Verbum – Analecta Neolatina XXVI, 2025/1
ISSN 1588-4309; https://doi.org/10.59533/Verb.2025.26.1.8
Abstract: In the cooperative process of meaning construction the addressee’s contribution is relevant, with an interpretative work that appears more evident when there is a gap between the “sentence meaning” and the “speaker meaning”, i.e. in the area of discourse implicits that derive from inferential processes, and which at least in some cases depend on the interaction between the linguistic forms used by the sender on the one hand and the encyclopedic knowledge and conceptual structures generally shared between the interlocutors on the other. In this contribution I intend to address with this perspective two relevant issues in the area of conditional constructions: the status of conditional perfection and that of counterfactuality, also trying to verify if and how the inferential processes involved (which in both cases deal with truth-functional aspects) can be identified with the particularized or generalized conversational implicatures of the Gricean tradition.
Keywords: conditional constructions, conditional perfection, counterfactuality, coding, inferences
Riassunto: Nel processo cooperativo di costruzione del senso il contributo del destinatario risulta rilevante, con un lavoro interpretativo che appare più evidente quando c’è un divario tra il significato letterale dell’enunciato ed il senso presumibilmente inteso dal mittente, ovvero nell’area degli impliciti discorsivi che derivano da processi inferenziali, e che almeno in alcuni casi dipendono dall’interazione tra le forme linguistiche utilizzate dal mittente da una parte e le conoscenze enciclopediche e le strutture concettuali generalmente condivise fra gli interlocutori dall’altra. In questo contributo intendo affrontare con questa prospettiva due questioni rilevanti per l’area dei periodi ipotetici: lo statuto della bi-condizionalità e quello della controfattualità, cercando anche di verificare se e come i processi inferenziali coinvolti (che in entrambi i casi hanno a che fare con aspetti vero-funzionali) possano essere identificati con le implicature conversazionali particolarizzate o generalizzate di tradizione griceana.
Parole chiave: periodi ipotetici, bi-condizionalità, controfattualità, codifica, inferenze
Nel processo cooperativo di costruzione del senso il contributo del destinatario risulta rilevante, con un lavoro interpretativo che appare più evidente quando c’è un divario tra il significato letterale dell’enunciato (il sentence meaning) ed il senso presumibilmente inteso dal mittente (lo speaker meaning), ovvero nell’area degli impliciti discorsivi che derivano da processi inferenziali, e che almeno in alcuni casi dipendono dall’interazione tra le forme linguistiche utilizzate dal mittente da una parte e le conoscenze enciclopediche e le strutture concettuali generalmente condivise fra gli interlocutori dall’altra.
Un esempio di questo tipo di impliciti è costituito dagli arricchimenti inferenziali (enriching inferences) delle connessioni inter-frasali ed alla loro interazione con il significato dei connettori, cioè con quelli che Prandi (2004 – cfr. in particolare il capitolo 10, The Ideation of Interclausal Links) chiama procedimenti di “codifica”. È perciò su questo genere di inferenze che intendo concentrarmi nella mia comunicazione, distinguendo quelle “sollecitate” (ringrazio Lorenzo Renzi e Giampaolo Salvi per il suggerimento terminologico, in sostituzione di un mio precedente “invitate” – brutto calco dal titolo di Geis & Zwicky 1971) da quelle “ammesse” e cercando di capire se e come questi due diversi tipi di inferenza possono essere trattati e classificati con i principî e nei termini delle tradizionali implicature di ascendenza griceana: le inferenze sollecitate scattano di solito grazie all’utilizzo di determinati connettori (o di altre forme linguistiche) ma possono essere bloccate dalla comparsa di contenuti specifici, mentre quelle ammesse devono essere innescate da contenuti opportuni, adatti cioè a spingere il destinatario a compierle – oltre a essere ovviamente compatibili col significato del connettore (o della forma linguistica in questione).
