Verbum – Analecta Neolatina XXVI, 2025/1
ISSN 1588-4309; https://doi.org/10.59533/Verb.2025.26.1.3
Abstract: In Italian and Italo-Romance dialects, the position of clitic pronouns in restructuring sentences is subject to variation. Like Italian, the northern, Tuscan, and median Italo-Romance dialects show both cliticization on the finite verb (clitic climbing) and enclisis on the infinitival verb, while the southern dialects have mandatory clitic climbing. Some differences between the AIS data, dating back to one century ago, and the contemporary dialectal data with regard to clitic climbing in northern dialects are attributed to the data collection methods and not to a recent diachronic change extending climbing towards the North. A new data collection method, specially designed to detect optionality, provides a more nuanced picture of language variation and suggests that the innovation of enclisis is starting to affect the southern Italo-Romance dialects.
Keywords: restructuring, clitic pronouns, clitic climbing, enclisis, Italo-Romance dialects, Italian, diatopic variation, diachronic change, weak pronouns, Latin
Riassunto: In italiano e nei dialetti italo-romanzi la posizione dei pronomi clitici nelle frasi contenenti verbi a ristrutturazione è soggetta a variazione. I dialetti settentrionali, toscani e mediani mostrano, come l’italiano, sia la cliticizzazione sul verbo coniugato (salita del clitico) sia l’enclisi sul verbo infinito, mentre i dialetti meridionali hanno salita obbligatoria. Alcune differenze tra i dati dell’AIS, risalenti al secolo scorso, e i dati dialettali contemporanei relativamente alla salita del clitico nei dialetti settentrionali vengono attribuite alla modalità di raccolta dei dati e non a un mutamento diacronico recente che estende la salita verso Nord. Una nuova metodologia di raccolta dati, disegnata appositamente per individuare l’opzionalità, fornisce una immagine più articolata della variazione e suggerisce inoltre che l’innovazione dell’enclisi sta cominciando a interessare i dialetti italo-romanzi meridionali.
Parole chiave: ristrutturazione, pronomi clitici, salita del clitico, enclisi, dialetti italo-romanzi, italiano, variazione diatopica, cambiamento diacronico, pronomi deboli, latino
Questo studio discute la posizione dei pronomi clitici nei contesti a ristrutturazione in italiano e nei dialetti italo-romanzi.1 Con verbi a ristrutturazione si intendono quei verbi che costituiscono una struttura mono-frasale con l’infinito che selezionano, cioè i modali, gli aspettuali, i verbi conativi e i verbi di stato o di moto. In (1), la frase fa riferimento ad un solo evento esprimendone la modalità deontica (1a), l’aspetto incettivo (1b), il tentativo (1c) o un evento complesso che avviene attraverso il moto (1d):
Nelle frasi in (1) il primo verbo è funzionale perché contribuisce dei tratti aggiuntivi alla semantica del secondo verbo, che denota l’evento vero e proprio e seleziona tutti gli argomenti.
Quando il complemento del verbo lessicale è un pronome clitico, questo si può trovare o in posizione enclitica sull’infinito, come in (2a), o in posizione proclitica sul verbo coniugato, dovuta alla “salita del clitico” (clitic climbing), come in (2b) (Rizzi 1978/1982):
Mentre l’italiano presenta variazione libera tra le due possibilità, secondo alcuni autori i dialetti italo-romanzi varierebbero rispetto a una delle due opzioni in (2): l’enclisi (2a) sarebbe tipica delle varietà settentrionali, la proclisi (2b) sarebbe tipica delle varietà centro-meridionali (Ledgeway 2016a: 223; Roberts 2016: 799).
Mostreremo che la situazione è in realtà più complessa. Da un lato, la variazione in (2) non è libera nelle diverse varietà regionali dell’italiano. D’altro lato, la variazione dialettale non mostra una contrapposizione nord vs. centro-sud, ma piuttosto nord-centro vs. sud: l’area che non presenta enclisi, ma la salita del clitico obbligatoria (o meglio, grandemente preferita rispetto all’enclisi) inizia a sud dell’area (peri)mediana (Pellegrini 1960; Loporcaro e Paciaroni 2016). Infine, nel caso in cui una varietà (dialettale o di italiano regionale) presenti entrambe le possibilità, caso molto diffuso non solo al centro o in Toscana, ma anche al nord, il grado di variazione libera (opzionalità) tra le due forme non è omogeneo e non sempre la lingua nazionale ha un maggior grado di variazione rispetto al dialetto (diversamente da quanto ci si aspetterebbe nell’ipotesi di Egerland 2009, che propone che solo la lingua nazionale può presentare variazione libera perché contiene più grammatiche compresenti).
Lo studio si basa su tre tipi di dati: (i) la mappa AIS 1086 (“voglio attaccarla”), che testimonia la produzione di parlanti dialettali all’inizio del secolo scorso, (ii) i dati di Manzini e Savoia (2005), che riportano l’attuale produzione di parlanti dialettali, e (iii) dati quantitativi relativi ai giudizi di grammaticalità di parlanti bilettali italiano-dialetto, presentati e discussi da Cardinaletti, Giusti e Lebani (2024).
