numerosi manoscritti, alcuni dei quali in più copie, conservati nell’archivio di famiglia.74 La prima parte dell’articolo viene pubblicata il 27 novembre 1848 e continua nei numeri successivi del 4 e dell’11 dicembre, ma nonostante la scritta “continua” s’interrompe senza alcuna spiegazione e senza recare il nome dell’autore che, secondo la prassi, avrebbe dovuto comparire alla conclusione.

Non è dato saperne la ragione, si può forse ipotizzare un intervento da parte di Francesco V, visto che la rivolta magiara capeggiata da Lajos Kossuth75 e venata di acceso nazionalismo si sta trasformando in aperto conflitto contro l’Austria, conflitto concluso, com’è noto, con la vittoria dell’Impero Asburgico.

Il che non sembra sminuire in Luigi Forni l’apprezzamento nei confronti del popolo ungherese. Lo accerta un suo manoscritto datato 2 ottobre 1849, nel quale riflette sulla situazione: “In questi momenti il giovane Imperatore76 trovasi al possesso di tutti gli Stati formanti la monarchia austriaca. Sarà un possesso pacifico? Gli elementi del dissertare esistono, ma sento da tutti che nella Ungheria vi è molto meno male di quello si crede. Non mi farebbe caso se in una occasione l’Ungheria fosse quella che sostenesse la monarchia austriaca. Gli ungheresi sono popolo cavalleresco e leale e la loro storia dimostra che possono passare da un’idea ad un’altra seguendo essi gli impulsi dati da chi sia capace di guadagnare il loro animo”.77


  1. Lo attestano i suoi manoscritti e le lettere inviate ai famigliari conservate presso l’Archivio di Stato di Modena (ASMo), fondo Archivio Forni (Ar. Forni), tra cui i diari odeporici di particolare interesse per la dovizia descrittiva. Si veda in merito: L. Righi Guerzoni, In viaggio con il duca di Modena Francesco V a Vienna per il matrimonio dell’imperatore Francesco Giuseppe, a Praga, Dresda, Monaco, in Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere, Arti di Modena, s. IX, vol. II, fasc. I (2018), pp. 227–242; L. Righi Guerzoni, Il duca di Modena Francesco V alla scoperta delle bellezze paesaggistiche della Svizzerae sue riflessioni sul governo confederale, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per el Antiche Provincie Modenesi, s. XI, pp. 177–184.↩︎

  2. Dal primo matrimonio del conte Paolo Forni con la contessa Carlotta Lopez Amor de Soria erano nati Lodovico (1789–1865) e Giovanni Battista (1793–1852). Luigi e Giuseppe erano nati dal secondo matrimonio con la marchesa Anna Molza, deceduta prematuramente nel 1824. Si veda il testo redatto su basi documentarie di F. Ceretti, Sul Conte Giuseppe Forni ultimo Ministro degli Affari Esteri del Ducato di Modena, Modena 1894.↩︎

