Verbum – Analecta Neolatina XXVI, 2025/1
ISSN 1588-4309; https://doi.org/10.59533/Verb.2025.26.1.1
Abstract: The definite article is traditionally identified with the linguistic expression of a definite description. In grammatical systems akin to those of Western European languages, the only variation would lie in the presence or absence of the article in generics (water / l’acqua). This simplistic approach has sidelined a whole range of alternative uses of the article, known but kept aside as irrelevant. This study systematically overviews this variation space. The reading as definite description or generic is its core, where variation is driven deterministically by the nominal’s denotation and by the morphosyntax of the relevant language. But the function of uniquely identifying the referent in the pragmatic and encyclopaedic context underlies more uses of the article. They outline a broader variation space, which seems arbitrary only because the relevant factors are not just strictly grammatical but also communicative.
Keywords: article, definite article, definiteness, definite descriptions, expletive article, individuation
Riassunto: Tradizionalmente si identifica l’articolo definito con l’espressione linguistica di una descrizione definita. Nei sistemi grammaticali come quelli delle lingue europee occidentali, l’unica variazione starebbe nell’uso o assenza dell’articolo (water / l’acqua ). Questa impostazione semplicistica ha portato a ignorare tutta una serie di altri usi dell’articolo, conosciuti ma considerati irrilevanti. Questo studio passa in rassegna sistematica questo spazio di variazione. L’interpretazione come descrizioni definite e come generici è il suo nucleo centrale, in cui la variazione dipende deterministicamente dalla denotazione del nominale e dalla morfosintassi della lingua. Ma la funzione di individuazione del referente nel contesto pragmatico e enciclopedico sottende altri usi dell’articolo. Questi delineano uno spazio di variazione più ampio, che sembra arbitrario solo per la rilevanza di fattori comunicativi e non strettamente grammaticali. diventi parte della norma linguistica accettata.
Parole chiave: articolo, articolo definito, definitezza, descrizioni definite, articolo espletivo, individuazione
La nozione di articolo definito identifica un elemento grammaticale con un valore semantico. Ma questo elemento ha una distribuzione diversa in ognuna delle lingue in cui è presente. Questo vale anche per sistemi tipologicamente affini, e in particolare, per quel sottoinsieme di lingue indoeuropee che una lunga storia di interazioni e convergenze ha permesso di considerare come un profilo tipologico omogeneo, chiamato ‘Standard Average European’ (Haspelmath 2001). L’osservazione è banale, anche se già di per sé pone la questione di come circoscrivere un contenuto centrale fisso, in base al quale si possa parlare di istanze dello stesso morfema. Ma un confronto approfondito porta a conclusioni ben più significative e articolate. Anche limitando l’esame a un ventaglio ristrettissimo di lingue europee, la distribuzione dell’articolo definito risulta ben più variabile di quanto si tenda a credere. Soprattutto, emerge una importante distinzione tra contesti in cui la distribuzione dell’articolo (nella stessa lingua come in lingue diverse) è determinata rigidamente in funzione dell’interpretazione semantica, e altri in cui influiscono fattori pragmatici, contestuali, e probabilmente stilistici, così che la presenza dell’articolo non è deterministicamente predicibile in funzione del sistema grammaticale. L’obiettivo delle sezioni che seguono non è presentare fenomeni nuovi o proporre un’analisi inedita, ma mettere in relazione fenomeni poco noti e trattati isolatamente, per giustificare una tesi di fondo: anche quando possiamo a buon diritto identificare un morfema con il valore costante di articolo definito in lingue diverse, in realtà questo elemento ha un ventaglio di funzioni, diverse per ogni sistema. La nostra breve ricognizione fa pensare che questi contenuti aggiuntivi abbiano tutti la funzione di qualificare il rapporto tra l’entità denotata dal nominale definito e il centro deittico del parlante; ma questo dominio empirico resta in larga parte da esplorare sistematicamente.
