Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2

ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK



Se dovessimo limitarci ad elencare i quindici codici già di Mattia Corvino e oggi conservati in Biblioteca Estense, ci troveremmo di fronte ad un lavoro arido che rischierebbe di ripetere cose già scritte e sapute. È necessario partire da più lontano, cioè dai rapporti non casuali, ma importanti e dagli stretti legami esistenti tra lo stato estense ai tempi di Ercole I, e ancor prima di Borso, e il regno ungherese di Mattia Hunyadi detto Corvino. Va aggiunto che, se il sovrano ungherese costituì quell’unicum che era la sua biblioteca, questo deve in piccola parte attribuirsi anche alle sollecitazioni culturali e agli esempi provenienti proprio da Casa d’Este. Tralascio le figure di Giano Pannonio e di Andrea Pannonio, l’anima della rappresentanza ungherese in Italia, per accennare alle documentazioni dirette, conservate in Archivio di Stato, e a quelle sollecitazioni che Mattia, e ancor prima di lui Ladislao V, poterono trarre dagli Este in campo culturale e librario.

È proprio ascrivibile a lui la testimonianza precoce della bibliofilia e delle aspirazioni umanistiche che si volevano importare a Buda. Il re infatti, in due diversi momenti, nel 1452 e nel 1457, rivolge a Borso d’Este richieste riferentisi, una in particolare, a cultura, storia e libri.1 In questa chiede espressamente in prestito dalla biblioteca del duca opere sulla storia dei romani e degli antichi principi per poterli studiare e fare trascrivere. Se da un lato questo conferma quanto la fama del contesto culturale estense fosse ben nota a livello europeo e quanto ricche fossero le collezioni di cui Ladislao conosceva la rigogliosa abbondanza, dall’altro getta luce sulla volontà di cominciare ad adeguare decorosamente e signorilmente la corte e la reale biblioteca di Buda. Nelle sue parole registriamo infatti la precisa volontà di volersi accostare agli antichi, traendo dalle loro gesta e dalle loro imprese un esempio perenne di virtù, di costumi, di buon governo e di valore; inoltra pertanto la sua richiesta, di cui si stralcia un breve ma indicativo lacerto: “[…] requirimus et rogamus Serenitatem Vestram ut ad complenda vota […] librum aliquem vel libros, unum aut duos qui vetera romanorum seu aliorum principum egregia et virtuosa gesta aut alia antiquorum studia solidius et gravius exprimunt et qui apud nos legi digni sunt quorum uberem copiam in archivis dominii vestri ferrariensis aggregatam intelleximus, nobis, pro vestra erga nos benevolentia, per hunc oratorem nostrum mittere velitis…”.2

Se Ladislao si era limitato alla trascrizione di alcuni testi sulla storia antica, collocandosi comunque direttamente nel solco dell’umanesimo dei principi italiani ed europei, Mattia va ben oltre, decidendo di allestire un’opera mirabile, da ricordare nei secoli e da stupire il mondo.3 Egli gode nel sentirsi lodato non solo per le gesta militari, ma per la cultura e, nei rapporti con i parenti ferraresi, si sente largamente una volontà emulativa. A Ferrara vengono richieste, ancor più dopo l’insediamento di Ippolito a Strigonia, figure professionali specifiche: medici, astrologi, artisti, ma anche setayoli, musici e quant’altro.4 Addirittura apprezzatissimi i generi alimentari, i formaggi e le cipolle conservate in barattolo.5 Ercole manda al cognato il suo astrologo personale Antonio Arquato.6 Una corte, dunque, decisa a plasmarsi sull’esempio dei modelli italiani. Per i libri, in parte li fa trascrivere da copisti e miniatori locali, guidati sovente da un esperto venuto da fuori, dall’Italia soprattutto, mentre alcuni tra i più prestigiosi e finemente miniati vengono commissionati direttamente presso le scuole fiorentine, in primis quella di Attavante e dei suoi collaboratori. Abbiamo notizie certe della veicolazione di diversi codici importanti, chiesti ed ottenuti per essere copiati, da corti italiane. Dalla Milano degli Sforza giunge un Vitruvio Milanese, forse lo stesso posseduto secondo alcuni dal Filarete e mai più restituito, oggi alla biblioteca Széchényi,7 e a Napoli risultano fatte altre richieste di libri. Quelli provenienti da Roma sono procacciati da Giano Pannonio, altri da tutt’Europa vengono ottenuti tramite Taddeo Ugoleto e altri infine sono donati dai Malatesta di Rimini.8 Una testimonianza singolare ci viene dalla filze dell’archivio di stato Amministrazione della Casa Biblioteca, Filza 1, Fasc.20. Il 25 gennaio 1510 il miniatore Sigismondo de’ Sigismondi scrive al Duca Ercole II, supplicandolo (“Mi getto a li piedi di V. S.”) di essere assunto per la stesura di codici e, come referenza, afferma di aver lavorato per molto tempo a Firenze come scrittore di Lorenzo de’ Medici e del re Mattia. A conferma di quanto sopra riferito.9

