Verbum – Analecta Neolatina XXVI, 2025/1
ISSN 1588-4309; https://doi.org/10.59533/Verb.2025.26.1.2
Abstract: On the basis of the KIParla corpus, a survey is made of the use of positional adverbs forming complex prepositional phrases that anchor the situation described in a sentence in a deictic reference field oriented towards a territorial conceptualization. Positional function is performed by deictic locative adverbs with the speaker as orīgo and by the adverbs su ‘up’ and giù ‘down’ along a vertical dimension to which the speaker associates the situation described in the sentence on the basis of a point of view. This can be given in the discourse, pragmatically implied or considered shared with respect to the territory being spoken about with reference to its morphology or to the geographical continuum between the north and south poles. It is not possible to determine whether in the use of positional adverbs greater specific weight can be attributed to the discourse conditions or the speakers’ regional varieties with a dialectal substratum with ground-oriented deixis systems.
Keywords: spoken Italian, positional adverbs, ground-oriented deixis, regional variation, corpus linguistics
Riassunto: Sulla base del corpus KIParla si fa una ricognizione dell’uso di avverbi posizionali, che concorrono alla formazione di locuzioni prepositive che ancorano la situazione descritta in una frase in un campo di riferimento deittico orientato a una concettualizzazione territoriale. Funzione posizionale è svolta dagli avverbi locativi deittici con il parlante come orīgo e da su e giù lungo una dimensione verticale a cui il parlante associa la situazione descritta nella frase in base a un punto di vista. Questo può essere dato nel discorso, implicato pragmaticamente o considerato condiviso rispetto al territorio di cui si parla in base alla sua morfologia o al continuum geografico tra i poli nord e sud. Non è possibile determinare se nell’uso di avverbi posizionali abbiano maggior peso specifico le condizioni di discorso o la varietà diatopica del parlante con sostrato dialettale con deissi orientata al territorio.
Parole chiave: italiano parlato, avverbi posizionali, deissi orientata al territorio, variazione diatopica, linguistica dei corpora
La funzione posizionale di alcuni avverbi locativi è una caratteristica marginale dell’italiano che suscita però curiosità per l’aspetto strutturale da una parte e, da un’altra parte, la rilevanza che essa mostra nel discorso di alcuni parlanti.
Dal punto di vista strutturale gli avverbi locativi esemplificati in (1c) e qui in esame mostrano un comportamento analogo a quello della prima classe delle cosiddette preposizioni improprie o secondarie o avverbiali trattate nella Grande Grammatica da Rizzi (2001: 535), e che formano con una preposizione monosillabica un sintagma preposizionale complesso, come in (1a) e negli esempi in (1b).2
Diversamente dalle preposizioni improprie, in funzione posizionale gli avverbi locativi non determinano la scelta di una sola preposizione monosillabica, ma come in (1c) si accompagnano alle preposizioni monosillabiche richieste dalle caratteristiche lessicali del nome per formare un SP locativo, ovvero a con un toponimo, in con un nome geografico, da con un antroponimo. Come indicato in (2), i sintagmi con avverbi locativi in funzione posizionale possono occupare tutte le posizioni strutturali di complemento, di avverbiale di SV e di frase, così come i sintagmi con preposizioni improprie.
Come indicato dalle parentesi tonde in (2), l’avverbio locativo è opzionale. Lo si rileva anche nell’esempio (3) tratto da un corpus di parlato, dove il sintagma preposizionale a Cesena non è accompagnato da un avverbiale locativo a differenza di su a Bologna.
Infine, marginalmente, si può osservare che a differenza degli elementi del sintagma formato da preposizioni improprie, gli elementi del sintagma complesso qui in esame sembrano poter essere discontinui, come in (4).
lui in realtà visto che è triennale avrebbe finito le lezioni una
vita fa //che poi ingegneria informatica non è a cesena // no
ah // anche però lui è di lecce quindi nel senso cioè una volta
che viene viene su a bologna // x sì sì eh certo certo //
(KIParla. BOD2009. Registrazione a Bologna, intervista semistrutturata,
studente <25 anni emiliano)3
Ho lasciato su le chiavi da A.