L’italiano il gatto, il francese le chat, lo spagnolo el gato, il catalano el gat, il nederlandese de kat, il tedesco die Katze, l’inglese the cat, il greco i gata, l’irlandese an cat, l’ungherese a macska, e l’arabo al quṭ, sono sinonimi che comportano un articolo definito; a loro possiamo aggiungere le versioni con articolo suffissato dell’albanese macja, il danese, norvegese, svedese katten, e il rumeno pisica. In tutti questi casi, l’articolo fa sì che il sintagma nominale venga interpretato come una descrizione definita, una categoria centrale nella semantica del linguaggio naturale, e ampiamente studiata a partire da Frege (1892) e Russell (1905) (Strawson 1950, Heim 1982, 1991, Löbner 1985, Elbourne 2013). Una descrizione definita non è solo vera di un unico referente, ma presuppone la sua esistenza e la sua identificabilità univoca, il che di solito comporta che sia un referente già presente nel dominio di discorso: il gatto è interpretato come l’entità, unica e data come esistente e presente nel dominio di discorso, che risponde alla descrizione gatto. La stessa interpretazione si estende alle descrizioni definite plurali o massa, con l’avvertenza che in questo caso l’unicità è data dal riferimento alla somma totale dei referenti che soddisfano la descrizione: i gatti si riferisce all’unica somma totale di gatti dati nel contesto, e l’acqua (mettendo per ora da parte l’interpretazione generica) si riferisce alla somma totale delle parti di acqua nel contesto. È chiaro che molto altro resta da aggiungere, per esplicitare come lo stesso tipo di interpretazione si applichi a strutture come il gatto che credevi di aver visto (dove è la frase relativa che restringe la denotazione e ne presuppone l’esistenza solo nelle credenze dell’interlocutore), oppure a un semaforo rosso, è bene spegnere il motore (dove l’esistenza di un motore univocamente identificabile è presupposta indirettamente, tramite la conoscenza del mondo). Ma queste e altre necessarie precisazioni non modificano la nozione centrale di descrizione definita, che sta alla base delle interpretazioni dell’articolo.
La variazione interlinguistica diventa rilevante se consideriamo le interpretazioni generiche. Referenti parafrasabili come ‘la generalità degli orsi in quanto specie’ o ‘l’acqua come elemento in sé’ richiedono l’articolo nelle lingue romanze, ma in inglese questo vale solo per i nomi numerabili al singolare; il plurale dei nomi numerabili e il singolare dei nomi massa in questa lettura appaiono senza articolo quando l’interpretazione è indipendente da un contesto particolare (the water o the bears sono le forme più naturali quando l’interpretazione si intende ancorata a una situazione):
inglese | francese | italiano |
---|---|---|
bears hibernate | les ours hibernent | gli orsi vanno in letargo |
the bear is a mammal | l’ours est un mammifère | l’orso è un mammifero |
water changes state at 0 ˚C | l’eau change d’état à 0 ˚C | l’acqua cambia stato a 0 ˚C |
love conquers all | l’amour l’emporte sur tout | l’amore vince tutto |
Questo tipo di variazione è ampiamente studiato, specialmente in relazione all’uso di diversi determinanti (tra cui zero) per le interpretazioni generica e esistenziale. Ma la variabilità è molto più capillare di quanto sembri da questi schematici contrasti.
Anzitutto, la descrizione appena richiamata, secondo cui l’inglese differisce dalle lingue romanze per l’assenza di articolo con nomi ‘massa’, è semplicistica. A comportarsi come water sono anche nomi per nozioni astratte come love, ma anche courage, heat, science, philosophy, che sono ‘massa’ nel senso che si comportano come tali morfosintatticamente. Ciò che li accomuna a water non può essere il riferimento a sostanze concrete ‘continue’, esperite sensorialmente come prive di una forma stabile (Kontur) e di una strutturazione riconoscibile in parti costitutive. Né può dipendere dall’essere astratti, perché altri astratti come number sono invece numerabili, e molti altri come virtue ammettono entrambe le costruzioni. È descrittivamente più adeguato affermare che, in presenza di una lettura generica, non relativa a una situazione specifica, l’inglese impone l’articolo definito su tutti e solo quei nomi che hanno una denotazione strutturata in atomi (nel senso preciso di elementi minimi e di dimensioni uniformi) nella propria denotazione. Questo esclude nomi massa come water, la cui denotazione comprende parti di diversa grandezza (le infinite parti in cui è divisibile una quantità data di acqua) ma non elementi minimi di dimensioni fisse. Lo stesso criterio esclude quegli astratti come love e heat che sono interpretabili o come aventi una denotazione strutturata in parti, su cui è definibile una relazione di quantità (a bit of love, more heat), oppure come veri di un dominio denotativo senza nessuna struttura interna, puntiforme (love conquers all, heat is energy arising from the motion of molecules). Non avendo una denotazione strutturata in atomi, questi nomi non possono essere preceduti dall’articolo definito quando la loro interpretazione non è relativa a un contesto situazionale specifico. Questa descrizione ci permette di capire perché l’articolo debba essere assente anche su una serie di nomi che non sono mai discussi nella letteratura sulla contabilità, e che sarebbe per lo meno controintuitivo chiamare ‘massa’:
Si tratta semplicemente di nomi che non strutturano affatto il loro dominio di denotazione: se water, ma anche love (in una interpretazione), sono veri di qualcosa che può essere concettualizzato come più o meno grande, e quindi con un dominio di denotazione strutturato in parti, il lunedì o il rosso sono semplicemente veri di ciò che nominano come un tutto unico e indivisibile, un punto matematico, esattamente come love nell’interpretazione più astratta.