In prospettiva diacronica, l’enclisi in (2a) rappresenta un’innovazione rispetto alla salita del clitico in (2b), che è più antica. Da una parte, in molte lingue romanze antiche la salita del clitico era obbligatoria (Olivier 2021). Dall’altra, sebbene in italiano antico fossero già presenti casi di enclisi, la salita del clitico era un fenomeno molto esteso, possibile con più verbi rispetto all’italiano moderno (Egerland 2010). Proponiamo che la proclisi dei pronomi clitici sul verbo funzionale come in (2b) dipende dalla rianalisi della posizione alta occupata dai pronomi deboli latini. Seguendo l’analisi di Salvi (2004), assumiamo che la rianalisi dei pronomi delle lingue romanze avvenga da deboli nella posizione Wackernagel a clitici nella posizione della flessione. Inoltre, seguendo Zennaro (2006), assumiamo che la ristrutturazione per gli stessi verbi era già presente in latino. Dunque, con questi verbi, la salita del clitico è stata la prima opzione nelle lingue romanze.
L’articolo è organizzato come segue. Nel paragrafo 2 presentiamo i dati riportati nella mappa AIS 1086, che fotografano la situazione dialettale all’inizio del secolo scorso. Nel paragrafo 3 questi dati vengono confrontati con la situazione dialettale attuale, come descritta da Manzini e Savoia (2005). Nel paragrafo 4 presentiamo i dati quantitativi raccolti in un esperimento volto a misurare in 6 punti geografici il grado di preferenza tra salita del clitico e enclisi e l’opzionalità tra le due costruzioni in italiano regionale e in dialetto, correlate alla dominanza italiano / dialetto in questa forma particolare di bilinguismo. Nel paragrafo 5 faremo alcune riflessioni diacroniche sull’insorgenza delle due posizioni clitiche in italiano antico in prospettiva pan-romanza. Il paragrafo 6 trae le conclusioni e presenta alcune domande aperte per la ricerca futura.
Come punto di partenza della nostra analisi consideriamo le produzioni dei parlanti dialettali all’inizio del XX secolo, riportate nell’Atlante linguistico ed etnografico dell’Italia e della Svizzera meridionale (AIS) (Jaberg e Jud 1928–40; Tisato 2009). La mappa 1086 (“voglio attaccarla”) ci permette di osservare la posizione del pronome clitico nelle frasi contenenti il verbo modale volere. Le varie possibilità di collocamento del clitico si possono vedere nella Figura 1, in cui l’enclisi è rappresentata in rosso e la salita del clitico in verde.2 La mappa mostra che al nord, in Toscana e nell’area (peri-)mediana (nel senso di Pellegrini 1960; Loporcaro e Paciaroni 2016) sono attestate sia la salita del clitico sia l’enclisi. A sud di tale area, a partire dalla cosiddetta linea Roma-Ancona, la salita del clitico è invece l’unica possibilità:3
Fig. 1: Rendering della mappa AIS 1086 (Cardinaletti, Giusti e Lebani 2024)
Malgrado l’enclisi appaia come predominante al nord, il fatto che la salita si trovi in punti sparsi suggerisce che essa fosse più estesa di quanto attestato. In altre parole, la presenza di due possibilità diverse in punti vicini può essere interpretata come indicazione di opzionalità, come suggerito da Cardinaletti e Giusti (2018) riguardo alla distribuzione di articolo definito, articolo partitivo o assenza di articolo per esprimere l’indefinitezza nei dati forniti dall’AIS (mappe 637, 1037, 1343). Questa analisi è confermata dai casi di reduplicazione, in cui il pronome appare sia in proclisi sul verbo modale che in enclisi sul verbo lessicale, come in (3) (Ronciglione, Viterbo, 632), e i casi in cui entrambe le opzioni sono riportate nella mappa AIS, come in (4) (Firenze, 523):
A voyo takalla
La reduplicazione del clitico come in (3) si trova anche a Cortemilia, Cuneo (176), Forni Avoltri, Udine (318), Cesenatico, Forlì-Cesena (479) e Porto S. Stefano, Grosseto (590). Le due opzioni in (4) sono riportate anche in Veneto (Arabba, Belluno, 315) e in un altro punto della Toscana (Seggiano, Grosseto, 572). Come si vede, entrambe le possibilità in (3) e (4) si trovano sia al nord sia al centro, confermando che le due possibili posizioni del pronome sono entrambe disponibili in queste aree. Per i dialetti meridionali, invece, non sono riportati né casi di reduplicazione del clitico come in (3) né casi di opzionalità nel posizionamento del clitico come in (4), confermando la rigida obbligatorietà della salita del clitico.
L’ipotesi che all’inizio del secolo scorso la salita del clitico fosse disponibile nei dialetti settentrionali e in quelli toscani e mediani e obbligatoria nel dialetti meridionali trova riscontro anche nella situazione dialettale odierna.
