Verbum – Analecta Neolatina XXVI, 2025/1

ISSN 1588-4309



Finiti gli studi medi superiori in Canton Ticino nel 1974, Giampaolo si trasferisce a Padova dove, fruendo di una borsa di studio, si iscrive alla Facoltà di Lettere.

A Padova Giampaolo svolge uno studio intenso e una vita certamente ritirata. Frequenta i corsi di Linguistica e di Linguistica ladina di Giovan Battista Pellegrini (1921–2007), ottimo e geniale linguista dalle straordinarie conoscenze. Da lui apprende i rudimenti dello studio delle varietà ladine, oggetto di molti suoi studi, condotti peraltro su aspetti specifici e con una metodologia diversa rispetto a quelli del maestro. È nei suoi corsi che conosce la sua futura moglie Éva Lax, allora borsista a Padova. Giampaolo assiste anche alle mie lezioni di Filologia romanza, credo per due anni. È seduto nell’ultima fila, silenzioso e attentissimo, spesso assieme a Marco Praloran, futuro professore a Losanna, scomparso prematuramente. Nessuno dei due interviene mai quando io invito a fare delle domande, così come da studente non ero mai intervenuto nemmeno io. Diventa mio laureando. Io ero allora un giovane professore, che, quando Giampaolo comincia a studiare a Padova nel 1974, aveva 35 anni, 15 più del mio allievo, e avevo da poco cominciato a insegnare all’Università dopo un anno alla scuola media e qualche giro per il mondo fruendo di borse di studio.

Stavo allora preparando la mia giovanile Introduzione alla filologia romanza (preprint da Pàtron, Bologna, 1975; 1.a ed. il Mulino 1976), poi Manuale di linguistica e filologia romanza in collaborazione con Alvise Andreose dal 2003, sempre presso il Mulino con varie ristampe e continue revisioni. Stavo anche passando progressivamente dalla filologia (edizione e studio di testi dal punto di vista linguistico ma anche letterario) alla linguistica – era la “linguistica moderna”, e dallo studio delle lingue romanze medievali, tradizionale punto d’attacco della filologia romanza, all’italiano moderno, unica lingua in cui potevo avere le intuizioni del parlante nativo necessarie, secondo Chomsky, alla ricerca. Ma scegliere come lingua di studio l’italiano mi dava anche la possibilità di un colloquio continuo con molti più colleghi e allievi, tra cui ben presto anche con Giampaolo. Lui stesso racconta che la lettura di un mio articolo ‘Grammatica e storia dell’articolo italiano’ (in Studi di grammatica italiana 5, 1976: 5–42) ha avuto un’influenza speciale sulla sua idea di dedicarsi alla linguistica (La linguistica di Lorenzo Renzi in Come cambia il mondo. Storie di lingue, testi e uomini in onore di Lorenzo Renzi, Esedra: Padova, 2021: 87–107: p. 88, nota 3).

Era il mio primo articolo fatto, bene o male, secondo i presupposti della linguistica moderna. Questi erano, e restano, per me:

Diressi la tesi di laurea di Giampaolo Salvi, Gli ausiliari in alcune lingue romanze e in altre lingue, Università di Padova, 1978, pp. (iii)+230. In realtà Giampaolo fece tutto da sé, e io mi limitavo a leggere i diversi capitoli man mano che me li passava già bell’e finiti, con compiacimento.

La chiave era data dal procedimento della “ristrutturazione”, che è il processo per cui i verbi “sum” e “habeo” diventano da verbi pieni, dotati di significato, “ausiliari”, semplici strumenti grammaticali che strutturano in altro modo la frase. Il tema della tesi venne poi ripreso in alcuni articoli: ‘Gli ausiliari ’essere’ e ‘avere’ in italiano’, Acta Linguistica Academiae Scientiarum Hungaricae 30, 1980: 137–162 e Sulla storia sintattica della costruzione romanza habeo + participio, Revue Romane 17, 1982, 118–133, e, parecchio tempo dopo, anche in ‘Syntactic Restructuring in the Evolution of Romance Auxiliaries’, in: M. Harris & P. Ramat (eds.): Historical Development of Auxiliaries, Berlin: Mouton de Gruyter, 1987, 225–236.