Una seconda importante precisazione emerge confrontando il comportamento dell’inglese con quello del tedesco.2 Se un termine inglese come philosophy, come designazione astratta e generica, è inaccettabile se determinato dall’articolo ((*the) philosophy has a long tradition), il tedesco, per molti versi così simile, ha condizioni decisamente diverse. Nei casi obliqui, l’articolo è notoriamente la norma, anche per i nomi propri (Gallmann 2004); ma nel nominativo e accusativo, questi nomi astratti ricorrono sia con che senza l’articolo, come in questi esempi dello stesso autore, tratti dalla stessa pubblicazione a poche pagine di distanza:
Più delle condizioni che regolano l’uso dell’articolo su questo tipo di astratti in tedesco, ciò che conta è il fatto che questi due sistemi grammaticali così simili3 evidenzino un tipo di distribuzione ben diverso: in inglese, la presenza o meno dell’articolo dipende in maniera deterministica dal tipo di denotazione del nome (a seconda che sia strutturata o meno in atomi), mentre in tedesco intervengono fattori legati al contesto informazionale, che generano l’impressione di una distribuzione ‘libera’. Questa differenza è importante: anche se il valore di base dell’articolo definito è costante, e si basa sulla nozione di descrizione definita, in molti sistemi la sua distribuzione non si può determinare del tutto su base semantico-grammaticale, perché entrano in gioco fattori legati al contesto pragmatico. L’inglese illustra, in un certo senso, una versione strettamente ‘grammaticale’ dell’articolo, che però è relativamente rara; in altre lingue, e in particolare nell’intero dominio romanzo, l’articolo definito ha una funzione più complessa, legata non solo alla semantica del sintagma nominale ma al modo in cui questo è inserito nel contesto comunicativo (e, sembrerebbe, anche a scelte stilistiche). Il non aver tenuto conto di questa importante distinzione ha portato a emarginare un’ampia serie di usi dell’articolo in romanzo (e in altre lingue europee), che ci accingiamo a esaminare.
Che il francese permetta l’uso di descrizioni definite in vocativi come les enfants! è ben noto, ma non sembra che sia stato tenuto in debito conto. Dobbiamo a Ashdowne (2004) un illuminante studio che evidenzia il nesso privilegiato, ma non esclusivo, tra questo tipo di vocativi definiti e i plurali collettivi e le espressioni di possesso, soprattutto in stadi anteriori della lingua (da cui si sono sviluppati appellativi originariamente possessivi come madame la marquise):
Ashdowne fa presente che il fenomeno non è isolato, ma si riscontra anche in romeno, come qui illustrato da fetelor, con il suffisso di definitezza:
Ma anche nel dominio italoromanzo si trovano strutture di questo tipo: non solo appellativi come in (8), ma anche la ben più diffusa struttura italiana qui illustrata in (9) con un esempio letterario che ne permette la datazione esatta (ante 1788, la pubblicazione del Don Giovanni di cui Lorenzo Da Ponte scrisse il libretto):
U mest!
‘capo / maestro!’ (dialetto di Bari)
Caro il mio Masetto!
La funzione dell’articolo in questi vocativi va precisata separatamente per ogni sistema, dal momento che la loro distribuzione varia significativamente. Ma nel suo insieme il fenomeno ha un’estensione non trascurabile, ed è pienamente integrato nei rispettivi sistemi grammaticali; in italiano, per esempio, caro il mio N contrasta nettamente con l’impossibile *il mio caro N in funzione vocativa. Non si può parlare semplicemente di un morfema “ridondante”, perché il suo uso è circoscritto da condizioni precise, anche se poco esplorate.
La stessa conclusione, rafforzata, emerge se si considera l’uso dell’articolo con i nomi propri. Questo fenomeno non si limita al semplice contrasto tra un sistema come l’inglese, in cui *the John è del tutto escluso, e altri come il portoghese, il greco moderno, o varietà settentrionali dell’italiano, in cui sono correnti o João, o Yoannis, il Giovanni. Anzi, ridurre la variazione a un’opposizione binaria di questo tipo distorce gravemente i fatti. In inglese, se *the John è effettivamente inconcepibile, l’articolo accompagna regolarmente gli idronimi come The Thames, The Usk, davanti a nomi che, esattamente come John, non hanno un contenuto descrittivo. D’altra parte, descrizioni definite che non contengono nomi propri, come The Milky Way o The Round Table, sono in realtà semanticamente equivalenti a nomi propri, perché designano rigidamente la stessa entità in ogni mondo possibile indipendentemente dall'effettiva denotazione dei predicati (Rabern 2015): la Via Lattea resta la stessa cosa che sia o meno una via, e possiamo affermare senza contraddizione che la Tavola Rotonda in realtà non è rotonda. È oggettivamente falso che il sistema dell’inglese usi l’articolo solo per caratterizzare una descrizione come descrizione definita; quindi, se *the John si oppone a il Giovanni, il motivo non è la mancanza (fortuita) di una variante “espletiva” di questo morfema.