In un ampio studio sulla ristrutturazione con il verbo modale volere, utilizzato – come abbiamo visto – nella mappa AIS 1086, Manzini e Savoia (2005: Vol. III, §7.1) riportano entrambe le possibilità, salita del clitico e enclisi, in molti dialetti settentrionali, dal Piemonte al Friuli Venezia Giulia all’Emilia Romagna: ad es. Cantoira (Torino), Mezzenile (Torino), Pramollo (Torino), Coimo-Val Vigezzo (Verbano-Cusio-Ossola), Arquata Scrivia (Alessandria), Oviglio (Alessandria), Varese Ligure (La Spezia), Fontanigorda (Genova), Trepalle (Sondrio), Bormio (Sondrio), Campodolcino (Sondrio), S. Bartolomeo Val Cavargna (Como), Agazzano (Piacenza), Ciano D’Enza (Reggio Emilia), Finale Emilia (Modena), Comeglians (Udine), Forni di Sotto (Udine), Forni di Sopra (Udine), Velo Veronese (Verona), Ro Ferrarese (Ferrara), S. Mauro Pascoli (Forlì). A Dego (Savona), accanto alla salita del clitico è attestata la reduplicazione del clitico.
In Italia centrale, le due possibilità sono riportate solo a Mascioni (L’Aquila), ma questo può essere dovuto al fatto che sono pochi i dialetti di quest’area analizzati da Manzini e Savoia. Invece, tra i dialetti meridionali, molto ben rappresentati nel loro studio, l’unico dialetto con le due possibilità è Roccasicura (Isernia) (Manzini e Savoia 2005: Vol. III, 366), che nella mappa AIS (punto 666) appariva esclusivamente con la salita del clitico.
C’è un altro dato importante, in un certo senso inaspettato. Accanto ai dialetti settentrionali per i quali viene riportata solo l’enclisi, ci sono molti altri dialetti settentrionali nei quali viene riportata solo la salita del clitico: Montjovet (Aosta), Agliano (Asti), Mombercelli (Asti), Margarita (Cuneo), San Pietro Valle Grana (Cuneo), Stroppo (Cuneo), Pallare (Cuneo), Sassello (Savona), Airole (Imperia), Pigna (Imperia), Montebruno (Genova), Pagnona (Lecco), Solbiate Arno (Varese), Casei Gerola (Pavia), Martignana Po (Cremona), San Benedetto Po (Mantova), Revere (Mantova), Stienta (Rovigo), Saguedo (Rovigo), Ariano Polesine (Rovigo), Comacchio (Ferrara), Masi Torello (Ferrara), Viano (Reggio Emilia), Modena, Mulazzo (Massa-Carrara), Filattiera (Massa-Carrara), Gorfigliano (Lucca), Alfonsine (Ravenna), Forlì, Mercato Saraceno (Forlì-Cesena), Rontagnano (Forlì-Cesena), Sant’Agata Feltria (Rimini), Piobbico (Pesaro e Urbino), Tavullia (Pesaro e Urbino), Torre S. Tommaso (Pesaro e Urbino), Monteguiduccio (Pesaro e Urbino).
Tra i pochi dialetti testati da Manzini e Savoia nell’area mediana, troviamo Filottrano (Ancona) e Amandola (Fermo), per i quali viene riportata la sola salita del clitico.
Da quanto visto finora, si potrebbe supporre che la maggiore presenza di salita del clitico nelle aree settentrionali in Manzini e Savoia (2005) rispetto a quanto riportato nella mappa AIS 1086 sia dovuta ad un mutamento diacronico. Riguardo alla causa di tale mutamento, crediamo sia da escludere la semplice ipotesi del contatto con l’italiano. Infatti, questa ipotesi predirebbe un aumento dell’enclisi nei dialetti meridionali, opzione non verificata nei molti dialetti meridionali studiati da Manzini e Savoia (2005) ad esclusione del dato di Roccasicura.
La nostra ipotesi è che non siamo di fronte a un cambiamento diacronico recente che estende ai dialetti settentrionali l’opzione della salita del clitico (v. anche paragrafo 5). Proponiamo invece per i dialetti odierni la stessa ipotesi sviluppata per comprendere l’alternanza enclisi / proclisi nei dialetti settentrionali e centrali riportata nella mappa AIS. Il fatto che dialetti settentrionali tra loro vicini mostrino o solo salita del clitico o solo enclisi o compresenza di salita del clitico e enclisi suggerisce chiaramente che le due possibilità siano entrambe disponibili al nord e che quindi la diversa attestazione della salita del clitico nelle due raccolte di dati sia dovuta ad altre ragioni.
Una possibile ragione riguarda il modo in cui sono state svolte le inchieste. Nella mappa AIS, la frase che gli informatori hanno dovuto tradurre presentava l’enclisi (“voglio attaccarla”). È pertanto probabile che i parlanti che avevano a disposizione entrambe le possibilità, come quelli settentrionali e centrali, abbiano più spesso scelto di produrre l’opzione più vicina alla frase stimolo, oppure entrambe le possibilità (v. sopra (4)), anche se ci sono molte occorrenze di frasi con salita. I parlanti meridionali, invece, la cui grammatica non prevedeva l’enclisi, hanno necessariamente prodotto frasi con salita del clitico. Manzini e Savoia hanno invece presumibilmente chiesto ai partecipanti di rendere in dialetto entrambe le opzioni dell’italiano, enclisi e salita del clitico (per la metodologia utilizzata si veda Manzini e Savoia, 2005: Vol. I, 34). A nostro avviso, è per questo motivo che nei loro dati la salita del clitico è molto più presente nelle risposte degli informatori settentrionali rispetto alla mappa AIS.