(note di campo; conversazione spontanea, il parlante è al pianterreno e
l’abitazione di A. al secondo piano)
Rivolgendo ora l’attenzione dal piano strutturale a quello semantico per definire il contributo che l’avverbio posizionale aggiunge al sintagma locativo con cui si accompagna, si può osservare che in funzione posizionale certi avverbi locativi ancorano la situazione di moto o di stato descritta in una frase in un campo di riferimento deittico orientato a una concettualizzazione apparentemente territoriale i cui parametri sembrano condivisi socialmente dal parlante e dai suoi interlocutori.
Nell’esempio (4) la posizione del parlante rispetto a quella delle chiavi dimenticate lungo una dimensione verticale è condivisa dagli interlocutori nel luogo e nel tempo in cui quell’esempio è stato prodotto. Invece, nell’esempio (3), su specifica la posizione geografica di Bologna rispetto a quella di Lecce, ovvero il luogo di destinazione rispetto a quello di provenienza della persona di cui si parla, rispetto apparentemente a una concettualizzazione geografica relativa alla dimensione nord-sud. Tuttavia in altri casi i parametri a cui poter ricondurre la funzione posizionale di un avverbio locativo non sono immediatamente definibili, come mostra giù in riferimento all’arcipelago delle Hawaii rispetto alla città di Torino in cui è collocato il parlante che ha prodotto l’esempio riportato in (5).
Quadro di riferimento per l’interpretazione della funzione posizionale di certi avverbi locativi è la deissi orientata al territorio (ground-oriented deixis) discussa in Prandi (2017) per il versante romanzo delle Alpi e in particolare per la Val Blenio (Ticino, CH), la Val Poschiavo (Grigioni, CH), la Val di Susa (Piemonte), la Val Badia (Sudtirolo) e la Valtellina (Lombardia). La deissi orientata al territorio è espressa in sistemi di deittici la cui orīgo è indipendente dalla posizione del parlante e ancorata a una mappa del territorio condivisa da una comunità di parlanti. Nel caso di Poggiridenti, la località della Valtellina descritta da Prandi (2018), l’orīgo è il centro del paese e il sistema ha tre dimensioni espresse da avverbi posizionali organizzati in tre coppie di opposti indicati in (6): verticale in riferimento al pendio montuoso (6a), a monte e a valle di una valle laterale a est del paese (6b), a ovest e a est dello spazio collocato all’altezza dell’orīgo (6c).
Nella varietà italo-romanza di Poggiridenti gli avverbi posizionali accompagnano obbligatoriamente i riferimenti al luogo in cui si trova o rispetto al quale si muove un’entità o in cui ha luogo una situazione e si fondono con la preposizione che accompagna il nome di luogo, comune o proprio (Prandi 2017: 118), come esemplificato in (7) da fint, formato dall’avverbio [ˈfø] ‘fuori’ e dalla preposizione [ˈint] ‘in, dentro’.
La codificazione delle dimensioni verticale (superiore-inferiore, cfr. 6a) e interno-esterno (cfr. 6b e in parte 6c) presente nei dati discussi in Prandi (2017, 2018) hanno permesso a Cinque (2022: 65–69) di precisare la gamma di ordini delle due dimensioni e di quella della deissi con orīgo sul parlante (detta place in Cinque) nelle combinazioni avverbiali. Dei sei ordini potenziali, i soli cinque attestati si lasciano ricondurre alle regolarità che governano il movimento dei costituenti di sintagma nel quadro teorico del generativismo. Nei sintagmi avverbiali qui considerati, l’ordine escluso è quello in cui l’espressione della dimensione interno-esterno è spostata a sinistra di quella della dimensione verticale nel caso in cui non appartenga al costituente che contiene l’espressione deittica, che è la testa del sintagma. Escluso è quindi l’ordine interno-esterno > verticale > deissi, come in *fuori giù là; ammessi sono invece gli ordini lafø'sy (lett. là-fuori-su, ovvero deissi > interno-esterno > verticale) attestati in italo-romanzo (Cinque 2022: 66).