Se i fatti dell’inglese, da soli, dimostrano che la variazione nell’uso dell’articolo definito non può dipendere dal disporre o meno di una variante “espletiva”, un esame più attento dell’uso dell’articolo con nomi propri rivela che la stessa nozione di articolo “espletivo” sia in realtà fuorviante per questi casi. Regionalismi quali il tedesco der Hans, il francese le Jeannot, l’italiano il Gianni esemplificano una funzione dell’articolo (che quindi non è espletivo) come marca di familiarità, sia nel senso che il referente è presupposto come noto e univocamente individuabile nel contesto, che nel senso (collegato) di esprimere una conoscenza privata, personale; il che spiega perché questo uso, con questo senso, sia limitato a nomi individuali di persona (*il Fido) non accompagnati dal cognome, spesso in forma familiare, e sia ben distinto dal senso di casi come il Federici (che vale approssimativamente “il suindicato F.”) o, con personalità pubbliche, il Manzoni o l’Alighieri (ma non *il Dante, come fa notare Nigel Vincent in comunicazione personale).
È bene evidenziare il significato di queste osservazioni descrittive. Posto che Gianni identifichi di per sé un referente in modo univoco in ogni mondo possibile, quando il nome si presenta come il Gianni non potrà essere l’articolo a determinare questa interpretazione. Ma l’articolo, come abbiamo appena constatato, può restringere la denotazione in modi diversi, e in questo senso non è un morfema semanticamente vuoto. Nell’uso regionale di il Gianni o la Maria, il referente univocamente individuato deve essere un essere umano, non solo noto al parlante ma anche in un rapporto di familiarità confidenziale. Casi come il Federici suggeriscono invece una funzione specificamente anaforica, nella misura in cui sono appropriati per referenti già nominati nel testo. Ogni caso va naturalmente studiato a parte: gli usi dell’articolo definito con nomi propri di persona sono molto più diffusi di quanto questi singoli esempi facciano pensare (oltre al catalano, al portoghese, e al greco, e al tedesco regionale e / o familiare, un recensore fa notare anche una varietà locale di ungherese), e l’interpretazione legata alla presenza dell’articolo sarà verosimilmente diversa da un sistema all’altro.
Molto altro sarebbe da aggiungere anche solo per arrivare a una descrizione accurata dell’uso dell’articolo sui nomi propri di persona in italiano, escludendo quindi del tutto la ricca problematica dei vari tipi di toponimi, nonché altri tipi di nomi propri. Per menzionare solo un esempio, con i nomi femminili, l’articolo compare molto più liberamente che con i maschili, ma in due maniere distinte: con i nomi “privati”, che presuppongono una conoscenza diretta, l’articolo induce la stessa caratterizzazione di familiarità e vicinanza emotiva che per i maschili (un’interpretazione esplicitabile come “la nostra Luisa”, “il nostro Luigi”, la stessa che compare in espressioni informali e regionali tedesche come unser Uwe), ma non è limitata all’area lombarda; con i nomi “pubblici”, cioè, in pratica, con i cognomi, l’articolo invece può esprimere semplicemente il genere (biologico, non grammaticale), come già notato da Giusti (2015). Si tratta, come si vede, di convenzioni complesse, che comunque hanno sempre una implicazione di fondo: l’articolo non ha la funzione che ha nelle descrizioni definite, ma non per questo è irrilevante ai fini dell’interpretazione. E questa rilevanza è modulata in modo diverso da lingua a lingua.
La conclusione è la stessa che per la sezione precedente: ogni sistema ha le sue convenzioni e la sua grammatica (per esempio il portoghese e il catalano notoriamente generalizzano l’articolo davanti ai nomi di persona, il secondo anche con una forma specifica en), ma si tratta di variazioni su un tema comune: l’articolo esprime un collegamento, più o meno familiare, tra il referente del nome e il contesto e l’universo di discorso. La sua distribuzione in questi casi dipende da fattori pragmatici che sono pur sempre linguisticamente mediati, ma non sono grammaticali e semantici in senso stretto; di qui la mancanza di legame deterministico tra articolo e contenuto grammaticale e semantico.