In conclusione, con il metodo di raccolta consistente nella resa in dialetto di una frase italiana, risulta che in molti dialetti settentrionali e centrali è presente opzionalità tra salita del clitico e enclisi, mentre nei dialetti meridionali la salita è obbligatoria. La situazione odierna appare pertanto parallela a quella fotografata nella mappa AIS (a parte Roccasicura in provincia di Isernia). Questo metodo di raccolta dati ci può confermare la possibilità di due strutture in competizione tra loro nella competenza della singola persona, ma non ci dice molto sulla preferenza con cui la persona utilizza una struttura piuttosto che l’altra e sul risultato quantitativo di queste opzioni a livello di gruppo. Inoltre, non sappiamo come agisca in questi casi il contatto con l’italiano, che è sempre più la lingua dominante negli ultimi decenni.
La discussione condotta fin qui pone tre domande di ricerca (tra le molte possibili):
La variazione diatopica registrata in AIS e in Manzini e Savoia ha un corrispettivo quantitativo?
Quanto le/i singoli parlanti di dialetti che sappiamo avere entrambe le opzioni fanno uso di ciascuna?
Quanto incide il contatto con l’italiano (e dunque il livello di bilinguismo delle/dei parlanti) sulla possibilità di avere entrambe le costruzioni a disposizione?
Per rispondere a queste domande, sono stati raccolti dati da parlanti bilettali sia in italiano regionale sia in dialetto tramite un test di selezione tra varie possibilità disegnato appositamente per individuare l’opzionalità in tre diversi ambiti sintattici: il determinante indefinito, la posizione del possessivo con nomi di parentela, la posizione del clitico in contesti di ristrutturazione. I due test identici, uno nel dialetto locale e l’altro in italiano, sono stati somministrati in momenti diversi agli stessi parlanti, che dovevano segnalare, scegliendo tra quattro, tutte e solo le frasi che ritenevano accettabili. Sono stati randomizzati l’ordine di compilazione (prima il test in dialetto o prima il test in italiano), l’ordine degli item e l’ordine delle frasi all’interno di ciascun item.
Per la posizione del clitico in contesti di ristrutturazione, erano rappresentate la posizione di salita (5a), la posizione intermedia (5b), la posizione di enclisi sull’infinito (5c) e l’assenza di clitico (5d). Le frasi (5b) e (5d) sono agrammaticali in italiano. In alcuni dialetti, ma in nessuno di quelli testati da noi, l’opzione (5b) è grammaticale mentre (5c) e (5d) non lo sono:
Prima di iniziare il primo test, i partecipanti dovevano rispondere ad una serie di domande socio-demografiche e a una versione del Bilingual Language Profile (Birdsong, Gertken e Amengual 2012) adattata alla particolare situazione di bilettismo in Italia, chiamata Dilalic Language Profile (DLP, Procentese, Di Caro e Lebani 2022a,b), che ci ha permesso di fare correlazioni tra il grado di opzionalità espresso dai parlanti e la dominanza nelle due lingue.
Il dettaglio sui partecipanti, i materiali dell’esperimento e la metodologia statistica adottata per l’analisi dei dati sono trattati altrove (Cardinaletti, Giusti e Lebani 2024). Qui riportiamo le riflessioni che l’analisi dei dati raccolti suggerisce rispetto alle domande di ricerca formulate in questa sezione.
I punti di raccolta scelti per l’analisi statistica sono stati solo 6: Piacenza, Ferrara, Conegliano, Mestre, Grosseto, Napoli. La selezione è stata dettata dalla disponibilità di giovani ricercatrici e ricercatori madrelingua che hanno tradotto il test in dialetto, reclutato i/le partecipanti e discusso i dati nel lavoro di tesi magistrale e dal numero di parlanti che hanno aderito alla raccolta. Per motivi contingenti, gran parte dei punti di raccolta erano nel nord-est. Di questa area sono state scelte Mestre e Conegliano, che presentavano un numero più consistente di partecipanti. Altri due punti settentrionali sono Piacenza, che presenta un tipico esempio di dialetto gallo-italico, e Ferrara, che si trova al crocevia tra l’estremità orientale della zona gallo-italica e il nord-est. Grosseto rappresenta un dialetto toscano con molti tratti dei dialetti della zona (peri)mediana (Loporcaro e Paciaroni 2016), mentre Napoli è l’unico punto nel sud.
L’analisi della variazione tra salita del clitico e enclisi mostra che i/le parlanti di tutti i punti di raccolta accettano in una certa misura entrambe le possibilità, sia in italiano sia in dialetto, con una variazione significativa tra punti di raccolta e tra italiano e dialetto.
Il dialetto di Conegliano preferisce di gran lunga l’enclisi mentre il dialetto di Napoli preferisce di gran lunga la salita. Tra questi due estremi troviamo il dialetto di Mestre, che preferisce leggermente l’enclisi ma accetta in maniera consistente la salita, e i dialetti di Ferrara e Piacenza, che preferiscono la salita ma accettano in maniera consistente anche l’enclisi. Infine, il dialetto di Grosseto accetta in modo molto consistente ed equivalente sia la salita sia l’enclisi.