In Bernini (2008) per un dialetto italo-romanzo e in Bernini (2021: 46–48) nella prospettiva areale dei dialetti alpini è stato discusso il ruolo degli avverbi posizionali nella formazione dei verbi sintagmatici a particella locativa di moto e stato. I fattori che portano a interpretare una struttura con avverbio posizionale del tipo ((andare)V (su SP)SP′)SV come una struttura a verbo sintagmatico ((andare su)V (SP)SP)SV sono: (a) la possibilità di ordine discontinuo di avverbio posizionale e SP locativo come nell’esempio (4); (b) la tendenza a mantenere l’avverbio posizionale accanto alla forma verbale (v. ancora l’esempio 4); (c) la possibilità di pronominalizzare il SP con clitico sul verbo senza il pied piping dell’avverbio (p.es. correrglii dietro ∅i) o di tacere il SP nel caso il suo referente sia pragmaticamente recuperabile (rimanere giù ∅ [p.es. in cantina]).
Nel presente contributo si cercherà di esplorare la funzione posizionale che in italiano può essere svolta da certi avverbi con lo scopo di:
individuare gli elementi locativi che possono svolgere funzione posizionale nel tipo di sintagmi complessi qui descritti;
definire il contributo semantico degli avverbi in funzione posizionale nel contesto dell’italiano, lingua di parlanti diffusi su una vasta area geografica, le cui comunità locali non condividono la medesima configurazione territoriale come nei casi studiati da Prandi (2017);
rilevare nella funzione posizionale di certi avverbi locativi il peso del sostrato da dialetti in cui è preminente la deissi orientata al territorio e quello di eventuali condizioni di discorso che ne innescano l’impiego.
L’indagine prende in considerazione i dati di italiano parlato compresi nel corpus KIParla, la cui configurazione è descritta in Mauri et alii (2019) e Ballarè, Goria & Mauri (2022).4 Dopo questa introduzione, i dati di avverbi posizionali riscontrati nel corpus KIParla sono presentati nella sezione 2 e discussi nella sezione 3 secondo i tre obiettivi di ricerca testé elencati. Le osservazioni conclusive di questo lavoro di esplorazione sono infine riportate nella sezione 4.
Gli avverbi su e giù, qui al centro dell’attenzione, fanno parte dell’inventario di avverbi in funzione posizionale che comprende anche gli avverbi locativi deittici qui, qua, lì, là. La ricognizione degli usi funzionali degli elementi di questo inventario è stata effettuata filtrando nel corpus KIParla le occorrenze degli avverbi in esame seguiti da sintagmi preposizionali locativi formati con le preposizioni monosillabiche a, da, in in forma semplice e articolata.
Come rilevato in Tabella 1, sul totale di occorrenze di quei nessi nel corpus, le occorrenze in funzione posizionale sono una frazione riportata nella penultima colonna. Ciascun nesso è stato prodotto dal numero di parlanti riportato nell’ultima colonna per un totale di 111 parlanti.
Tabella 1: Funzione posizionale di su, giù, deittici
Su e giù si riscontrano per numero di occorrenze e di parlanti in quantità analoga al deittico là, tra 21 e 37 e tra 17 e 24 rispettivamente. Ben superiori le occorrenze e i parlanti per la funzione posizionale di qui, qua e lì, tra 101 e 138 e 56 e 64 rispettivamente. Inoltre, sui 41 parlanti che hanno prodotto occorrenze di su o giù, solo tre li hanno prodotti entrambi.