  3. Il testo del chirografo ducale è pubblicato in G. Canevazzi, La Scuola Militare di Modena (1756–1915), Modena 1920, vol. II, pp. 2–3. Tra i contributi più recenti sull’Accademia Nobile Militare Estense: A. Menziani, Il servizio della Guardia Nobile d’onore di Modena dal 1814 al 1829, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, s. XI, vol. VI (1984), pp. 319–327; E. Frascaroli, La scuola dei Cadetti Matematici Pionieri, in Quaderni dell’Archivio Storico, VIII, Modena 1998, pp. 17–20; L. Righi Guerzoni, L’arciduca Massimiliano d’Austria d’Este e la sua operosità culturale nel Ducato di Modena, in Mutina splendidissima. La città romana e la sua eredità, a cura di L. Malnati, S. Pellegrini, F. Piccinini, C. Stefani, Roma 2018, pp. 559–561. Il giovane Forni già nel corso degli studi aveva avviato numerose ricerche di storia locale, tra cui l’urbanistica e la Zecca di Modena, attingendo da fonti accreditate tra cui Lodovico Antonio Muratori (ASMo, Ar. Forni, A 27). È inoltre noto che negli anni Quaranta si contraddistinguerà tra i protagonisti delle indagini su Mutina e quale ideatore della “Società Archeologica” per il finanziamento degli scavi, i cui esiti pubblicherà nell’importante volume corredato da mappe: Luigi Forni, Relazione degli scavi eseguiti a Modena nel 1844–1845, Modena 1852, nonché quale autore insieme a Cesare Campori di Modena a tre epoche, Modena 1844. La sua attività nel settore archeologico è stata illustrata di recente in Mutina splendidissima cit., in particolare nei contributi di S. Pellegrini, Le terme di Mutina, pp. 95–96; C. Zanasi, Nuovi dati sulla Società Archeologica, pp. 599–606. Per un ulteriore contributo in merito: L. Righi Guerzoni, “Per la grandezza e la gloria della nostra città”. Celestino Cavedoni e lo studio delle antichità a Modena nel primo Ottocento in Il contributo della Deputazione di Storia Patria alla storiografia di Mutina e del suo territorio nel 2.200° anno della fondazione della colonia romana, a cura di M. Calzolari e D. Labate, Modena, Aedes Muratoriana, 2021.↩︎

  4. ASMo, Ar. Forni, C 16. Sulla sua biografia: Sua Eccellenza il Conte Luigi Forni Cervaroli, Cenno cronologico, in Il Diritto Cattolico, X (1877), n.108, 15 maggio 1877; Necrologia. Conte Luigi Forni Cervaroli (1806–1877), in Opuscoli Religiosi, Letterari e Morali, s. IV, t. II, Modena 1877, pp. 80–88; Cenno necrologico, in Biblioteca Estense Universitaria di Modena, Miscellanea Dondi, A 291; Conte Luigi Forni, in T. Bayard de Volo, Vita di Francesco V Duca di Modena (1819–1875), t. IV, Modena 1885, pp. 398–402.↩︎

  5. ASMo, A. Forni, C 3, 17 luglio 1827, Lettera di Luigi al padre, nella quale scrive a proposito di Trieste: “Tutto è vita, tutto è commercio”.↩︎

  6. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 2.↩︎

  7. Ibid.↩︎

  8. Oggi: Pezinok/Bazin/Bösing (Slovacchia).↩︎

  9. Oggi: Bratislava/Pozsony/Pressburg (Slovacchia).↩︎

  10. Niederösterreichisches Kürassier-Regiment “Erzherzog Ferdinand” Nr. 4, di stanza a Sväty Jur/Szentgyörgy/Sankt Georgen (Slovacchia), vicino a Pezinok. Vedi: Militär-schematismus des österreichischen Kaiserthums, Wien, 1828, p. 274.↩︎

  11. ASMo, Ar. Forni, C 68; 3 novembre 1827, Lettere di Luigi al padre in C 3, 27 novembre 1827 e 8 gennaio 1828.↩︎

  12. ASMo, Ar. Forni, C 3, Lettere di Giuseppe Forni al padre, 19 agosto e 25 ottobre 1828.↩︎

  13. ASMo, Ar. Forni, C 4, Lettera di Luigi a Giuseppe, 23 febbraio 1829 nella quale afferma che dispone di un’ottima abitazione, con una bellissima camera arredata con specchi e mobili moderni dorati e dalla quale si gode di un’ampia vista sulla pianura e sui monti, nonché di una camera per il suo “servitore”.↩︎

  14. Lombardisches Infanterie-Regiment “Graf Eugen Haugwitz” Nr. 38.↩︎

  15. Ober- und Niederösterreichisches Dragoner-Regiment “König Ludwig von Baiern” Nr. 2, di stanza a Nagykanizsa/Großkanizsa/Canissa (Ungheria). Vedi: Militär-schematismus des österreichischen Kaiserthums, Wien, 1830, p. 283.↩︎