In particolare affronterò con questa prospettiva due questioni tradizionalmente rilevanti per l’area dei periodi ipotetici: nel §2.1 lo statuto della bi-condizionalità (conditional perfection – sulla quale cfr. van der Auwera 1997, che ne segue gli sviluppi disciplinari innescati dal succitato contributo seminale di Geis & Zwicky 1971), e nel §2.2 quello della controfattualità, a partire dalle riflessioni di Karttunen (1971) e di Karttunen & Peters (1977 e 1979);1 ma come premessa vorrei esemplificare il funzionamento delle inferenze ammesse con le possibili interpretazioni in senso temporale e causale delle combinazioni bi-frasali organizzate dalla congiunzione coordinante e (§1).
Il collegamento di due frasi tramite la congiunzione coordinante e (il cui valore semantico tradizionale comporta che il costrutto risulti Vero solo nel caso in cui siano Vere entrambe le proposizioni espresse dalle frasi coordinate) consente un’ampia gamma di arricchimenti inferenziali: ad esempio, grazie all’automatismo interpretativo dell’iconismo (caratteristico delle strutture paratattiche ma non di quelle ipotattiche – cfr. Haiman 1985: 91) la coordinazione di due frasi con una e può ricevere una lettura temporale asimmetrica – cfr. il diverso significato di (1a) vs. (1b) –, e grazie all’ulteriore applicazione del principio interpretativo post hoc propter hoc può riceverne anche una causale (2).
Ma i due arricchimenti inferenziali hanno bisogno di contenuti che si prestino a entrare in quel tipo di rapporto concettuale, e che possano quindi spingere il destinatario a compierli: basta anche una ‘lieve’ modifica alle proposizioni espresse dalle due frasi collegate in (2) e sia l’interpretazione di successione temporale che quella di causalità possono svanire (3a);2 se poi i contenuti non sono particolarmente adatti a svolgersi in sequenza (3b) oppure a costituire un rapporto causa-effetto (3c), le due inferenze ammesse dalla congiunzione coordinante e in (1ab) e (2) lasciano il posto ad un’interpretazione simmetrica di generica contemporaneità (3b) o ad una lettura concessiva (3c).3
Le relazioni concettuali temporale asimmetrica e causale inferenzialmente ammesse dall’uso della congiunzione coordinante e sotto la pressione delle proposizioni espresse con le frasi collegate in (1ab) e (2) possono essere comunicate in modo esplicito e diretto dal mittente – cioè codificate in modo adeguato – tramite l’utilizzo ad es. dei connettori avverbiali anaforici poi e perciò, che risultano rispettivamente interpretabili solo in senso di successione temporale (4a) ed in senso causale (4b), e che sono quindi in grado di imporre il loro significato anche a contenuti ‘inadatti’ – a costo di ottenere a volte letture problematiche come in (5ab):
Come si vede da (5ab) la successione temporale e la causalità codificate dal mittente con l’uso di poi e di perciò risultano non cancellabili; e le due relazioni concettuali sono anche distaccabili, perché basta sostituire i due connettori con altri dal significato diverso e sia la successione temporale che la causalità scompaiono, permettendo di passare dagli strani (5ab) ai normalissimi (6ab): in termini griceani le potremmo quindi considerare implicature convenzionali,4 ma se seguiamo Bach (1999) nel ritenerle un “mito”, e consideriamo che con poi e perciò successione temporale e causalità (componenti di senso tradizionalmente considerate non vero-funzionali) non emergono in modo implicito ma vengono comunicate dal mittente in modo esplicito e diretto, ci potremmo anche tranquillamente ‘accontentare’ dell’idea di Prandi (2004) secondo la quale il significato di un connettore corrisponde alla relazione concettuale codificata tra – cioè imposta a – le proposizioni espresse con le due frasi o i due frammenti testuali collegati.