Mattia non è solo cognato di Ercole I dato che la sua seconda moglie, Beatrice d’Aragona,10 è sorella della sposa dell’Estense, Eleonora, ma anche un suo munifico benefattore: ha consegnato il ricco cardinalato magiaro di Strigonia prima al cognato Giovanni d’Aragona, poi al giovanissimo nipote Ippolito, figlio di Ercole e di Eleonora. I due principati con cui è dunque imparentato, quello di Ferrara e quello di Napoli, sono animati entrambi da una fervida attività artistica e culturale. Gli manca solo un blasone. Se Mattia, eroe cristiano e dotto umanista, non ha sangue blu da esibire, storici italiani, Antonio Bonfini in primis, accettano senza farsi pregare di confezionargli un’ascendenza pari a quella del cognato: sarà proprio Ercole, il mitico eroe che compare nell’albero gentilizio estense ad essere ugualmente invocato come capostipite Hunyadi. Saranno in seguito la gens Valeria e i Corvini, a Roma nobilissimi e valorosi, a figurare nell’ascendenza latina degli stessi Hunyadi.11 Il gioco è presto fatto e i due sovrani cognati sono collocati sullo stesso piano. Il nobilissimo lignaggio è stato fornito, manca il contesto: la biblioteca ne diventa una componente fondamentale, specchio del prestigio, della grandiosità e del potere.

Venendo ai corvini oggi in estense essi sono nel numero di 15, ridotti così a più riprese e dopo alterne vicende dagli originari 17. E’ ormai accettato che l’acquisto dei pezzi venne fatto dal duca Alfonso II d’Este, noto bibliofilo, e desideroso di arricchire la biblioteca. Durante il suo governo infatti i suoi emissari, soprattutto da Venezia (Girolamo Falletti), ma anche da Firenze e dal resto d’Italia colmarono molte lacune nelle collezioni della casa. Voglio ricordare ad esempio il Corpus lullianum in molti volumi manoscritti, commissionato a Venezia appunto da Alfonso per colmare le mancanze nelle sue raccolte con questo importante corpus di scritti teologici, filosofici, mistici e alchemici.

Prendendo a segnale il numero progressivo dell’inventariazione dei corvini estensi, ben 14 dei 15 si collocano entro un medesimo arco temporale, sono i latini 391, 419, 425, 432, 435, 436, 437, 439, 441, 447, 448, 449, 458, 472. Il quindicesimo, il Lat. 1039 appartiene ad un momento successivo e porta nel risguardo anteriore le scritte “Sancti Petri Mutinae” e “Ad usum P. D. Benedicti Bacchinii Cassinensis”. La provenienza riferisce dunque il passaggio alla biblioteca ducale dopo la soppressione degli Ordini religiosi a fine Settecento, ma non risponde al legittimo dubbio sulla sua reale provenienza. Pare molto difficile ipotizzare che l’opera sia stata acquistata dai benedettini all’epoca della dispersione dei corviniani, mentre è certamente plausibile il suo acquisto, insieme agli altri, da parte del Duca. Durante la direzione estense di Padre Bacchini (1697-1698) è possibile che il codice gli sia stato consegnato in uso, quindi considerato una sorta di usucapione, senza poi mai venire restituito se non al momento delle soppressioni. Il contenuto di questo codice, le opere dello Pseudo Dionigi Areopagita, suffraga l’interesse per la materia religiosa da parte dei monaci.12 Il codice porta ancora la legatura originale, proprio perché non era alla Libraria Ducale nella fase tiraboschiana, questo ne ha salvato l’integrità, di fronte alle legature che Girolamo Tiraboschi fece eseguire su tutto il resto del lotto.13 Piccarda Quilici ascrisse questa coperta sontuosa ad una manifattura ungherese, per alcuni caratteri orientaleggianti e lontani dal gusto italiano. Porta le armi reali ed era dotata di bandelle che reggevano i fermagli di chiusura del codice, di cui restano oggi solo le impronte.