Il quadro empirico diventa molto più articolato se ci rivolgiamo a sistemi che, a differenza di quelli considerati finora (e in gran parte della letteratura), non sono stati esplicitamente codificati secondo uno standard prescrittivo. È il caso delle lingue romanze medievali, considerate qui in prospettiva sincronica come sistemi direttamente paragonabili ai loro continuatori moderni ma da loro ben distinti. Per l’antico francese, lo studio approfondito di Mathieu (2009) documenta una distribuzione dell’articolo ben diversa da quella della lingua moderna standardizzata. Un nome può comparire senza articolo quando designa una categoria generale, in posizione iniziale di frase:
Nel prosimetro Aucassin et Nicolette (sec. XIII ineunte), il nome gardin ‘giardino’ compare con l’articolo indefinito per denotare un nuovo referente, con l’articolo definito per denotare un referente presupposto, ma anche senza articolo, sempre per un referente presupposto:4
La Vie de Saint Alexis, più arcaica (metà del sec. XI) e in versi, esibisce un’alternanza simile per un termine astratto come ‘cristianità’:
È ovvio che ognuna di queste occorrenze va analizzata separatamente (come fatto da Mathieu); qui importa notare che queste alternanze implicano che l’articolo non aveva esattamente lo stesso valore che ha nella lingua moderna. Ma possiamo spingerci oltre. Se Crocodille in (10) apre un paragrafo con un nome senza articolo, si deve notare che il titolo (non moderno) dello stesso paragrafo recita dou cocodrille et dou cocatris, con l’articolo. Non solo: un confronto del testo francese con la traduzione fiorentina di Bono Giamboni (ante 1292) evidenzia un’oscillazione nell’uso dell’articolo per un nome astratto, che sembra davvero difficile far risalire a cause morfosintattiche:
Se a vertus risponde virtude, humainne compaignie è tradotto con l’umana compagnia; le due posizioni rispettivamente di soggetto e oggetto diretto non sono equivalenti, ma nessuna comporta una preposizione (come invece en garding in (11)), che potrebbe facilitare la presenza dell’articolo.
Si potrà obiettare che una distribuzione meno nettamente delimitata di oggi è naturale per stadi di lingue romanze parlati 800 anni fa. Ma sarebbe un’obiezione semplicisticamente teleologica, e fondata su un errore di fatto: se è vero che gli stadi antichi delle lingue romanze ci mostrano una distribuzione ben diversa da quella attuale, questo non vuol dire che l’articolo non fosse già pienamente sviluppato già negli stadi di attestazione più antica. Ricordiamo che l’iscrizione romana delle catacombe di Commodilla (IX secolo) recita non dicere ille secrita a bboce, dove ille secrita caratterizza il referente, in maniera assolutamente “moderna” e sganciata dalla deissi spaziale, come presupposto nella consapevolezza reciproca e univocamente individuabile. D’altro canto, la posteriore iscrizione di San Clemente (XI secolo) comprende un fili dele pute, dall’interpretazione assolutamente chiara ma dalla struttura morfosintattica insolita per un lettore moderno. Queste attestazioni antiche, come quelle delle lingue romanze medioevali, non mostrano un morfema in via di formazione, ma un morfema riconoscibile come un articolo definito a tutti gli effetti, ma sensibile a fattori che vanno ben al di là di quelli per noi familiari, incentrati sulla nozione di descrizione definita.
In molti di questi casi, i fattori determinanti possono a buon diritto essere descritti come stilistici più che linguistici. Ancora una volta, bisogna ribadire che ogni caso va analizzato nel suo contesto e relativamente al suo sistema linguistico. Ma sembra difficile negare che, quando la grammatica ammette entrambe le opzioni, la scelta tra versione con e senza articolo serva a modulare il grado di familiarità di un concetto, tramite la presupposizione che sia condiviso nell’universo di discorso, piuttosto che a incasellarlo semanticamente come definito o indefinito. Che l’articolo definito possa avere questa funzione, è un fatto interno alla lingua; la scelta (nei contesti in cui è dimostrabile) è un fatto stilistico, certamente non determinato dalla grammatica della lingua. Potrà essere utile illustrare con una coppia minima tedesca, presa dalla stessa pubblicazione di (3), dove ‘la mentalità XY’ è ripetuto come soggetto di due frasi immediatamente adiacenti, ma prima senza e poi con l’articolo:
I due sintagmi nominali soggetto evidenziati dalle parentesi quadre hanno una funzione parallela e denotano due varietà dello stesso tipo di oggetto astratto (una mentalità), eppure solo il secondo si presenta con l’articolo. Quale che sia l’effetto preciso di questa scelta stilistica, è evidente che i fattori che condizionano la presenza dell’articolo possono andare molto al di là del tipo di denotazione del sintagma nominale e del suo rapporto con il contesto situazionale, fino a sottili connotazioni stilistiche che, come sembra in (14), sfumano in casi di variazione libera, o quanto meno del tutto sganciata dal contesto linguistico. I pochi esempi che abbiamo considerato dall’antico francese e dall’antico toscano rafforzano questa conclusione, e ci mostrano una variabilità di usi ben lontana dalla distribuzione grammaticalmente e semanticamente deterministica a cui siamo abituati nelle lingue romanze moderne, che a loro volta sono generalmente più “libere” dell’inglese.