  16. ASMo, Ar. Forni, C 3, Modena 5 giugno 1829 e C 4, Vienna 3 luglio 1829. Oltre i famigliari, Forni informa della promozione il duca Francesco IV, che gli trasmette il suo compiacimento.↩︎

  17. Oggi: Draškovec/Ligetvár (Croazia).↩︎

  18. ASMo, Ar. Forni, C 4, 21 luglio, 27 agosto, 22 settembre 1829.↩︎

  19. Balaton/Plattensee (Ungheria).↩︎

  20. Ibid., C 4, 2 e 25 ottobre 1829.↩︎

  21. J. Csaplovics, Gemälde von Ungern, Pest, Hartleben, 1829.↩︎

  22. M. Schwartner, Statistik des Königreichs Ungern, Ofen, 1809–1811.↩︎

  23. C. L. M. de Sacy, Histoire génerale de Hongrie, depuis la première invasion de Huns, jusq’à nos jours, Paris, Demonville, 1778.↩︎

  24. W. Coxe, Histoire de la maison d’Autriche, depuis Rodolphe de Hapsbourg, jusqu’a a la mort de Léopold II. (1218–1792), Paris, Nicolle, 1809.↩︎

  25. J. M. von Lichtenstern, Statistisch-geografische Beschreibung des Erzherzogthums Oestreich unter der Ens, Wien-Leipzig, Kleinmaier, 1791.↩︎

  26. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 65.↩︎

  27. Oggi: Perlog/Perlak (Croazia).↩︎

  28. L’“isola” è praticamente la regione del Međimurje/Muraköz tra i fiumi Mura e Drava (Croazia).↩︎

  29. ASMo, Ar. Forni, C 69, 12 febbraio 1830, Lettera al fratello maggiore Lodovico, subentrato al padre nell’amministrazione del patrimonio avito nonostante un grave problema alla vista.↩︎

  30. In omaggio ai commilitoni Luigi si fa inviare da Modena una cassetta contenente bottiglie di aceto balsamico, certo di offrire una prelibatezza. Più che dai commilitoni, il dono riscuote molto successo da parte del colonnello del reggimento, che lo invita a pranzo (ASMo, Ar. Forni, Lettera di Luigi al fratello maggiore Lodovico, C 68, 26 giugno 1830).↩︎

  31. Ibid., 4 settembre 1830. Giuseppe scrive da Madrid il 16 dicembre 1830 allo zio Giuseppe Molza ministro degli Affari Esteri del Ducato: “La risoluzione presa da Luigino di abbandonare il servizio Austriaco non mi è giunta nuova, anzi me ne aveva fatto cenno nelle sue lettere e spero che Francesco IV acconsenta a tale decisione” (F. Ceretti, Sul Conte Giuseppe cit., p. 206, n. 256).↩︎

  32. Se ne vedano i testi biografici in nota 4.↩︎

  33. ASMo, Ar. Forni, C 5, 30 luglio e 31 agosto 1832.↩︎

  34. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1832, p.77.↩︎

  35. Ibid., p. 2.↩︎

  36. Ibid., pp. 3–4.↩︎

  37. Ibid., p. 75.↩︎

  38. Probabilmente oggi: Békéscsaba (Ungheria).↩︎

  39. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 166.↩︎

  40. Ibid., pp. 13–14.↩︎

  41. Ibid., pp. 16–17.↩︎

  42. Le due maggiori città che unite insieme ad Óbuda nel 1873 costituiscono oggi Budapest, la capitale dell’Ungheria. Buda è situata alla riva occidentale del Danubio, Pest a quella orientale.↩︎