Almeno a partire da Atlas e Levinson (1981, cit. in Horn 1984: 18) le inferenze di successione temporale e/o di causalità ammesse dall’uso della congiunzione coordinante e sono tradizionalmente considerate implicature conversazionali, calcolabili in base al R[elation] Principle di Horn (1984: 13): “Make your contribution necessary […] say no more than you must”, un basilare assunto di economia espressiva rivolto al mittente col quale Horn riprende e rielabora il Principle of Informativeness di Levinson (1983: 146, cit. in Horn 1984: 18): “Read as much into an utterance as is consistent with what you know about the world”, grazie al quale il destinatario è autorizzato ad inferire da ciò che viene detto tutto quanto sia connesso e non incompatibile con lo scambio comunicativo in corso e con la sua conoscenza del mondo.5 Poiché tali inferenze non vengono innescate dall’utilizzo del connettore bensì dalla presenza di contenuti opportuni – cfr. (1ab) e (2) vs. (3abc) –, non possiamo considerarle implicature conversazionali generalizzate della congiunzione coordinante e: dovrebbe quindi trattarsi di implicature conversazionali particolarizzate, anche se diversamente da quelle più tipiche (una “implicatura [conversazionale] non è veicolata da ciò che viene detto, ma solo dall’atto di dirlo” – Grice 1978 [1975]: 219) sembrano dipendere più da quanto viene detto che dal fatto di dirlo.
Mentre l’espressione di una relazione ‘condizione-conseguenza’ tra le proposizioni espresse da protasi ed apodosi viene di solito considerata un aspetto non vero-funzionale del significato di un periodo ipotetico, sia la bi-condizionalità (§2.1) che la controfattualità (§2.2) coinvolgono invece in modo evidente aspetti di carattere vero-funzionale: voglio però subito avvisare che utilizzerò il tradizionale approccio logico-formale agli aspetti vero-funzionali dei connettori (predicati di 2° ordine, visto che collegano due proposizioni costituite dalla saturazione di predicati del 1° ordine) non nella prospettiva strettamente semantica del calcolo dei valori di verità degli operatori logici – in realtà, dei costrutti connessi dagli operatori logici – a partire da quelli delle proposizioni collegate, quanto piuttosto dal punto di vista delle aspettative del destinatario innescate dall’enunciazione del costrutto da parte del mittente, e quindi in una prospettiva già almeno in qualche modo pragmatica.
A proporre di considerare un’inferenza sollecitata l’automatica interpretazione bi-condizionale dei periodi ipotetici nella comunicazione ordinaria6 sono stati Michael Geis e Arnold Zwicky col loro noto contributo On Invited Inferences del 1971. Per esemplificare il fenomeno, se a lezione dico – col tono opportuno… – qualcosa come (7a), lanciando un avvertimento correlato ad una (blanda e scherzosa) minaccia, il mio pubblico presente in aula capisce anche (7b), che costituisce invece una promessa condizionata dal soddisfacimento di un (pre‑)requisito; e poi esclude giustamente (sia pur magari sperandoci, in base al principio di piacere, destinato però ad essere ridimensionato dal principio di realtà) la troppo ottimistica versione (7c), ma esclude in modo automatico anche la troppo ‘feroce’ interpretazione (7d), e non solo perché io sono notoriamente un professore ‘buono’…7
Utilizzando la congiunzione subordinante se io ho prodotto un normale periodo ipotetico, che in quanto relevant conditional in caso di falsità del contenuto proposizionale della protasi non dovrebbe permettere di predire proprio nulla sul valore di verità di quello dell’apodosi;8 ma il mio pubblico mi interpreta – inferenzialmente – come se avessi detto (7e), utilizzando il connettore solo se che codifica in modo esplicito la bi-condizionalità, cioè un più ‘forte’ significato secondo il quale (le proposizioni espresse da) protasi ed apodosi devono avere il medesimo valore di verità, sia esso il Vero oppure il Falso:
Preso in maniera superficiale – e secondo me anche un po’ ingenua –, questo arricchimento inferenziale avrebbe la spiacevole conseguenza di presentare i due connettori se e solo se come sinonimi: tuttavia uno sguardo anche solo lievemente più attento permette di vedere che solo se non può che essere interpretato in senso bi-condizionale (come dicevo prima, “codifica” adeguatamente ed esplicitamente quel significato), mentre se può essere – e viene di solito – interpretato in questo modo, ma non deve essere necessariamente interpretato in questo modo (cfr. de Cornulier 1983 e 1985: 79–82), perché grazie alla presenza di contenuti specifici l’inferenza sollecitata di bi-condizionalità può svanire, lasciando il più ‘debole’ significato di base del connettore.