Un sedicesimo testo che rinvia a Buda è il Latino 429,14 contenente le Vite di Plutarco. Oltre alla contiguità nel numero d’inventariazione, suggestivo della comune appartenenza, il codice riporta le armi di Beatrice d’Aragona e si colloca, dal punto di vista artistico, entro i moduli miniaturistici fiorentini. Proprio la sposa italiana di Mattia potrebbe averla commissionata a Firenze per collocarla nella grandiosa biblioteca del marito, ma con un orgoglioso riferimento alla sua personale, nobile stirpe. Del resto in un altro caso dei corvini estensi troviamo le armi fuse degli Aragona e degli Hunyadi.

Un indizio che ci suggerisce l’epoca dell’acquisto da parte degli Este è l’inedito inventario dei libri di Alfonso II, conservato in Archivio di Stato. Sappiamo che è stato compilato nel 1552 e formulato in modo estremamente sommario, con indicazioni relative al valore estrinseco dei pezzi (coperte, fibbie, miniature), ma senza riferimenti intrinseci come il nome completo degli autori, i titoli, i contenuti, le datazioni. Pur con queste limitazioni, è assolutamente da escludere che vi siano elencati i codici di Mattia, segno questo che l’arricchimento della biblioteca ducale è avvenuto successivamente, nella seconda metà del Cinquecento. Un secolo più tardi, in pieno Seicento, nel mastodontico catalogo-rubrica conservato in Archivio di Stato, figurano voci che possono riferirsi ai corvini, in particolare il Valturio, manoscritto che in Biblioteca Estense esiste in una sola copia.15 La redazione del catalogo è certamente prebacchiniana in quanto sono mescolate opere a stampa e manoscritte.16 Per la mancanza di descrizione specifica per le altre voci si resta nel campo delle ipotesi.

Questi dunque i 14 pezzi rimasti da elencare:

Lat.391 = Alfa G.4.22 Johannes Chrisostomus, Scripta; Pseudo Dionisius Areopagita, Epistola ad Thimoteum, Basilius (Sanctus), Scripta nonnulla

Lat.419 = Alfa O.3.8 Leon Battista Alberti, De re aedificatoria

Lat.425 = Alfa Q.4.17 Ammianus Marcellinus, Rerum gestarum libri

Lat.432 = Alfa W.1.8 Tommaso d’Aquino, Super librum primum Sententiarum

Lat.435 = Alfa Q.4.4 Dionisius Halicarnassensis, Originum sive antiquitatum Romanarum libri XI. Storia antica di Roma)

Lat.436 = Alfa Q.4.19 Aurelius Augustinus, Opus contra Faustum manichaeum, Opus contra Julianum Pelagianum.

Lat.437 = Alfa Q.4.15 Cornelius Nepos, De excellentibus ducibus exterarum gentium et alii : Lucius Annaeus Florus,Titi Livii Epitomae; Gaius Plinius Secundus, Epitomae in Historiam naturalem; Pomponius Mela, De situ Orbis; Zombinus Grammaticus, Abbreviatio de orbis; Cornelius Nepos, Pomponii Attici vita; Festus Rufius, Breviarium

Lat.439 = Alfa S 4.18 Ambrosius (Sanctus), Hexameron et alia scripta

Lat.441= Alfa S 4.2 Giorgio Merula, Opera varia (sei trattati soprattutto su scritti degli antichi)

Lat.447 = Alfa S 4.1 Roberto Valturio, De re militari.

Lat.448 = Alfa U 4.9 Gregorius PP.I (Magno), Homiliae in Ezechielem Prophetam.

Lat.449 = Alfa G 3.1 Gregorius Magnus Papa, Dialogi; De vita et miraculis Patrum Italicorum libri IV; Vita Gregorii Magni per Johannem Diaconum

Lat.458 = Alfa M 1.14 Origenes, Homiliae in Genesim, in Exodum, in Leviticum

Lat.472 = Alfa X 1.10 Strabo, Geographia a Guarino [Veronensi] in latinum traslata libri XVII.