In funzione posizionale, l’avverbio specifica la relazione del SP locativo rispetto al parlante o alla situazione descritta nella frase. Quindi, come affermato anche in Rizzi (2001: 544), la costruzione può essere parafrasata come nel luogo designato dal SP, che rispetto a parlante e ascoltatore si trova in una posizione vicina o lontana, oppure superiore o inferiore lungo una dimensione verticale.
Tra le occorrenze del corpus KIParla qui considerate, gli avverbi deittici ripropongono le caratteristiche semantiche descritte da Vanelli & Renzi (2001) nella Grande Grammatica. In particolare, come illustrato dagli esempi in (8), qui e qua si alternano a seconda che nella costruzione anche della stessa conversazione il luogo di riferimento sia proposto come puntuale, in relazione alla presenza della persona di cui si parla in (8a), oppure come areale, in relazione a gruppi di persone come in (8b).
Inoltre, come dimostrato in Benedetti & Ricca (2002: 25–27) e ripreso in Strik-Lievers & Miola (2018: 76), lì e là si alternano a seconda che il luogo indicato dal SP sia costruito come compreso nell’area di riferimento di parlante e ascoltatore o no, come illustrato rispettivamente dagli esempi (9a) e (9b).
L’uso di lì si ritrova come mezzo anaforico per indicare il riferimento comune a parlante e ascoltatore di un’area precedentemente introdotta nella conversazione, come, nell’esempio (10), il luogo quella casa nell’ambito dell’area regionale precedentemente menzionata (v. giù in Puglia).
Per quanto riguarda la dimensione verticale lessicalizzata da su e giù, il riferimento può essere il parlante, o più precisamente la sua prospettiva, come per gli avverbi deittici, oppure un punto di riferimento convenzionale. La prospettiva del parlante può essere costruita nel discorso, come nell’esempio (11), in cui il riferimento alla direzione verso il basso (v. giù a Torino) è innescato da quello alla collina come punto di osservazione precedentemente introdotto.
In un numero ristretto delle occorrenze filtrate nel corpus KIParla, la prospettiva del parlante è attivata in relazione alla dimensione verticale rispetto a luoghi relativi all’ambiente di cui si parla, come su nella libreria dell’esempio (12), ma anche su in mansarda, su da Fabrizio.
Nella maggior parte dei casi, però, la prospettiva è attivata in relazione a luoghi geografici designati da nomi comuni come giù alla statale dell’esempio (13) o anche giù alla tangenziale, su in montagna, su in collina, e da toponimi, come in (14).
due chilometri di pianoro // due a tornare giù alla
statale e poi da lì a briançon sono altri dieci
(KIParla. PTD012. Registrazione a Torino. Intervista semistrutturata,
professionista di elevata specializzazione, 46–50 anni
laziale).
in cui c’erano tutte le sere // due o tre persone che andavano
su a bardonecchia e lì trovavano anche qualcun altro della
dell'alta valle // […] si facevan dei segnali di luce // oh strada
pulita e li portavano giù a briançon
(KIParla. PTD012. Registrazione a Torino. Intervista semistrutturata,
professionista di elevata specializzazione, 46–50 anni
laziale).
In questo numeroso gruppo di occorrenze il riferimento alla dimensione verticale è indotto in molti casi dalla posizione che il parlante assume rispetto ai luoghi descritti nel proprio discorso, posizione che viene considerata condivisa dagli interlocutori. Lo si può desumere dall’esempio (14) in relazione alla posizione delle località di Bardonecchia e Briançon rispetto allo spartiacque alpino sul passo del Monginevro dalla prospettiva di chi viene dalla Val di Susa.