In questo periodo di studi, ma anche di entusiasmo per le novità scientifiche, Giampaolo non è solo, ma trova a Padova diversi giovani studiosi che si applicano seguendo gli stessi principi a soggetti affini ai suoi, e che diventano nomi di punta della nuova ricerca scientifica e veri e propri innovatori in vari domini di ricerca. C’è Paola Benincà (nata nel 1942), allora ricercatrice del Centro di Dialettologia del CNR, che sarà ordinaria di Linguistica a Milano Statale e poi, di ritorno, a Padova; Guglielmo Cinque (1948), a quei tempi avanti e indietro dagli Stati Uniti, poi professore a Venezia e spesso visiting professor negli Stati Uniti e in altri paesi; Laura Vanelli (1946) professoressa a Padova. Tra i suoi compagni di studi, ci sono Gianguido Manzelli, nato nel 1950, che sarà professore di Linguistica e di Filologia ugro-finnica a Pavia, e Marco Praloran, del 1955, scomparso prematuramente nel 2011, professore di linguistica italiana all’Università di Losanna. Ricordo infine il più giovane Andrea Calabrese, poi professore negli Stati Uniti, University of Connecticut. Mi scuso se qualche altro nome al momento mi sfugge.

Tra i coetanei ticinesi che Giampaolo deve lasciare quando viene a studiare a Padova menzioniamo almeno Massimo Danzi (1951), professore di italianistica a Ginevra, con cui è restato in contatto fino a oggi.

Nel 1978 con la discussione della tesi si concludono gli studi di Giampaolo Salvi a Padova. Il suo libretto riporta il risultato degli esami: 15 trenta e lode, 4 trenta, 1 ventisette. Voto finale, naturalmente, 110 e lode. Che io sappia a Padova, alla Facoltà di Lettere e Filosofia, di curricula così brillanti ce ne sono stati pochi. Uno è stato quello dello scrittore vicentino Luigi Meneghello (Libera nos a Malo, 1963), che tra il luglio del ‘40 e l’ottobre del ’42 aveva collezionato 21 trenta e lode di seguito. Ma era seguita la guerra, lo scrittore era passato da Lettere a Filosofia e soprattutto dal fascismo alla guerra partigiana, con scadimento completo degli ultimi voti. Diventò poi professore all’Università di Reading, e capo di Istituto. In totale insegnò a Reading dal 1961 al 1980, anno in cui si pensionò. Giampaolo insegnò alla Università Eötvös Loránd di Budapest dal 1980 al 2023, superandolo di un bel po’.

Ma torniamo indietro per procedere in ordine cronologico. Dopo la laurea Giampaolo parte da Padova, non per tornare a casa nel suo Ticino, ma per stabilirsi a Budapest, al momento come disoccupato, “rapito” da Éva Lax docente a Budapest, con cui si sposa, come ho già detto.

La partenza di Giampaolo da Padova e dall’Italia non interrompe i nostri rapporti. Sono, adesso, rapporti telefonici ma anche in presenza quando, di tanto in tanto, torna a Padova, in genere facendo tappa tra Budapest e il Ticino. Durante uno dei suoi primi soggiorni a Padova, nel 1979, probabilmente, gli faccio leggere un mio articolo appena scritto, Ordine fondamentale delle parole in francese antico. Dopo qualche giorno, Giampaolo mi presenta un suo scritto che completa, con molto maggior rigore, il mio: Ordine delle parole e forme composte del verbo in francese antico. Presento tutti e due gli articoli al prof. Alberto Varvaro, direttore della rivista Medioevo Romanzo, che li pubblica molto opportunamente insieme, prima il mio, di carattere più generale, poi quello di Giampaolo, in Medioevo Romanzo 7, 1980: 161–181 e 182–200. È il primo articolo della carriera scientifica di Giampaolo, il primo di una lunga, lunghissima carriera che è ancora in corso, come risulta dalla sua bibliografia.