Credo che la cosa possa risultare molto chiara osservando (8a), pubblicità non più recente di una lotteria nazionale che invita il destinatario a partecipare al gioco: come (7a) anche questo periodo ipotetico esclude giustamente l’assurdo (8c), ma purtroppo – al contrario di quanto abbiamo visto accadere per (7a) – non comporta così tranquillamente (8b), perché non esclude affatto lo spiacevole caso (8d).
Riassumendo, la bi-condizionalità è un’inferenza sollecitata della (dalla) congiunzione subordinante se perché il suo utilizzo da parte del mittente sollecita (invites) il destinatario a interpretare il connettore come se fosse stato ‘rinforzato’ dall’avverbio focalizzante solo – anche se la comparsa di determinati contenuti è in grado di bloccare questa inferenza, di revocarla; lo stesso significato bi-condizionale viene invece espresso in modo esplicito e diretto (cioè codificato in modo adeguato) dal mittente grazie all’utilizzo di solo se, che non può essere ‘indebolito’ ad introduttore di un normale periodo ipotetico neppure in presenza di contenuti inadatti, e che ha quindi la bi-condizionalità come significato non revocabile: ad es. (8e) risulta problematico proprio perché ci obbliga ad una lettura evidentemente non realistica, a meno di interpretarlo come suggerimento che il gioco è truccato a nostro favore…
Nel caso di solo se la bi-condizionalità appare non cancellabile e distaccabile, sostituendo ad esempio solo con anche come in (7d): perciò nella tradizione griceana sarebbe da considerare un’implicatura convenzionale, cioè una componente di senso che emerge grazie al significato dell’espressione linguistica utilizzata;9 ma se continuiamo a seguire Bach (1999) nel ritenere le implicature convenzionali un “mito”, e consideriamo che con solo se la bi-condizionalità non emerge in modo implicito ma viene comunicata dal mittente in modo esplicito e diretto, ci potremmo di nuovo tranquillamente ‘accontentare’ dell’idea di Prandi (2004) secondo la quale il significato di un connettore corrisponde alla relazione semantico-concettuale codificata tra – cioè imposta a – le proposizioni espresse dalle frasi o dai frammenti testuali collegati.
Nel caso della congiunzione subordinante se (che la sollecita come inferenza) la bi-condizionalità risulta invece normalmente presente, cancellabile in casi specifici come (8a), ed indistaccabile, perché compare anche con periodi ipotetici dalla forma non canonica come ad esempio gli pseudo-imperatives (cfr. Bolinger 1967: 340–346 e poi Haiman 1983)10 o costrutti “pseudo-coordinati” (Mazzoleni 2022, §3.1): in particolare (9a) è un’offerta legata ad una pre-condizione, (9b) costituisce un’esortazione sostenuta dalla proposta di una ricompensa, ed infine (9c) è un tentativo di dissuasione correlato ad una minaccia.