L’italiano regionale di tutti i punti accetta in modo consistente sia la salita sia l’enclisi con leggere differenze: a Conegliano e Ferrara è preferita l’enclisi; a Piacenza e Napoli le due opzioni sono quasi al massimo con una leggera preferenza per l’enclisi; a Mestre le due opzioni sono anche quasi al massimo ma con una leggera preferenza per la salita; infine Grosseto accetta in modo molto consistente ed equivalente sia la salita sia l’enclisi.
La risposta alla prima domanda di ricerca è positiva. La variazione diatopica registrata in AIS e in Manzini e Savoia (2005) ha un corrispettivo quantitativo che apre prospettive interessanti. La variazione rilevata mostra una forte preferenza per l’enclisi solo nel dialetto di Conegliano e una leggera preferenza per l’enclisi nel dialetto di Mestre. Gli altri due dialetti settentrionali (Piacenza e Ferrara), invece, mostrano una leggera preferenza per la salita. Vediamo inoltre che gli italiani regionali presentano dati diversi dal dialetto dello stesso punto di raccolta, quasi sempre opposti: il caso più evidente è Napoli, che preferisce la salita in dialetto e molto leggermente l’enclisi in italiano. Solo a Conegliano l’italiano regionale segue il dialetto, anche se con una minore differenza tra le due opzioni, e a Grosseto l’italiano e il dialetto mostrano lo stesso bilanciamento tra enclisi e salita.
Per quanto riguarda la seconda domanda, sulla presenza di opzionalità in dialetto e in italiano, lo studio ha rilevato la maggiore propensione all’opzionalità negli italiani regionali rispetto al dialetto dei singoli punti, con differenze interessanti. Mentre a Conegliano e Ferrara l’opzionalità è scarsa in entrambe le varietà, a Mestre, Napoli e ancor di più a Piacenza l’opzionalità è presente in maniera rilevante in dialetto e molto alta in italiano. Infine a Grosseto, l’opzionalità è al massimo in entrambe le varietà.
Infine, per quanto riguarda la terza domanda, il contatto tra italiano e dialetto, misurato sull’analisi dei dati in funzione del livello di bilinguismo dei/delle parlanti, ci mostra che a Conegliano e a Ferrara il punteggio del DLP non ha rilevanza per la presenza di opzionalità nel dialetto, che è relativamente bassa in tutti i parlanti. A Mestre e a Napoli, l’opzionalità nel dialetto diminuisce con l’aumentare del punteggio del DLP, confutando l’ipotesi che l’opzionalità sia una caratteristica della lingua nazionale (cfr. Egerland 2009) e che la sua presenza nel dialetto possa essere dovuta ad una dominanza dell’italiano nella competenza del(la) parlante. I dati di Grosseto non sono rilevanti, dato che la variazione e l’opzionalità sono al massimo, mentre i dati sul DLP dei/delle parlanti di Piacenza non presentavano differenze di valore sufficienti a svolgere questa analisi.
Questi dati suggeriscono innanzitutto riflessioni metodologiche: diverse modalità di raccolta producono dati diversi. Il nostro esperimento chiedeva ai/alle partecipanti di riconoscere come possibili una o più opzioni in italiano e in dialetto e non di rendere in dialetto una struttura dell’italiano. Inoltre, si è basato su un numero consistente di partecipanti (le varietà avevano da un minimo di 15 a un massimo di 52 partecipanti). Permetteva quindi di cogliere strutture presenti nella varietà dialettale o di italiano regionale che, essendo in variazione libera con altre, possono non emergere dalla produzione elicitata di un numero esiguo di parlanti (talvolta limitato a una sola persona). La metodologia da noi utilizzata ha fatto emergere non solo la presenza di variazione in aree in cui essa è assente nell’AIS e nello studio di Manzini e Savoia (2005) (come nel caso di Napoli), ma anche un grado di opzionalità diverso tra dialetti, persino in dialetti molto vicini come Conegliano (con pochissima opzionalità) e Mestre (con maggiore opzionalità).
Da questa nuova immagine della distribuzione di enclisi e salita del clitico nei dialetti italo-romanzi e nelle varietà regionali dell’italiano sorge la domanda se la maggiore opzionalità manifestata nei nostri risultati non sia invece dovuta ad un cambiamento ancora in atto in ambito romanzo e, nel caso di risposta positiva, in che direzione stia operando il cambiamento.
Nel paragrafo 3 abbiamo escluso che la maggior presenza di salita del clitico nei dialetti odierni rispetto alla mappa AIS sia dovuta all’estensione di questa possibilità a dialetti che non la prevedevano un secolo fa. La prospettiva diacronica fornisce un altro motivo per escludere tale ipotesi: nella storia delle lingue romanze, l’innovazione non è stata la salita del clitico ma l’enclisi.
Olivier (2021) studia la posizione dei pronomi clitici nei contesti di ristrutturazione in francese in prospettiva diacronica. La sua analisi quantitativa su testi dall’anno 1150 all’anno 1856 mostra chiaramente come si è passati dalla salita obbligatoria nelle fasi più antiche a un lungo periodo di opzionalità, tra metà del 17° secolo e la fine del 18° secolo, fino alla perdita totale della salita del clitico a partire dal 19° secolo (Olivier 2021: 301).