In tanti altri casi, invece, la dimensione verticale sembra essere considerata in una prospettiva sempre condivisa da parlante e ascoltatore e convenzionalmente riferita alla dimensione geografica nord (in alto) – sud (in basso), come negli esempi (15) e (16), nonché nel caso di su a Bologna per chi proviene da Lecce visto all’esempio (3).5
eh poter uscire andare anche alla all’allora eh oh o farsi via
roma // eh mentre giù in meridione era diverso ancora // come
mentalità
(KIParla. PTB020. Registrazione a Torino. Intervista semistrutturata,
pensionata, 66–70 anni siciliana).
io ti prendo mio zio un nano alto così pugliese // è venuto
su dalla puglia con mio nonno
(KIParla. PTA005. Registrazione a Torino. Intervista semistrutturata,
operaio, 26–30 anni, piemontese).
Tra i casi di riferimento a una dimensione verticale convenzionale, l’avverbio giù che lessicalizza la prospettiva verso il basso è anche utilizzato in contesti dove la dimensione verticale sembra neutralizzata, come nell’esempio (17), essendo il Veneto alla stessa latitudine del parlante, e indicare così luoghi lontani senza altra specificazione, come in (18), oltre che nel caso del riferimento giù alle Hawaii già visto nell’esempio (5).
eh mio padre // mh mh // era disoccupato anche giù nel
veneto no // mh
(KIParla. PTB024. Registrazione a Torino. Intervista
semistrutturata).
per esempio quelli diciamo dal luogo più lontano della terra dal
mare cioè tashkent a samarcanda // eh e poi giù in tagikistan
no
(KIParla. BOD1009. Registrazione a Bologna. Lezioni. Professionista di
elevata specializzazione, maschio, 31–35 anni, nato
all’estero).
Prima di passare alla discussione di questi dati, è opportuno sintetizzare con l’ausilio della Tabella 2 le caratteristiche riscontrate nell’uso posizionale di su e giù. L’attivazione di questa funzione avviene in base alla prospettiva del parlante, e in particolare della sua posizione rispetto a: punti di riferimento che possono essere costruiti nel discorso, compresi nell’ambiente di cui si parla o costituiti da luoghi geografici designati da nomi comuni o, più spesso, da toponimi. La stessa funzione si ritrova inoltre in contesti in cui è adottata una prospettiva convenzionale, riferita alla dimensione geografica nord-sud o anche neutralizzata, soprattutto con luoghi di riferimento distanti da quello della posizione di parlante e interlocutore al momento dell’enunciazione.
Tabella 2: Su, giù in funzione posizionale
Come si è rilevato nella sezione precedente, la funzione posizionale nel tipo di sintagmi preposizionali complessi qui considerati è condivisa dagli avverbi su e giù, al centro della nostra attenzione, e dagli avverbi locativi deittici. In risposta alla prima domanda di ricerca, si può quindi affermare che essi costituiscono l’inventario degli avverbi posizionali dell’italiano.
La risposta alla seconda domanda di ricerca, relativa al contributo semantico degli avverbi in funzione posizionale, si è rivelata molto più articolata. Anzitutto, come si è già anticipato nella sezione 1., in questa funzione tutti gli avverbi mettono in relazione la situazione descritta da una frase con un campo di riferimento deittico. Questo ha come orīgo il parlante con gli avverbi locativi deittici, che quindi mantengono la semantica che li caratterizza anche in altre funzioni, come si è visto nella sezione 2.2.
A differenza di questi, nell’uso in funzione posizionale degli avverbi su e giù l’orīgo del sistema deittico non è il parlante, ma una prospettiva lungo una dimensione verticale a cui il parlante associa la situazione descritta nella frase in base a un punto di vista. Come anche già sintetizzato nella Tabella 2, questo può essere dato nel discorso (es. 11) o implicato pragmaticamente (ess. 12, 13), oppure considerato condiviso rispetto al territorio di cui si parla, in base alla sua morfologia (es. 14) e, convenzionalmente, al continuum geografico tra i poli nord e sud (ess. 15 e 16).