Dovrebbe quindi trattarsi di una implicatura conversazionale generalizzata (cfr. Grice 1978 [1975]: 218s., e poi Levinson 2000), calcolabile – come le inferenze di successione temporale e/o di causalità ammesse dall’uso della congiunzione coordinante e (cfr. il §1 in fine) – sulla base del Principle of Informativeness di Levinson (1983: 146, cit. in Horn 1984: 18), ripreso e rielaborato da Horn (1984: 13) col suo R[elation] Principle:11 il destinatario non può dare per scontata la verità dell’apodosi perché il mittente ha detto esplicitamente che dipende da quella della protasi; se la protasi risultasse falsa, allora dovrebbe risultare falsa anche l’apodosi, altrimenti il mittente non si sarebbe dato la pena di condizionarla con l’apodosi – “What would be the point of stating a condition if it was not a necessary condition?” (Karttunen 1971: 568, cit. anche in Horn 2000: 309). In questo modo viene sollecitata l’inferenza di bi-condizionalità, che risulta però cancellabile quando è evidente che l’apodosi può essere vera anche in caso di falsità della protasi, come ad es. in (8a).
Come anticipato alla fine dell’introduzione, gli arricchimenti inferenziali dei due tipi proposti risultano però possibili non solo per le connessioni inter-frasali ed i connettori ma anche per l’uso di altre forme linguistiche, come ad esempio i Modi ed i Tempi verbali: è quanto vedremo ora affrontando la questione della controfattualità, che per la tradizione grammaticale scolastica italiana di ispirazione greco-latina (ma non solo) è il significato dei periodi ipotetici in casus irrealis come (10), con il verbo della protasi al congiuntivo piuccheperfetto – o trapassato – e quello dell’apodosi al condizionale passato – o composto –, la cui enunciazione porta automaticamente il destinatario a capire che secondo il mittente Andrea non ha preso il treno delle 3 (magari perché l’ha perso?) e che quindi non è arrivato alle 9, ovvero che le proposizioni espresse da protasi ed apodosi sono entrambe false, in un momento precedente a quello dell’enunciazione:
Ma se a (10) aggiungiamo un cotesto successivo come in (11a) la controfattualità innescata dalla concordanza in casus irrealis svanisce, perché dall’enunciazione di (11a) il destinatario capisce che il mittente non sa quale treno abbia preso Andrea né quando sia arrivato, e spera solo che abbia preso uno dei due treni previsti: l’atteggiamento epistemico del mittente corrisponde quindi a quello del corrispondente periodo ipotetico in casus possibilis (11b), con i verbi della protasi al congiuntivo imperfetto e quelli dell’apodosi al condizionale presente – o semplice –, ma ovviamente con una prospettiva temporale diversa.
Almeno a partire da Goodman (1969 [1947]: 289 – ho ‘aggiornato’ il suo esempio…) nel campo della filosofia del linguaggio sono però considerati controfattuali anche periodi ipotetici in casus possibilis come ad es. (12), una cui enunciazione oggi da parte mia grazie all’evidenza dei fatti obbligherebbe il destinatario a capire che il mittente non è Giulio Cesare e che vive nel terzo millennio, ovvero – analogamente a quanto accadeva con (10) – che le proposizioni espresse da protasi ed apodosi sono entrambe false, ma questa volta in un momento non precedente a quello dell’enunciazione:
Nei periodi ipotetici con la concordanza in casus irrealis la controfattualità mostra una fenomenologia analoga a quella vista precedentemente per la bi-condizionalità nei periodi ipotetici introdotti dalla sola congiunzione subordinante se (§2.1): l’enunciazione di un periodo ipotetico di quel tipo la innesca automaticamente, ma la comparsa di contenuti specifici come ad es. nel cotesto che converte (10) in (11a) la blocca, permette di revocarla facendola svanire, quindi propongo di considerarla come in quel caso una inferenza sollecitata; invece i ‘normali’ periodi ipotetici in casus possibilis come (11b) non hanno interpretazione controfattuale, ma la comparsa di contenuti particolari in contesti/ situazioni enunciative specifiche come in (12) la fa emergere (analogamente a quanto abbiamo visto accadere nel §1 per le possibili interpretazioni temporali e causali della congiunzione coordinante e), e perciò propongo di considerarla una inferenza ammessa.12
In prospettiva griceana Karttunen & Peters (1977: 366 e 1979: 6, 8) avevano proposto di considerare la controfattualità per i periodi ipotetici in casus possibilis ([non-past] subjunctive conditionals) una implicatura conversazionale particolarizzata, proprio perché emerge in casi come (12) grazie al confronto tra i contenuti espressi e le caratteristiche di un contesto / situazione comunicativa specifica;13 i due autori statunitensi non avevano preso in considerazione anche i periodi ipotetici in casus irrealis ([past] subjunctive conditionals), ma considerando la fenomenologia presentata credo che nella stessa prospettiva la controfattualità possa essere considerata in questo caso una implicatura conversazionale generalizzata, innescata in modo automatico dalla comparsa della concordanza in questione come in (10) ma cancellabile grazie alla comparsa di cotesti opportuni come in (11a) – analogamente a quanto appunto proposto alla fine del §2.1 per la bi-condizionalità nei periodi ipotetici introdotti solo dalla congiunzione subordinante se.