Negli anni Ottanta collabora al I volume della Grande grammatica italiana di consultazione, a mia cura, Bologna: il Mulino, 1988, con i capitoli fondamentali ‘La frase semplice’, che apre il volume, pp. 37–127, e, con Paola Benincà, ‘L'ordine degli elementi della frase e le costruzioni marcate’, pp. 129–239. Non credo che avesse preso parte a nessuna delle riunioni preparatorie durate parecchi anni a Padova, Firenze, Bressanone, Amelia (Terni) e a Roma, dedicate alla discussione dell’impostazione teorica della Grammatica, ma ne fu fin dall’inizio il custode più fedele, ma dotato, anche, devo aggiungere, del giusto pragmatismo.

La cura dei volumi seguenti, II e III, era per me un impegno molto gravoso, e mi venne in mente, mentre Giampaolo si trovava a Padova, di chiedergli se non voleva diventare curatore assieme a me del II volume. L’offerta era nelle cose perché avevamo di fatto già cominciato a lavorare assieme su alcuni capitoli già disponibili. La difficoltà era la lontananza tra Padova e Budapest, e, bisogna ricordare, in Ungheria c’era ancora il Comunismo. Non c’era la posta elettronica e la posta funzionava male, come sempre in Italia, cosicché alle volte ci servivamo di spedizionieri privati. A Padova andavo io stesso allo scalo camionistico della ditta Domenichelli, dove consegnavo un modulo che compilavo poco prima. E l’unica copia dattilografata della Grammatica se ne andava per le strade del mondo! C’era qualche pericolo, ma tutto andò benissimo. Il 2o e il 3o volume hanno per curatori i nostri due nomi.

Avremmo collaborato per più di vent’anni, dal 1988 al 2010, data dell’apparizione della Grammatica dell’italiano antico, a cura di G. Salvi e L. Renzi, Bologna: il Mulino, 2010, di ben 1745 pagine (in 2 tomi), ma occasionalmente anche dopo. Così, considerando solo le edizioni definitive, ci sono adesso in tutto due libri in cinque tomi: Renzi Salvi e Cardinaletti il primo; Salvi Renzi il secondo.

Anche per questa seconda opera Giampaolo fece innumerevoli viaggi a Padova, io un po’ meno a Budapest, ospiti uno dell’altro. Una volta lavorammo insieme anche in un albergo di Roma, dove Giampaolo era stato invitato a tenere un corso a una scuola estiva di linguistica diretta da Raffaele Simone. Dopo pranzo io facevo un breve pisolino in una grande poltrona di cuoio nella hall, mentre Giampaolo continuava a lavorare.

A Budapest trovò colleghi più anziani e coetanei e ebbe presto anche allievi. Non entro in questa materia anche se nei miei frequenti viaggi da lui ho conosciuto molte delle persone che lo circondavano. Voglio solo ricordare qui un uomo e studioso di grande valore, József Hermann (1925–2005), latinista e romanista, universitario e accademico d’Ungheria, proprio come sarebbe diventato Giampaolo. Herman prese presto sotto la sua ala protettrice il giovane Salvi seguendo da vicino i suoi studi per qualche tempo. Fu il suo direttore di tesi di dottorato, che apparve a stampa a Tübingen nella collana da lui diretta, ed è una delle grandi opere di Giampaolo: La formazione della struttura di frase romanza. Ordine delle parole e clitici dal latino alle lingue romanze antiche, Tübingen: Niemeyer, 2004. Negli anni Settanta Giampaolo ampliò le sue conoscenze di romanista imparando da solo il portoghese antico e moderno. Si aprì così per lui un nuovo campo di ricerca. Nella nuova edizione del 1993 della mia Nuova introduzione alla filologia romanza apparvero alcuni pezzi a sua firma, in particolare quello sul Galego-portoghese e sul Portoghese moderno. Si aggiungeva anche il Soprasilvano. Anche in quest’ultima area il giovane studioso stava affinando le sue conoscenze, rarissime tra gli studiosi.