Olivier offre anche una prospettiva comparativa, riportando i risultati di studi paralleli sul portoghese antico (Davies 1996; de Andrade e Namiuti-Temponi 2016), sul catalano antico (Fischer 2000), sullo spagnolo antico (Wanner 1982; Davies 1995) e sull’occitano antico (Bekowies e McLaughlin 2020) (v. anche Salvi 2004: 150, che riporta anche un esempio del provenzale antico). L’obbligatorietà della salita rimane oggi nei dialetti italo-romanzi meridionali, come abbiamo visto nei paragrafi precedenti (v. anche Ledgeway 2016b), in rumeno (Maiden 2016) e nel catalano di Ribagorza (Rigau 2005: 794–795). La perdita della salita si trova anche in alcune varietà del portoghese brasiliano (Davies 1996).
Secondo Bekowies e McLaughlin (2020), la diminuzione della salita del clitico nelle varie lingue romanze comincia tra il 15° e il 17° secolo; i dati del portoghese da Davies (1996) mostrano che nel 14° secolo essa era solo agli inizi, cioè la salita del clitico si trovava ancora nel 86% di casi. Il valore rimane costante nel 15° secolo (87% di salita).
Per l’italiano antico, non abbiamo a disposizione dati quantitativi che permettano di monitorare lo sviluppo dell’enclisi nel toscano del Trecento (ed eventualmente nelle varietà settentrionali); tuttavia, i dati di Cardinaletti (2010) ci permettono di stabilire che l’opzionalità della salita era già presente all’inizio del 14° secolo. Molti sono gli esempi con enclisi del pronome nei contesti a ristrutturazione, come in (6b), accanto ai casi di salita del clitico, come in (6a):4
Possiamo ora chiederci come mai un’operazione apparentemente più complessa come la salita del clitico possa aver costituito il punto di partenza di questo mutamento. Possiamo partire dall’ipotesi di Salvi (2001), (2004), secondo la quale la posizione dei pronomi clitici nelle lingue romanze è un’innovazione rispetto alla posizione dei pronomi deboli latini. I pronomi deboli latini (nel senso di Cardinaletti e Starke 1999, cioè elementi di categoria XP) si trovavano in una posizione alta della frase (comunemente chiamata posizione di Wackernagel, Wackernagel 1892), che seguiva uno o più costituenti ed era indipendente dal verbo. Solo quando il verbo si trovava in prima posizione e tra il verbo e il pronome non erano presenti connettori frasali quali autem, enim, igitur, ecc., il pronome poteva trovarsi adiacente al verbo. Quando nella storia delle lingue romanze la salita del verbo coniugato è diventata più frequente, tanto da dare effetti di verbo secondo, il pronome si è trovato sistematicamente adiacente al verbo coniugato, in posizione postverbale se il verbo era in prima posizione (7a) o preverbale se la prima posizione era occupata da un costituente (7b) (Salvi 2004: 24). In queste posizioni adiacenti al verbo, i pronomi deboli, già fonologicamente atoni, sono stati rianalizzati come clitici:
Ci chiediamo ora quale fosse la posizione dei pronomi nei contesti a ristrutturazione. Già in latino le frasi contenenti i verbi a ristrutturazione avevano natura mono-frasale (Zennaro 2006) e presentavano il pronome debole nella posizione Wackernagel a sinistra del verbo modale, come si vede in (8) (da Salvi 2004: 150):
Nei contesti a ristrutturazione, il passaggio da pronomi deboli del latino a pronomi clitici delle lingue romanze ha dato come risultato la posizione alta del pronome, quella conseguente a ciò che chiamiamo “salita del clitico” (v. (2b)). Dunque in questi contesti la salita del clitico era l’unica opzione nelle prime fasi delle lingue romanze. Si osservi che in italiano antico i pronomi non avevano ancora perfettamente completato la grammaticalizzazione da deboli a clitici. In alcuni casi, il pronome debole appariva prima del verbo modale, in una posizione paragonabile a quella in (8) (Cardinaletti 2010: 418):
Come abbiamo visto dalla discussione precedente, la cliticizzazione del pronome al verbo lessicale all’infinito è un’innovazione, attestata successivamente alla salita del clitico, in un primo momento quale opzione in alternativa alla salita, poi, come in francese moderno, quale unica possibilità prevista dalla grammatica.
Nel suo lavoro sulla storia del francese, Olivier (2021) esclude che tale cambiamento sia dovuto alla perdita in francese della possibilità di omettere il soggetto (pro-drop). La correlazione tra salita del clitico e pro-drop è stata proposta da Kayne (1989), (1991) per le lingue romanze moderne, ma Olivier osserva che nella storia del francese la perdita del pro-drop è stata molto anteriore alla perdita della salita del clitico essendo già completata nel 16° secolo. La salita del clitico si è persa invece verso la fine del 18° secolo. Per quasi due secoli dopo la perdita del pro-drop, il pronome ha continuato a salire alla posizione proclitica sul verbo funzionale coniugato.