Anche soltanto da questo stralcio di opere corviniane si può desumere quanto il proposito di Ladislao di avere opere sugli antichi condottieri e per trarne esempio e spunto per la vita attuale fosse condiviso anche da Mattia. Ben quattro sono le compilazioni storiche: Ammiano Marcellino, Cornelio Nepote, Dionigi d’Alicarnasso e le vite parallele di Plutarco. Aggiungendo la Geografia di Strabone e l’architettura dell’Alberti raggiungiamo la metà di opere profane: per l’epoca averne il cinquanta per cento rispetto a quelle religiose era una percentuale notevole. La straordinaria stagione dell’umanesimo magiaro voleva essere ed era fervida e feconda quanto quella delle corti della rinascenza italiana ed europea.


  1. ASMo, Cancelleria Ducale. Carteggio Principi esteri. Ungheria. Fasc. 1622.↩︎

  2. Idem.↩︎

  3. Naldo Naldi: Epistola de laudibus Augustae Bibliothecae atque libri quattuor versibus scripti celebrativa della biblioteca del re Mattia, ms. 1488–1490, Toruń, Biblioteca Municipale “N. Copernico”.↩︎

  4. Lettera di Beatrice ad Eleonora del 4 novembre 1486. ASMo, Carteggio Principi Esteri. Ungheria. Filze 1622–1624. Cito da Anna Rosa Venturi Barbolini: ‘Testimonianze dei rapporti tra l’Ungheria e lo Stato Estense’, in: Nel segno del Corvo, Modena: il Bulino, 2002: 43–63.↩︎

  5. Lettera di Beatrice ad Eleonora del 12 gennaio 1487, ibid.↩︎

  6. Cfr. Anna Rosa Venturi Barbolini: ‘Testimonianze…’, op.cit.: 46.↩︎

  7. Gábor Hajnóczi: ‘Il Vitruvio di Budapest e le sue origini milanesi’, Arte Lombarda 139/3, 2003: 9 sgg.↩︎

  8. Árpaá Mikó: ‘La nascita della biblioteca di Mattia Corvino e il suo ruolo nella rappresentazione del sovrano’, in Nel segno del Corvo, op.cit.: 26–27.↩︎

  9. ASMo, Filza 1, Fasc.20: 25 genn.1510: lettera di Sigismondo de’ Sigismondi al Duca Ercole II. Dice di essere stato per molto tempo a Firenze come scrittore di Lorenzo de’ Medici e del re Mattia e, dopo l’espulsione del Magnifico Piero, di essere stato scrittore del re del Portogallo per la Bibbia commentata da Nicolò da Lira “… et tanto ben ornata et guarnita di miniature et serature d’oro, scripta tutta a littera antiqua ferma che costò 10000 ducati… Mi getto a li piedi di V.S…”.↩︎

  10. Sposata nell’anno 1476.↩︎

  11. Antonio Bonfini fu storico italiano al servizio di Mattia dal 1486 che lusingò il sovrano con la nobilitazione della sua casata. Cfr. Péter E. Kovács: ‘Ritratto di Mattia Hunyadi re d’Ungheria’, in: Nel segno del Corvo, op.cit.: 19.↩︎

  12. Altre opere di analogo tenore sono emerse proprio dalla soppressione dei Benedettini di Modena e convogliate alla Biblioteca Estense e a quella dell’Università.↩︎

  13. Girolamo Tiraboschi diresse per oltre un ventennio la Biblioteca Ducale dal 1770 al 1794 e, in ossequio ad un malinteso senso di modernizzazione e di igiene, fece rilegare ex novo tutto il corpo dei manoscritti estensi che persero così le loro coperte originali anche medievali e rinascimentali.↩︎

  14. Lat.429 0 Alfa W. 1.4, Plutarchus, Vitae.↩︎

  15. ASMo, Amministrazione della Casa. Biblioteca. filza 21.↩︎

  16. Benedetto Bacchini, bibliotecario dal 1697 al 1698, fu il primo a catalogare i manoscritti dell’Estense scorporandoli dalle edizioni a stampa.↩︎