Quando lavoravamo insieme le giornate erano intense. Qualche volta interrompevamo il lavoro comune, che si svolgeva dopo il 1988 davanti a uno stesso computer, o perché uno di noi aveva lezione (in genere Giampaolo) o per un caffè la mattina o una passeggiata la sera. A Padova verso sera andavamo per i campi fino all’aeroporto Allegri. Erano innocui passatempi, alla fine dei quali potevamo veder atterrare degli aerei di diporto. In questo modo sono nati i due volumi rimanenti della Grande Grammatica (1992 e 1995), e i due che costituiscono la Grammatica dell’italiano antico, Bologna: il Mulino, 2010, pp. 1745 (in 2 tomi); poi la nuova edizione della prima (2001), fino alle diverse presentazioni delle due grammatiche, alla più recente edizione della Grande Grammatica del 2022. Siamo quasi a oggi!

Ma per restare ai tempi giovanili ed eroici degli inizi, vorrei presentare un altro aspetto. Come per ogni altra cosa, per fare dei libri ci vogliono dei soldi. Ma le spese per la preparazione della colossale Grande Grammatica furono limitatissime, e così i finanziamenti. I viaggi di Giampaolo e quelli miei, in aereo o in treno, erano finanziati dalle rispettive università. Giampaolo soggiornava a casa mia e pranzava con la mia famiglia, così come io ho cenato tante volte a casa Salvi-Lax. Gli spostamenti diversi da Budapest-Padova-Budapest erano molto limitati, e avvenivano spesso in coincidenza di congressi. Una volta, non ricordo l’anno preciso, ma sempre negli anni eroici e comunque prima del fatidico 1989, chiesi al CNR italiano una sovvenzione per un viaggio di Giampaolo a Padova per la preparazione della Grande Grammatica, e indicai la somma necessaria per il solo viaggio, circa 90.000 lire. Il CNR rifiutò. Il collega linguista Paolo Ramat, che era il presidente della Commissione per la Linguistica, mi fece sapere che non aveva potuto dare corso alla richiesta perché la somma indicata era troppo bassa. C’era un accordo nella commissione di non tenere in considerazione le richieste di meno di 100.000 lire. A proposito di quattrini, ricordo che al tempo gli stipendi degli universitari erano modesti, soprattutto in Ungheria, e che non era facile sostenere le spese da sé. Temo che Giampaolo abbia dovuto farlo qualche volta, ma, sapete com’è fatto, non se ne è mai lamentato.

Aggiungo che Giampaolo, ormai professore a Budapest e direttore di dottorato, interessato, come tutti i bravi professori a coltivare bravi allievi, portò alla Grammatica due ottime collaboratrici ungheresi, come Lenka Meszler e Borbála Samu, autrici di capitoli sull’italiano antico, e redattrici, Ildikó Szijj e Judit Gál.

La Grammatica dell’italiano antico, Bologna: il Mulino: 2010, in 2 tomi, risulta curata da Salvi e Renzi, nell’ordine. Qualche dettaglio storico. La preparazione dell’opera durò circa dieci anni. Ai tempi della Grande Grammatica io, benché ancora giovane, ero comunque il più anziano. Ero stato il coordinatore del gruppo degli autori. Nelle riunioni preparatorie alcuni non avevano ancora trent’anni. Ma dieci anni dopo, al momento della pubblicazione della Grammatica dell’italiano antico, ero ormai un uomo maturo, preso, come succede, da molte cose di lavoro e familiari, amministrative e organizzative. Cominciavo anche a essere, devo confessarlo, meno al corrente degli studi linguistici recenti. La mia memoria si era indebolita, mentre quella di Giampaolo era, ed è ancora, lo sapete, infallibile! Ora i particolari, ora la sintesi, ora la linea interpretativa dei capitoli su cui lavoravamo, mi sfuggivano. Per fortuna c’era Giampaolo, l’allievo che aveva superato il maestro! La sua presenza era ora necessaria più che mai, e se i volumi furono pronti nel 2010 e se l’opera nel suo insieme, credo, tiene, è stata soprattutto opera sua. Mentre il lavoro si stava concludendo pensai di chiedere a Giampaolo di apparire nel frontespizio come primo curatore. Naturalmente rifiutò, ma, dietro mia insistenza, alla fine accettò. L’editore fu d’accordo. Anche in altri successivi articoli comuni ci fu una gara per l’ordine dei nomi, sempre nel senso che ognuno voleva che l’altro apparisse per primo.

Lorenzo Renzi
Università di Padova