Secondo Olivier (2021) il cambiamento diacronico che ha interessato la posizione dei pronomi clitici con i verbi a ristrutturazione è da attribuire alla rianalisi degli elementi introduttori del verbo lessicale, come ad esempio a negli esempi italiani in (1b-d). Questi elementi sarebbero stati rianalizzati come congiunzioni; di conseguenza la frase da essi introdotta sarebbe stata rianalizzata come una frase subordinata completa, segnalata in (10) dalle parentesi quadre. La frase subordinata in (10) impedisce la salita del clitico così come le frasi selezionate da verbi non a ristrutturazione in italiano, ad esempio il complemento di dire in (11):
Questo processo di rianalisi deve aver riguardato anche congiunzioni non pronunciate, come nel caso dei verbi modali francesi, che non ricorrono con una congiunzione visibile:
Questa ipotesi può spiegare il cambiamento diacronico avvenuto nella storia del francese ma non può essere generalizzata all’italiano perché non rende conto di una proprietà diagnostica dei verbi a ristrutturazione, cioè la selezione dell’ausiliare. In (13a) vediamo che l’ausiliare del verbo volere in una costruzione bi-frasale (non-ristrutturata) è avere. Il contrasto tra (13b) e (13c) mostra che la salita del clitico (indice di avvenuta ristrutturazione) rende necessario l’ausiliare essere, selezionato dal verbo inaccusativo andare. In (13d) si vede che il cambiamento di ausiliare può ricorrere anche se il pronome non è salito e si trova in enclisi sull’infinito (Rizzi 1978/82: 44, nota 26):
Dunque la cliticizzazione sul verbo lessicale non segnala necessariamente una struttura bi-frasale, almeno non in italiano. Sebbene più marginale sia di (13a), senza ristrutturazione, sia di (13c), con ristrutturazione, l’opzione in (13d) è grammaticale. Esempi come (13c,d) mostrano che nella costruzione a ristrutturazione si devono ipotizzare due posizioni per i pronomi clitici, una alta proclitica sul verbo a ristrutturazione, che è il target della salita del clitico, e una bassa enclitica sul verbo lessicale all’infinito (Cardinaletti e Shlonsky 2004):
Come abbiamo visto in (6b), l’italiano antico ammetteva (già) l’enclisi con i verbi a ristrutturazione. Con i verbi lessicali inaccusativi, era possibile sia l’ausiliare essere come in (15a), sia l’ausiliare avere come in (15b). La salita del pronome correlava sempre con l’ausiliare essere, come riporta Egerland (2010: 832) da cui sono tratti gli esempi (15)-(16):
Per l’italiano antico Egerland non riporta casi come (13d); pertanto non è possibile stabilire con certezza quale sia l’analisi delle frasi con enclisi come (6b), se strutture mono-frasali con il pronome nella posizione bassa vista in (14) o strutture bi-frasali.
Lo studio di Olivier (2021) presenta un altro cambiamento importante avvenuto nella storia del francese. Nei contesti non a ristrutturazione, il pronome clitico, che era in enclisi sull’infinito nel francese antico, appare in proclisi sull’infinito nel francese medio (testi dal 1300 al 1614). Seguendo Kayne (1991), in (17) ipotizziamo che l’enclisi è dovuta al movimento del verbo all’infinito, che si aggiunge al pronome clitico nella posizione bassa individuata sopra in (14). Il cambiamento avvenuto tra francese antico e francese medio implica la perdita del movimento del verbo all’infinito, con il risultato della struttura in (17b), più economica di (17a) perché si muove solo il pronome clitico (segnaliamo con le parentesi uncinate la posizione originaria degli elementi spostati):5
Olivier (2021: 218) suggerisce che tale cambiamento sia dovuto alla rianalisi come proclitici dei pronomi deboli che in francese antico si trovavano spesso tra il verbo modale e il verbo lessicale, come in (18):
Si osservi che anche in italiano antico si trovavano casi di questo tipo, come in (19) (Cardinaletti 2010: 417, 423), ma la rianalisi da enclisi a proclisi sull’infinito non è avvenuta:
Come abbiamo detto sopra, la perdita del movimento del verbo e la conseguente proclisi sull’infinito è avvenuta nel francese medio e non può essere - secondo Olivier - la causa della perdita della salita del clitico, che avviene più tardi. I dati comparativi rafforzano questa ipotesi. Olivier (2021: 126, 253) osserva che la maggior parte delle varietà dell’occitano mostra proclisi sull’infinito nei contesti non a ristrutturazione e salita del clitico nei contesti a ristrutturazione (Alibèrt 1976), confermando che i due fenomeni sono indipendenti.6 Alla stessa conclusione arrivano Manzini e Savoia (2005: Vol. III, 335, 367) per i dialetti italo-romanzi: molti dialetti presentano salita del clitico nella ristrutturazione e proclisi sull’infinito nei contesti non a ristrutturazione.
Come abbiamo visto, la storia delle lingue romanze mostra un passaggio graduale da sistemi con salita del clitico obbligatoria a sistemi con salita opzionale fino a sistemi che non ammettono la salita (come il francese moderno e varietà del portoghese brasiliano). È pertanto molto poco probabile che nei dialetti italo-romanzi sia avvenuto in anni recenti un cambiamento nella direzione opposta (v. paragrafo 3). Piuttosto, sembra che l’enclisi stia lentamente guadagnando terreno nei dialetti italo-romanzi meridionali (v. Roccasicura, Isernia, in Manzini e Savoia e Napoli in Cardinaletti, Giusti e Lebani 2024). Come ha mostrato Olivier (2021), la perdita della salita del clitico in francese moderno non può essere attribuita né alla perdita del pro-drop né alla perdita del movimento del verbo all’infinito sul pronome clitico in quanto i vari cambiamenti sono avvenuti in epoche molto lontane tra loro. Si tratta pertanto di cambiamenti indipendenti e di fenomeni indipendenti. I dialetti italo-romanzi confermano questa conclusione raggiunta sulla base del francese.