I fattori all’origine di questa convenzione non sono di facile individuazione. Da una parte si possono ricondurre alle espressioni “alto N”, “basso N” che designano porzioni rispettivamente settentrionale e meridionale di luoghi geografici, come Alta Italia e Bassa Italia, o Alto Sebino e Basso Sebino, oltre che porzioni di luoghi geografici rispettivamente posizionati ad altezza diversa, come Bergamo Alta e Bergamo Bassa, e anche la Bassa Padana per la zona pianeggiante. Con i fiumi le due espressioni designano porzioni meno e rispettivamente più vicine alla foce, come in Alto Adige e, ancorché non usuale, basso Adige. Si ricordi poi che una dimensione verticale, riferita sempre in senso relativo a zone montuose e pianeggianti, si ritrova nella classificazione di dialetti, come in alto tedesco e basso tedesco (oberdeutsch, niederdeutsch) parlato nella zona alpina e nella pianura, cioè a sud e rispettivamente a nord.
La coppia su e giù negli usi convenzionali sembra poi configurare una dissimmetria che vede giù meno marcato e suscettibile di comparire in contesti di neutralizzazione, dove assume il significato di lontano da parlante e interlocutore. Questa caratteristica sembra diffusa tra varietà e lingue diverse, come mostrano l’italiano laggiù, il francese là-bas e la lessicalizzazione downtown ‘centro città’ nell’inglese americano. La dissimmetria è pure presente nei sistemi di deissi orientata al territorio, dove però il termine non-marcato è l’avverbio ‘fuori’, come si può desumere dall’uso di fø nell’italo-romanzo di Poggiridenti e in quello del corrispondente fò per ‘là’ nell’italo-romanzo di Bergamo.
La dimensione verticale in termini concreti e convenzionali è l’unica comune agli usi posizionali riscontrati in italiano rispetto ai sistemi descritti in Prandi (2017, 2018), ancorché in termini diversi: con un’orīgo fissata nel centro del paese di riferimento di una piccola comunità montana da una parte; convenzionali nell’italiano parlato in una comunità consistente che non condivide la stessa configurazione territoriale dall’altra. Tuttavia il fatto che secondo Prandi (2017) la dimensione verticale è l’ultima ad essere abbandonata nel caso di riduzione dei sistemi di deissi orientata al territorio, induce a riconoscerla come la più saliente e il suo riferimento può quindi insorgere in base alle condizioni pragmatiche delle interazioni, come si è visto negli esempi (11) e (12).
In risposta alla terza domanda di ricerca, queste osservazioni indurrebbero ad assegnare alle condizioni di discorso maggior peso specifico che a sostrato dialettale con deissi orientata al territorio nell’insorgere degli usi posizionali di su e giù, in analogia a quanto si riscontra con gli avverbi locativi deittici. Tuttavia una risposta più accurata alla terza domanda di ricerca impone di considerare nel discorso dei parlanti l’effettiva occorrenza di su e giù posizionali, che sono in sé non necessari per comprendere il ruolo del sintagma preposizionale locativo che accompagnano nella situazione descritta dalla frase. I dati qui presentati non permettono per ora di approfondire la questione in termini più accurati. Dei parlanti compresi nel corpus è indicata la regione della loro origine geografica (“participant_geographic_origin”), che con la cautela del caso può essere indizio di una varietà regionale. Tuttavia la presenza rilevante di parlanti con origini piemontesi (10/17 per su, 8/24 per giù) e la dispersione del resto delle occorrenze tra parlanti con origini regionali diverse, sia settentrionali che meridionali, non può essere considerata per ora significativa.
La ricognizione effettuata sul corpus KIParla ha permesso di rilevare la presenza di usi posizionali di avverbi locativi deittici e, agli estremi di una dimensione verticale, degli avverbi su e giù. In una frase tutti specificano il rapporto tra il sintagma preposizionale locativo che accompagnano e la situazione descritta dalla frase. La loro presenza è irrilevante per quanto riguarda la comprensione della frase in cui occorrono, essendo quel rapporto sempre recuperabile almeno a livello pragmatico.