In questo contributo ho cercato di mostrare che – almeno in alcuni casi specifici, ma credo che queste considerazioni possano essere ragionevolmente generalizzate – uno stesso senso può emergere in modi diversi:
Infine vorrei sottolineare che almeno nel caso della bi-condizionalità e della controfattualità sia le inferenze ammesse sia quelle sollecitate (che comportano la cooperazione attiva del destinatario nel processo di (ri)costruzione del senso presumibilmente inteso dal mittente, ed in termini griceani andrebbero considerate implicature conversazionali particolarizzate e generalizzate) hanno chiaramente a che fare con aspetti vero-funzionali, che – diversamente da quanto mi pare sia sostenuto almeno in parte dalle posizioni più tradizionali – risultano quindi rilevanti per l’analisi a livello non solo semantico ma anche pragmatico.
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In questo contributo riprendo e presento con una diversa prospettiva parte di Mazzoleni (2009). Per gli utili suggerimenti ricevuti voglio ringraziare Gabriele Bersani Berselli, Marina Sbisà ed i/le due blind peer-reviewer della rivista.↩︎
Queste inferenze vengono perciò ammesse solo quando la possibilità di un ‘sensato’ rapporto temporale e/o causale tra i due (tipi di) eventi fa parte della background knowledge generalmente condivisa tra gli interlocutori come in (2): nel senso di Stalnaker (1973) sarebbero quindi presupposizioni pragmatiche, anche se si basano sulla condivisione di conoscenze enciclopediche sistematiche e non di caratteristiche contingenti di una situazione comunicativa specifica. Inoltre (3a) mostra che in paratassi un’interpretazione temporalmente iconica non va data per scontata neppure per gli stati di cose espressi da forme verbali aspettualmente perfettive, oltre a non esserlo per quelli espressi da forme verbali aspettualmente imperfettive come si vede dalla lettura di contemporaneità di (i) vs. quella sequenziale di (ii):
Il sole tramontava e [⇒ ??‘poi’] noi passeggiavamo sul lungomare.
Giorgio si alzava, girava per la stanza, guardava dalla finestra, si risiedeva e (poi) si rialzava…
Tale interpretazione risulta di nuovo però possibile solo quando la relazione concettuale in questione fa parte delle conoscenze enciclopediche ragionevolmente condivise: così (i) ammette l’inferenza in senso concessivo che invece in (ii) non scatta per la mancanza dei contenuti adatti ad innescarla (cfr. Mazzoleni 1996, §2, spec. 2.2).
Nigel è scozzese ed [⇒ ‘però / tuttavia’] è generoso
Lucio è un musicista ed [⇒ ??‘però / tuttavia’] è generoso.