Proprio riguardo a questa maggiore “liberalità”, la nostra discussione sarebbe gravemente incompleta se non menzionasse ciò che la letteratura ha provocatoriamente definito “definiti indefiniti” a partire da Zamparelli (2002), lo studio che ha definitivamente messo a fuoco questo fenomeno. Si tratta di casi in cui un sintagma nominale definito ha una lettura generica resa peculiare dal fatto di denotare una quantità indeterminata, esattamente come un indefinito – che difatti ne è la traduzione obbligata in altre lingue. Questa lettura è particolarmente evidente in casi come (15), riprodotti da Zamparelli (2002):
Ogni caso in realtà ha delle caratteristiche a parte. In (15a), gli hackers certo non denota la totalità degli hackers, e il predicato deve essere vero di quantità indefinite; ma gli individui che di volta in volta verificano il predicato sono accomunati dal ruolo di nemici, quindi dagli hackers si avvicina alla lettura “kind” di dagli americani in il loro paese è stato bombardato dagli americani. In (15b), verbo e oggetto definito sono solidali allo stesso modo di altri cosiddetti “definiti deboli” (weak definites, Aguilar-Guevara & Zwarts 2010) come prendere il treno (verificato anche quando si prende più di un treno). La peculiarità di (15c) è che il sintagma definito denota in realtà un’istituzione, e non i suoi membri. (15d) infine evidenzia come questo tipo di definiti abbia una lettura intensionale (non si vedono gli stessi animali nelle cantine dei due paesi). Ma cogliere le particolarità dei singoli esempi non deve distogliere dal cogliere l’unitarietà del fenomeno: l’articolo fornisce un’interpretazione particolare (intensionale, generalizzante) a argomenti che sono referenzialmente indistinguibili da indefiniti, in un modo che è perfettamente normale in italiano, ma non in inglese o in altre lingue (anche se, per esempio, bombed by the Americans o take the train sono ovviamente correnti).6 Questi usi, quindi, denotano una funzione dell’articolo definito che è assente in molti sistemi anche tipologicamente vicinissimi. Un aspetto importante di questo uso è il suo legame con il tema della frase. Krifka et al. (1995: 43), in una breve ma acuta discussione su questo tipo di lettura “kind”, riportano le conclusioni di Laca (1990) (anche riprese da Zamparelli 2002) a proposito dello spagnolo: se, come sembra innegabile, l’articolo definito può venire aggiunto a un sintagma nominale semanticamente indefinito (e espresso come tale in (16)), nel caso in cui l’argomento espresso dal sintagma nominale sia chiaramente parte del tema della frase, allora l’articolo è un marcatore di tematicità:
L’argomento espresso da casas in (16b) è esplicitamente parte del tema (‘a proposito di case, gli architetti le fanno, e gli arredatori le rovinano’). Questa funzione appare molto chiara in spagnolo, dove il definito las casas si oppone nettamente all’indefinito casas senza articolo (16a); in italiano possiamo percepire lo stesso contrasto, ma meno nettamente perché anche l’oggetto semanticamente indefinito in (16a) sarebbe più normalmente espresso con un definito: gli architetti costruiscono le case (anche come risposta a ‘cosa fanno gli architetti?’). Anche questa variazione, sottile ma non per questo meno sistematica, va debitamente inclusa in una descrizione dell’uso dell’articolo definito.