Per quanto riguarda in particolare gli avverbi su e giù, il loro utilizzo più o meno frequente nelle interazioni e più o meno diffuso tra parlanti con diverso retroterra diatopico o diastratico merita di essere ulteriormente approfondito per ricondurne le motivazioni alle condizioni di discorso o al sostrato dialettale della varietà regionale dei parlanti, sostrato in cui vi siano sistemi di espressione della deissi orientata al territorio. Per quanto riguarda in particolare l’utilizzo di su e giù posizionali con nomi geografici e toponimi, si può ipotizzare un continuum di usi che comprendono:
i casi qui esemplificati in (14) in cui i parlanti ancorano le espressioni deittiche a una mappa condivisa del territorio, ancorché non ristretta come nei casi studiati da Prandi (2017, 2018);
i casi di riferimento convenzionale nord-sud (ess. 15, 16), nei quali i termini di riferimento della mappa condivisa del territorio corrispondono al quadro di riferimento assoluto secondo Levinson & Wilkins (2006), in cui la relazione tra un tema e il luogo di riferimento è espressa in base a punti fissi e noti come i punti cardinali;
casi in cui l’uso dell’avverbio posizionale su, giù sembra riprodurre solo lo schema strutturale di Avverbio posizionale+SP, senza lasciarsi ricondurre a una mappa condivisa come in a. e b., come nell’esempio (19) qui riportato, prodotto a Milano. Camogli, sulla costa ligure, è a sud di Milano, rispetto a cui non si può relazionare in termini di altitudine.
Infine, oltre che interessante dal punto di vista della variazione indotta da condizioni di discorso o retroterra regionale, l’osservazione della funzione posizionale degli avverbi locativi su e giù, nonché dei deittici, permette di osservare come la macro-funzione di modificazione che individua la classe di parola degli avverbi incida sia in termini semantici che pragmatici sul contenuto proposizionale della frase al di là del costituente su cui ha portata e rispetto al quale si comporta come una preposizione testa di un SP complesso. Gli avverbi posizionali si prestano a osservazioni che aiutano a meglio definire le categorie di classi di parola, una tematica cara a Giampaolo (Salvi 2013), a cui questo lavoro è dedicato.
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Lo scrivente è grato a Cino Renzi, Marco Mazzoleni e Bálint Huszthy per le stimolanti osservazioni avanzate durante la discussione della presentazione.↩︎
Pavv ‘preposizione avverbiale’; Pmon ‘preposizione monosillabica’.↩︎
L’esempio (3), come altri riportati nel seguito di questo lavoro, è tratto dal corpus KIParla, che verrà presentato più avanti. Per ogni esempio di questo tipo viene dato il codice di riferimento nel corpus, la località di registrazione, il tipo di conversazione da cui è tratto, nonché professione, sesso, età e provenienza geografica del parlante che ha prodotto l’esempio. Gli esempi riprendono la forma con cui sono trascritti nel corpus KIParla, con eventuali ripetizioni (cfr. viene viene in (3)) o apparenti refusi (stito per stato in (5)).↩︎
Il corpus è disponibile con accesso libero al sito https://kiparla.it/ (ultima consultazione il 30.04.2024). Sono grato a Massimo Cerruti per i suggerimenti relativi alla consultazione del corpus e alle potenzialità di registrazione delle caratteristiche dei parlanti che hanno prodotto gli esempi selezionati.↩︎
Ringrazio Bálint Huszthy e un revisore anonimo per aver fatto osservare come il riferimento a una dimensione verticale sia presente anche in ungherese, ma intesa come metafora della posizione superiore della capitale Budapest rispetto a ogni altra località del Paese. Si dirà quindi Budapestre felmegyek ‘vado su a Budapest’ e Miskolcra/Pécsre lemegyek ‘vado giù a Miskolc/Pécs’.↩︎