In questo studio abbiamo analizzato la posizione dei pronomi clitici nelle frasi contenenti verbi a ristrutturazione. Abbiamo proposto che i dialetti italo-romanzi parlati nel settentrione, in Toscana e nell’area mediana si comportano come l’italiano ammettendo sia la salita del clitico sia l’enclisi sull’infinito. L’analisi diacronica ci ha permesso di escludere che la maggiore quantità di salita osservata nei dati contemporanei di Manzini e Savoia (2005) rispetto alla mappa AIS 1086 sia dovuta a un cambiamento che estende verso nord il fenomeno della salita. Piuttosto, la differenza è da attribuire alle diverse modalità di raccolta dei dati. Nel Meridione d’Italia, invece, la salita del clitico continua a essere obbligatoria, come lo era nelle fasi antiche delle lingue romanze.
Abbiamo inoltre proposto una nuova metodologia di ricerca, che permette da una parte di cogliere quantitativamente la diversa incidenza delle due possibili posizioni dei pronomi clitici e dall’altra la presenza di opzionalità, anche in relazione al grado di dominanza dell’italiano e del dialetto nella competenza dei/delle parlanti. Con tale metodologia abbiamo riscontrato opzionalità nel dialetto di Napoli, peraltro non correlata a dominanza dell’italiano nei parlanti bilettali. Un caso di opzionalità è attestato anche a Roccasicura, Isernia. Rimane da indagare se questi due esempi siano casi isolati o siano indicativi di un cambiamento in atto, che estende l’enclisi verso sud.
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Questo articolo è dedicato a Giampaolo Salvi, con stima, ammirazione e gratitudine. Con la sua amplissima conoscenza empirica e la grande competenza teorica negli studi sia sincronici sia diacronici, Giampaolo ha negli anni in più modi ispirato il nostro lavoro di ricerca. Lo studio è parte del progetto VariOpInTA (Variazione e Opzionalità in Italo-romanzo; https://pric.unive.it/progetti/variopinta/home) ed è stato sviluppato nell’ambito del Gruppo di ricerca “Adattamento nel bilinguismo/multilinguismo” del Progetto di Sviluppo del Dipartimento di Eccellenza (https://www.unive.it/web/it/2643/home), assegnato dal Ministero dell’Università e della Ricerca al Dipartimento di Studi linguistici e culturali comparati dell’Università Ca’ Foscari Venezia (2023–2027).↩︎
La proclisi sul verbo all’infinito (come in francese) è indicata in giallo. Molti di questi esempi si trovano al confine con la Francia e sono presumibilmente dovuti al contatto con il francese. Si noti che nei dialetti del sud della Puglia e del sud della Calabria caratterizzati dalla cosiddetta mancanza di infinito, segnalati nella mappa con un cerchio nero, si trova proclisi sul secondo verbo (in giallo) e, più raramente, proclisi sul primo verbo (in verde). Questi casi sono stati analizzati in Cardinaletti e Giusti (2020) e Giusti e Cardinaletti (2022).
Oltre alle possibilità indicate nella Figura 1, si trovano casi non rilevanti che mancano del verbo modale (per es. la lego, Barberino di Mugello, Firenze, 515) o che contengono un oggetto non pronominale (per es. mi voy ligar la kàvara, Tarzo, Treviso, 346).↩︎
I punti che riportano enclisi al sud non sono in realtà controesempi. Le due varietà di Tempio, Olbia-Tempio (916) e di Sassari (922) nel nord della Sardegna sono storicamente dialetti toscani (Ledgeway 2016a: 208). Le due varietà nella Sicilia nord-orientale (San Fratello, Messina, 817; Sperlinga, Enna, 836) sono varietà gallo-italiche, che non appartengono al gruppo dei dialetti italo-romanzi meridionali (Trovato e Menza 2020). Per la varietà di Nicosia e Sperlinga, Trovato e Menza (2020: 950) segnalano che la proclisi è comunque possibile. Per tutti e quattro i punti, la salita del clitico è riportata nella mappa AIS 676 (“potrebbe ferirsi”), mostrando che sono disponibili entrambe le posizioni del pronome clitico.↩︎
Se il verbo a ristrutturazione era esso stesso all’infinito, il pronome appariva in enclisi su questo verbo, come in italiano moderno (Cardinaletti 2010: 438):
Che in (17a) si sono spostati sia il verbo all’infinito sia il pronome clitico viene indicato dalla loro posizione rispetto ad un avverbio come bene, che nella frase senza il pronome clitico segue il verbo e precede il complemento oggetto (ia). Nella frase con pronome clitico entrambi gli elementi precedono bene (ib):
Altre lingue che presentano le stesse proprietà sono il sardo (Jones 1997: 337) e il francoprovenzale (Horváth 2008: 236, 240).↩︎