Le lingue che abbiamo esaminato sono quelle meglio studiate al mondo, e nessuno dei fenomeni richiamati è qui descritto per la prima volta. Eppure, il quadro che emerge, collegando una serie di fatti solitamente trattati indipendentemente, dovrebbe giustificare una riconsiderazione di idee che sembrano acquisite. Anche in questo contesto tipologico così ristretto e omogeneo, la variazione nell’uso e nella funzione dell’articolo definito è più significativa e più sistematica di quanto non si creda; non c’è nessuna giustificazione per una nozione di articolo “espletivo” riguardo agli usi non riconducibili alla nozione classica di descrizione definita, perché in questi casi l’articolo ha una varietà di funzioni distinte. Ridurre la variabilità interlinguistica al comportamento dei nomi massa (l’acqua – water) e alla disponibilità di un determinante zero è empiricamente sbagliato: nomi propri, vocativi, termini per concetti astratti, e “indefiniti definiti” sono tutti domini in cui la variegata distribuzione dell’articolo non si lascia ricondurre a questo semplice schema. La conclusione descrittiva più rilevante non è tanto che l’articolo compaia in una serie di contesti secondo regolarità che poco hanno a che fare con la grammatica delle descrizioni definite. Ancora più importante è la distinzione tra un nucleo semanticamente omogeneo (le descrizioni definite classiche e i termini generici), in cui la distribuzione dell’articolo varia deterministicamente in funzione di parametri relativamente chiari, e un dominio di fenomeni in cui la variazione dipende invece da un intreccio di fattori che possono avere molto poco a che fare con il contenuto grammaticale, fino a sfumare in pura variazione stilistica. Come abbiamo ribadito più volte, per andare oltre queste caratterizzazioni così vaghe bisogna esaminare ogni istanza dell’articolo nel contesto del sistema in cui compare; i campioni che abbiamo saggiato in queste pagine, però, dimostrano che per ogni sistema, compreso l’inglese (si pensi ai nomi propri), è auspicabile una mappatura più precisa.
Le conclusioni che si possono trarre su quale sia il valore dell’articolo in questo ampio ventaglio di fenomeni non possono essere molto precise, dato che l’obiettivo è stato di documentare i diversi livelli di variazione piuttosto che analizzare a fondo i fenomeni nelle varie lingue. Possiamo però richiamare in maniera sintetica un risultato empirico che abbiamo verificato ripetutamente: se una di queste lingue ha l’articolo definito, il significato centrale di questo morfema, condiviso nelle varie lingue, consiste nell’interpretazione come descrizione definita, relativa a una situazione. Quando il contenuto del sintagma nominale e della frase non sono direttamente rapportati a una situazione, diventano rilevanti le ben note differenze interlinguistiche nell’espressione dei generici. Anche a questo livello, è necessario arricchire il quadro empirico tradizionale con i nomi di nozioni astratte (il tre, il nero, il martedì) e soprattutto con la constatazione che, per astrazioni come Philosophie, la distribuzione dell’articolo non è strettamemte determinata su base grammaticale e semantica per una lingua come il tedesco. Il tipo di nominali generici chiamato “definiti indefiniti” ci porta su un piano diverso: almeno in alcune istanze (non in tutte), i definiti con questa peculiare interpretazione “kind” sono sensibili a proprietà semantiche che non sono più vero-funzionali (ciò di cui è vero il predicato denotato dal nominale, se la sua denotazione definisca una nozione di parte atomica, se e come il referente sia univocamente individuabile) ma dipendono dal loro statuto di (parte del) tema della frase. In altri casi di definiti indefiniti, come la sedia mi è stata rosicchiata dai topi, la definitezza è più semplicemente il riflesso dell’interpretazione “kind”, visto che rosicchiata dai topi qui vale esattamente mouse-gnawed (senza nessuna implicazione su quali o quanti individui abbiano preso parte all’evento, e se in maniera continuativa). Qui l’espressione come sintagma nominale definito è alternativa a altre espressioni morfosintattiche, che in altre lingue veicolano più o meno normalmente questo tipo di interpretazione: la morfologia inglese permette molto liberamente la creazione di composti come mouse-gnawed, e anche in tedesco mangiare il gelato corrisponde a Eis essen (nell’interpretazione rilevante, non riferita anaforicamente a un gelato dato nella situazione, ma a un’istanza non specificata del gelato come tipo di alimento). Come si vede, per cogliere questo aspetto della variazione interlinguistica nell’uso dell’articolo definito per letture “kind”, si devono considerare fattori (informazionali e/o morfologici) piuttosto lontani dalle nozioni di univocità di riferimento e presupposizione di esistenza delle descrizioni definite. Ma il dominio empirico più istruttivo è quello in cui le considerazioni vero-funzionali non sono rilevanti affatto; il vasto campo di quegli usi dell’articolo che sembrerebbero “espletivi”, o privi di funzione, ma che hanno in realtà funzioni molteplici e spesso difficili da mettere a fuoco del tutto. Laddove si riscontra un’alternanza tra forme con e senza l’articolo, con una distinzione di significato più o meno chiara, il valore di sfondo che sembra rilevante nella grande maggioranza dei casi è quella di relazione con il contesto pragmatico, in particolare con il centro epistemico e emotivo identificato dal parlante: familiarità, presupposizione di conoscenza diretta, presupposizione di conoscenza condivisa. In certi casi, questa chiave interpretativa può essere estesa a alternanze che sembrano del tutto stilistiche, nella misura in cui per esempio die Philosophie sia sentito come più appropriato quando il contenuto di questo concetto è dato per scontato e funge da tema, mentre Philosophie si adatta specialmente a contesti definitori (‘ciò che intendiamo con il termine filosofia’). Infine, anche i nomi propri dove l’articolo non alterna con una forma zero esibiscono un contenuto che va al di là della semplice definitezza: come ha mostrato Rabern (2015), la particolarità essenziale di casi come The Yellow River o The Round Table è che designano lo stesso oggetto rigidamente, come gli altri nomi propri, e questa interpretazione non è ricavabile dalla sola definitezza. Ma come si vede, questi sono spunti da sviluppare caso per caso.