  43. Ibid., p. 17.↩︎

  44. Ibid., Lettera 5.↩︎

  45. Ibid., Lettera 3, pp. 19–27.↩︎

  46. Oggi: Kremnica/Körmöcbánya/Kremnitz (Slovacchia).↩︎

  47. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, p. 172.↩︎

  48. Ibid., Lettera 4, p. 28. Nella corrispondente nota Forni afferma che vengono pubblicati in lingua ungherese quattro giornali letterari e due gazzette.↩︎

  49. István Ferenczy (1792–1856).↩︎

  50. Ferenc Karacs (1770–1838).↩︎

  51. Sámuel Czetter (1765–dopo del 1829).↩︎

  52. Sámuel Falka (1766–1826).↩︎

  53. Adam Friedrich Oeser (1717–1799).↩︎

  54. János Lavotta (1764–1820).↩︎

  55. Antal Csermák (circa 1774–1822).↩︎

  56. János Spech (1767–1836).↩︎

  57. Debrecen (Ungheria).↩︎

  58. Sárospatak (Ungheria).↩︎

  59. Pápa (Ungheria).↩︎

  60. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, Lettera 4, p. 32. Aggiunge: “Succede una lite, il Tedesco alza la voce e minaccia, il Croato manda imprecazioni e bestemmie, gli Slavi menano pugni e schiaffi, i Magiari si bastonano a morte, gli Zingari si graffiano la faccia, il Valacco ammazza, l’Ebreo grida e scappa” (ibid., p. 34).↩︎

  61. A. Mednyánszky, Erzählungen. Sagen und Legenden aus Ungarns Vorzeit, Pest, Hartleben, 1829.↩︎

  62. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, Lettera 6, p. 41.↩︎

  63. Ibid., Lettera 7: “Costituzione ungherese. Il Re, gli Stati del Regno. Il paesano”; Lettera 8: “La Dieta. Incoronazione del Re e della Regina”; Lettera 9: “Amministrazione politica, giudiziale, criminale ed ecclesiastica. Sicurezza interna del paese”; Lettera 10: “Finanza. Forza”. Seguono “Comitati, loro Capoluoghi, Popolazione città ecc.”; “Reggimenti che somministra l’Ungheria”; “Serie cronologica di Re d’Ungheria”.↩︎

  64. ASMo, Ar. Forni, C 69, Vienna 18 luglio 1845.↩︎

  65. Ibid., A 19, “Gita a Vienna e Pest. Luglio e Agosto 1845”.↩︎

  66. Ibid., C 69, Pest, 25–28 luglio 1845.↩︎

  67. Oggi: Komárom (Ungheria) e Komárno/Révkomárom (Slovacchia).↩︎

  68. Oggi: Esztergom/Strigonio (Ungheria).↩︎

  69. János László Pyrker (1772–1847, arcivescovo di Eger 1826–1847).↩︎

  70. Ibid., C 69, Pest, 27 luglio 1845. Forni vi acquista alcuni piccoli manufatti tra cui una caffettiera e un bicchierino di legno.↩︎

  71. Maria Anna Marzia (detta Marietta) Alboni (1826–1894).↩︎

  72. Com’è noto, Marietta Alboni era all’epoca una delle più famose cantanti liriche, richiesta e omaggiata in tutti i teatri europei. In quei giorni era reduce dalla stagione 1844–1845 di San Pietroburgo.↩︎

  73. Horváth-kert, parco sotto il castello di Buda.↩︎

  74. ASMo, Ar. Forni, A 16. Vi sono comprese pure più copie a stampa, in fogli slegati, di questo suo lavoro destinate probabilmente a comporre un libro, rimasto incompleto al pari degli articoli sul “Messaggere”.↩︎

  75. Lajos Kossuth (1802–1894).↩︎

  76. Francesco Giuseppe I d’Austria (1830–1916, imperatore d’Austria e re d’Ungheria 1848–1916).↩︎

  77. Ibid., “Norme generali per manovre campali”, Ebenzweier, 2 ottobre 1849.↩︎