Sull’implicatura convenzionale di un connettore dal significato causale (quindi nella traduzione italiana – ma il discorso non cambia rispetto al suo equivalente inglese) cfr. Grice (1978 [1975]: 203).↩︎
Questi arricchimenti inferenziali non possono invece basarsi sul Q[uantity] Principle “Make your contribution sufficient […] say as much as you can” nella versione di Horn (1984: 13), o “Given that there is available an expression of roughly equal length that is logically stronger and/or more informative, the failure to employ the stronger expression conveys that the speaker is not in the position to employ it” nella formulazione di Atlas e Levinson (1981: 38, cit. in Horn 1984: 17s.), perché il calcolo darebbe il risultato sbagliato: il mittente ha utilizzato il più ‘debole’ connettore e invece dei più ‘forti’ poi / perciò, il che implicherebbe che non poteva / voleva comunicare il significato di successione temporale e/o di causalità.↩︎
Come ho segnalato alla fine dell’introduzione, un interessante quadro storico e tipologico degli studi su questo fenomeno, chiamato anche conditional perfection, è presentato da van der Auwera (1997), che ne retrodata la scoperta fino a Bolinger (1952), ed un ulteriore approfondimento è costituito da Horn (2000).↩︎
Nei termini di Fillenbaum (1986) i periodi ipotetici (7ab) sarebbero considerati rispettivamente un conditional deterrent e un conditional inducement.↩︎
O, più in generale, sulla validità dell’atto linguistico compiuto con la sua enunciazione: ispirandomi a Johnson-Laird (1986: 69), utilizzerò “(valore di) verità / falsità” e l’intera famiglia di termini correlati come ‘comode’ abbreviazioni non solo per il valore di verità ma anche per la rilevanza comunicativa delle proposizioni espresse.↩︎
“In certi casi il significato convenzionale delle parole usate, oltre a contribuire a determinare ciò che viene detto, determinerà ciò che viene implicato. […]. Così certe implicature sono convenzionali” (Grice 1978 [1975]: 203, corsivo dell’originale).↩︎
Prima di Bolinger (1967) ed Haiman (1983) già Herczeg (1953) aveva segnalato l’esistenza di frasi “esteriormente dichiarative, imperative, ecc. le quali hanno ciò nonostante senso ipotetico”, fornendo una serie di esempi tra i quali alcuni “in cui la protasi contiene un imperativo e l’apodosi un futuro: ‘Studia e sarai promosso’ (Se studi, sarai promosso), ‘Correte e farete in tempo’ (Se correte, farete in tempo) […]” (Herczeg 1953: 97s. – corsivi dell’originale).↩︎
In linea con Horn (2000: 304–317) e malgrado il parere di van der Auwera (1997: 262s. e 266–270), come per le inferenze di successione temporale e/o di causalità ammesse dalla congiunzione coordinante e (cfr. la Nota 5 supra) anche in questo caso non credo che l’inferenza di bi-condizionalità sollecitata dalla congiunzione subordinante se sia invece calcolabile in base al Q[uantity] Principle col quale Horn (1984: 13) riprende e rielabora quello di Atlas e Levinson (1981: 38, cit. in Horn 1984: 17s.) “Given that there is available an expression of roughly equal length that is logically stronger and/or more informative, the failure to employ the stronger expression conveys that the speaker is not in the position to employ it”, perché la sua applicazione darebbe di nuovo il risultato opposto: il mittente ha usato il più ‘debole’ connettore se, il che implica che non poteva comunicare il significato bi-condizionale del più ‘forte’ solo se (cfr. anche Horn 2000: 305).↩︎
Per una proposta di revisione della tradizionale tripartizione scolastica italiana dei periodi ipotetici in casus realis, possibilis ed irrealis verso una bipartizione tra probabilità vs. improbabilità (sostanzialmente analoga all’opposizione tra indicative e subjunctive conditionals proposta da Karttunen & Peters 1977: 367 e 1979: 8) cfr. Mazzoleni (1994).↩︎
Una “implicatura [conversazionale particolarizzata] è veicolata […] in un’occasione particolare, in virtù di speciali tratti del contesto” (Grice 1978 [1975]: 216).↩︎