Alla luce di questa varietà di funzioni, è ancora legittimo parlare dell’articolo definito come nozione in sé, astraendo dal suo effettivo potenziale di utilizzazione in una o più lingue? Certo, possiamo definire solidamente una nozione di articolo definito sulla base del nucleo invariante costituito dalle descrizioni definite classiche (con riferimento a una situazione), e dello spazio di variazione precisamente determinato da proprietà grammaticali, per le interpretazioni generiche e per i termini astratti. Questa nozione, però, non deve essere confusa con il morfema effettivamente presente in un dato sistema linguistico. Quella di Giusti (2015) è probabilmente l’analisi più approfondita della discrepanza tra espressione dell’articolo definito come morfema, e interpretazione come descrizione definita. L’autrice conclude (p. 52) che l’articolo non esprime di per sé l’operatore che definisce le descrizioni definite, ma è uno dei modi in cui questo operatore può venire legittimato morfosintatticamente. Alla luce della varietà di funzioni che l’articolo definito può veicolare, esprimendo una varietà di concettualizzazioni e collegando il contenuto semantico-denotativo del sintagma nominale al suo contesto pragmatico, non si può che concordare.
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Ringraziando i curatori di questo numero monografico, e in particolare due recensori anonimi per le loro utili osservazioni, vorrei anche esprimere stima e gratitudine a Giampaolo Salvi per tutto ciò che ha fatto e che ha saputo rappresentare, come ispirazione, come collega, e come studioso, per gli studi di italianistica e romanistica.↩︎
Sarà bene esplicitare, seguendo le indicazioni di un recensore, che per entrambe le lingue si parla della varietà standardizzata contemporanea.↩︎
Naturalmente tra le due lingue intercorrono differenze anche macroscopiche, come l’ordine non marcato SVO o SOV e il posizionamento del verbo flesso in seconda posizione nelle frasi matrice. Qui si intende semplicemente che la stretta parentela genetica corrisponde a una significativa prossimità tipologica: si pensi all’inventario delle categorie lessicali, all’obbligo (con eccezioni ben definite) di un soggetto preverbale realizzato, all’organizzazione del sistema verbale (tempi realizzati da forme perifrastiche in aggiunta all’opposizione tra preterito e non-preterito, svariati ausiliari modali, opposizione morfologica tra verbi forti e deboli), e, nel sistema nominale, all’inventario e al posizionamento dei modificatori del nome (dimostrativi, quantificatori, possessivi, possessori prenominali), e alla presenza e soprattutto all’interpretazione degli articoli definito e indefinito.↩︎
Mathieu (2009) riporta il secondo e il terzo esempio; le citazioni sono dall’edizione Riques 1929, consultabile a http://txm.ish-lyon.cnrs.fr/bfm/pdf/aucassin.pdf↩︎
Mathieu (2009) trascrive crestienté; qui si cita dall’edizione Rainsford & Marchello-Nizia 2018, http://txm.ish-lyon.cnrs.fr/bfm/pdf/AlexisRaM.pdf↩︎
Sarebbe comunque semplicistico postulare un’opposizione tra lingue che ammettono e non ammettono l’articolo in questa funzione, non solo a causa di questi nominali definiti “deboli” e/o con interpretazione kind richiamati nel testo, perfettamente correnti anche in inglese, ma anche perché, se la traduzione inglese di (i) non potrebbe impiegare un sintagma nominale definito, l’articolo è invece perfettamente normale in (iii):
La mia poltrona è stata rosicchiata dai topi.
My armchair was gnawed by (*the) mice.
The mice ate my homework.
Una frase come (iii) è naturale in un contesto dove la presenza di topi è una parte normale della vita; si vede il legame con la nozione di tematicità (discussa poco oltre nel testo). Anche in inglese, quindi, l’articolo definito ha degli usi simili a quelli illustrati in (15), ma il referente del sintagma nominale deve essere familiare nell’universo di discorso, non basta che sia trattato come tale nella struttura informazionale della frase.↩︎